6 domande ad un monaco buddhista

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6 domande ad un monaco buddhista

risposte date dal monaco Sasana

da it.dhammadana.org

“6 domande al monaco Sāsana”

1- Perché i bhikkhu non lavorano, in particolare per sopperire alle proprie necessita? Perché bisogna che dipendano dalla mendicità, o dai doni?

I bhikkhu non dipendono dalla mendicità, perché non mendicano. I bhikkhu non domandano nulla; dipendono dai doni, ma non li mendicano. Inoltre, un bhikkhu non lavora semplicemente perché ha scelto di non lavorare. Vi sono coloro che desiderano continuare a lavorare per guadagnare il loro cibo; ma, generalmente, lo fanno anche per avere molto più di questo; per comprarsi ogni sorta di piaceri, di distrazioni, o di agi. Il monaco è colui che ha scelto di restringere — o, per lo meno, di cercare di farlo — l’utilizzo dei suoi piaceri. Di conseguenza, non ha più bisogno di denaro, né di guadagnarsi la vita, poiché non ha più nulla da comprarsi. Per quanto riguarda il minimo necessario al suo nutrimento ed al suo vestire, sono i laici che glieli offrono. Che sono, tra l’altro, molto contenti di approfittare dell’opportunità di praticare il dono e la carità, offrendo il minimo vitale — ed a volte di più — a questi monaci che, paradossalmente, non hanno nulla chiesto a loro.
E’un modo di vita; una scelta che il monaco ha fatto, a riguardo della quale non gli si può fare il benché minimo rimprovero. E se qualcuno osserva:” E’ abbastanza facile fare il monaco, ci si fa nutrire, ci si fa alloggiare..”, non ho che una cosa con cui ribattere: non ha che da provare, e constaterà da lui stesso: nessuna comodità, nessun divertimento, niente sci, né televisione, né musica, né sesso, né vestiti — al di fuori del minimo necessario (gli abiti) -, nessuna acconciatura dei capelli, non trucco, non gioielli, non orologio, non distrazione… Prendiamo l’esempio di una bilancia. Da un lato, vi è un’apparente facilità di vita, da parte di chi beneficia, senza sforzo, di tutto ciò che gli viene offerto; ma, ciò viene compensato dall’abbandono di tutti i piaceri e di tutti gli agi. Se qualcuno desidera fare questa esperienza, che la faccia. Se c’è chi trova che questa via sia facile — d’altronde, la si chiama “la via facile” — è il benvenuto; c’è del posto!

2 — Il canto degli uccelli è, a volte, più rumoroso della circolazione urbana. Senza distinzione, i suoni sono dei fenomeni uditivi, gli uni allo stesso titolo degli altri. Tuttavia, i suoni prodotti dagli uccelli sono, generalmente, pacificanti e suggeriscono serenità. Come lo spiegate?

Si tratta essenzialmente di immagini mentali, di rappresentazioni che si creano. Poiché noi viviamo in una società molto materialistica, con i trasporti, con delle macchine, si ha la tendenza a stabilire una distinzione sempre più violenta, espressa, a volte, in modo
aggressivo, tra quel che si chiama il naturale e l’artificiale. Vi posso dire che, quando vi trovate in Birmania, in una sala (n.d.t. – di meditazione), cercando di essere concentrati sulla respirazione, sulle emozioni, sui pensieri… ed avete un’orda di corvi che vi urla attorno, questo non è certo più gradevole di una martello pneumatico, o della circolazione automobilistica. Si creano molti giudizi di valore: i rumori della natura dovrebbero essere incantevoli e rilassanti, mentre altri suoni si mostrano molto più stressanti. Mentre, di fatto, nell’approccio alla meditazione, si preferirà, in generale, che non vi sia alcun rumore. Che sia il rumore di un fiume, di uccelli o di una macchina, si prediligerà il silenzio.
Nell’approccio che si riferisce alla visione della realtà — vipassanā — anche se, all’inizio, quando appaiono, i rumori tendono ad essere un disturbo, si apprende, poi, a considerarli come il resto degli oggetti mentali. Si cerca di accontentarsi d’osservare il suono e di non entrare nella logica della repulsione, se si tratta di una vettura, né in quella della seduzione, se è un uccello, oppure il rumore di un fiume. Ci si sforza di gestire egualmente tutti i suoni. Il rapporto con i suoni, in vipassanā, consiste nel conoscerli semplicemente per come appaiono. Si osserva il fenomeno dell’udirli, senza andare più in là di questo.

