2,5 milioni di italiani hanno vissuto esperienze premorte

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2,5 milioni di italiani hanno vissuto esperienze premorte

Lo scienziato spiega cosa sono

Il cardiologo Pim van Lommel spiega la sua teoria sul significato delle esperienze premorte e cosa
sia in realtà la coscienza.

Dalla luce in fondo al tunnel all’osservazione di medici ed infermieri fuori dal proprio corpo, i
racconti sulle esperienze premorte sono sempre di più: in Italia si calcola che ad averle vissute
siano stati 2,5 milioni di pazienti, il 4% della popolazione. Ma cosa sono? E cosa possono dirci
sulla morte?

A queste domande risponde ad Adnkronos il cardiolo Pim van Lommel divenuto celebre per il suo studio
sulle Nde (Near Death Experience – Esperienze Premorte) intitolato “Near-death experience in
survivors of cardiac arrest: a prospective study in the Netherlands” e pubblicato sulla prestigioso
rivista The Lancet.

Cosa sono le esperienze premorte. “Una premorte può essere definita come il ricordo di una serie di
impressioni vissute durante uno speciale stato di coscienza, con diversi elementi comuni:
un’esperienza fuori dal corpo, sensazioni piacevoli, la visione del tunnel, della luce, dei propri
cari defunti, il passare in rivista la propria vita, e il ritorno cosciente nel corpo” spiega van
Lommel che le definisce anche esperienze trasformative poiché causano “cambiamenti profondi nel modo
di cogliere la vita, elimina la paura della morte e rafforza la sensibilità intuitiva”.

Quando si vivono queste esperienze. All’origine di queste esperienze può essere “un arresto cardiaco
(morte clinica), uno shock a seguito di emorragia (parti difficili), un insulto cerebrale o colpo
apoplettico, un quasi affogamento o un’asfissia, ma anche malattie gravi, episodi di depressione,
isolamento o meditazione”.

Arresto cardiaco e premorte. Gli studi del cardiologo si sono concentrati proprio sulla stretta
relazione tra arresto cardiaco ed esperienza premorte. Dai dati raccolti è emerso che “durante
l’arresto cardiaco, vi sono buone ragioni per dedurre che la coscienza non sempre coincida con il
funzionamento del cervello: un’accresciuta consapevolezza, con eventuali percezioni, può talvolta
essere esperita separatamente dal corpo”. Insomma, in questo frangente la nostra coscienza si
troverebbe “al di là del tempo e dello spazio”.

E la morte quindi cos’è? Lo scienziato sostiene inoltre che la morte come la intendiamo noi sia in
realtà legata unicamente al nostro aspetto fisico. Mentre se parliamo di coscienza, questa non ha né
inizio, né fine: “Non si può evitare di giungere alla conclusione che la coscienza sia sempre
esistita e continui a esistere indipendentemente dal corpo, e che essa non abbia né inizio né fine”.

Zeina Ayache

scienze.fanpage.it

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