Il rapporto sessuale è la più grave delle trasgressioni monastiche. E’ anche proibito negli otto precetti. Perché questo atto tanto naturale e che provoca solo gioia viene considerato come negativo?

In primo luogo, non è affatto considerato come un atto negativo. Poi, non è di sicuro un qualcosa che procuri della gioia. Reca, invece, nel mondo infinitamente più sofferenza che felicità, perché, a causa di qualche minuto di eccitazione nervosa su di un nervo frizionato, bisogna pagare il prezzo di una vera alienazione. E’sempre una schiavitù vivere con un partner. Pur se con alcuni, la vita di coppia trascorre piuttosto bene ed armoniosamente, questo è un caso che si presenta raramente. Il piacere sessuale genera dei comportamenti aberranti; persone che errano lamentosamente alla ricerca della loro preda, persone che arrivano a commettere adulterio; che compiono un crimine per soddisfare le loro pulsioni, i loro desideri.

E’ un comportamento, in effetti, del tutto naturale; i cani fanno la stessa cosa, come anche i topi. Ma, è considerato un errore per il monaco, perché ha compiuto la scelta di astenersene. Se egli si abbandona ad una copulazione sessuale, non è più un monaco. Parliamo di una pecca unicamente nel senso di mancanza, di errore. Quando si commette un’inesattezza ortografica, non siamo caduti in uno sbaglio demoniaco, malvagio, che ci farà rinascere nell’inferno. Si sarà fatta soltanto una cosa scorretta e che bisognerà cercare di rettificare. Allo stesso modo, quando un monaco prevede una relazione sessuale, si appresta a commettere un fallo; un comportamento non corretto nella comunità monacale. Non un’azione che lo farà rinascere all’inferno, o che lo farà “peccare”. Ma, che lo destituirà dalla sua posizione di monaco.

Nessuno obbliga qualcuno a “farsi monaco”, e se certi hanno voglia di intraprendere dei rapporti sessuali, non troveranno chi li scoraggerà, in tal senso. Buddha non ha mai detto che questo atto era male, e che avrebbe portato chi lo compiva all’inferno. Affermò semplicemente che quanto impegnava certe persone non le differenziava molto dagli animali e che, di fatto, il sesso genera un numero considerevole di pene, di miseria e di sofferenza nel mondo.

Prima di farsi monaco, il laico che prende gli otto precetti, e ancora, i novizi ed i monaci sono coloro che desiderano eliminare del tutto questa dimensione dalla loro vita. Non vi è nulla contro natura in ciò, poiché niente proibisce di essere monaco, oppure monaca; e se si vuole continuare la vita da laici, con uno, oppure una partner, è del tutto possibile. La maggioranza delle persone che raggiunsero il risveglio ai tempi di buddha, faceva parte di questo caso. Che non è per nulla incompatibile. Si tratta solo di una questione di scelta. Secondo Buddha, i maestri religiosi che — anche sinceri e malgrado essi — rilasciano degli insegnamenti errati, producono maggiori akusala (del demerito) che gli assassini che uccidono, violenti, e che perseguono numerose persone. Perché?

Chi commette dei crimini di ogni tipo commette delle azioni, la cui retribuzione sarà di subire la stessa dose di pena e di sofferenza. Come dice Buddha, chi ha fatto questo sarà debitore di una rinascita negli inferi, e, quando avrà purgato questa riserva di akusala, avrà, in qualche modo, pagato il suo debito. A quel punto, potrà riprendere nascita nel mondo umano. L’azione commessa da qualcuno — ad esempio, quella criminale — genera della sofferenza (sofferenza fisica — forse, la morte) nel prossimo, senza coinvolgerlo, in particolar modo, in una qualunque direzione esistenziale. Se queste persone sperimentano tali afflizioni è perché esse stesse le avevano indotte, in passato, ad altri. Ci troviamo, qui, nella logica relativamente semplice dell’azione e della reazione — che è, appunto, la legge del kamma. Mentre, chi insegna delle verità dà un orientamento alla vita delle persone. Ne altera del tutto la direzione esistenziale. Anche se non procura ad esse delle pene fisiche, o mentali visibili, il fatto è che le orienta verso una destinazione che appartiene al sogno, che fa credere loro alla “verità assoluta”, in una felicità eterna e perfetta, dopo la morte; che, di sicuro, è un’utopia. Ciò facendo, sostiene e sviluppa un motivo ben peggiore della violenza e dell’odio, che è quello dei progetti.

Allorché compiamo un atto negativo, questo è, forse, accompagnato da progetti, credenze, oppure no. Per esempio, se qualcuno ci cammina sui piedi, oppure è fastidioso, gli si dà uno schiaffo. Si commette, allora, un atto di violenza; si dà della sofferenza a qualcuno. Consideriamo, ora, quando si incontra chi appartiene ad una comunità religiosa che non ci garba e gli si dà uno schiaffo, lo stesso schiaffo. Fisicamente, l’altro proverà la medesima sofferenza. Tuttavia, chi responsabile dell’atto, nel primo caso, avrà solo avuto un gesto violento, un accesso di collera non associato a nessun progetto, o a nessuna fede; e, nel secondo, il suo sbocco di ira e di brutalità sarà associato a dei progetti e a delle credenze. Di fatto, è necessario che rinasca nel mondi inferiori, avendo commesso degli atti di violenza ed essendosi lasciato andare a dei desideri incontrollati, quando tutto questo era associato a delle concezioni (di vita).

Ma, sino a che egli commette delle azioni violente, o si lascia andare a dei desideri incontrollati, senza che ciò sia legato a delle ideazioni e a delle fedi, non sarà sospinto a rinascere nei mondi inferiori; oppure, in ogni caso, vi saranno poche possibilità, in merito. Ecco la ragione per la quale quando una persona ha raggiunto il primo stadio del risveglio, quando è “entrato nella corrente”, ed è diventata quel che viene chiamato un sotapanna, ha abbandonato ogni credenza. Non può più agire in modo che i suoi atti vengano associati a dei punti di vista di fede. Anche se commetterà ancora degli atti di violenza — come battere qualcuno — o si lascerà andare a desideri incontrollati, se non colloca il suo comportamento nel quadro di una credenza, di un rito, di una idea, o di una concezione che si ha della vita, non avrà la possibilità rinascere nei mondi inferiori.

Sono i punti di vista religiosi che possiedono la capacità di tirarci verso il basso. Anche se non commette degli atti di aggressività, chi non insegna e non predica altro che delle fedi e delle concezioni, vive in un vero concentrato di elaborazioni mentali. Costui rinascerà “molto in basso” e sperimenterà delle sofferenza penose, per numerose esistenze, poiché spinge altre persone nel mondo delle dottrine e ad agire quotidianamente, accecate da ideazioni e da punti di vista. Cioè, delle persone che, come normali esseri umani, avrebbero continuato a vivere, facendo il loro lavoro e commettendo, a volte, degli atti di violenza, o lasciandosi andare, di tanto in tanto, a desideri incontrollati, lo faranno, ora, sistematicamente, perché trascinate da una corrente religiosa, di ideologie, o di fedi. Faranno tutto ciò, nella cornice di un programma, di un progetto religioso, o ideologico.

In più, possiamo ancora aggiungere questo: quando in una società appaiono degli assassinii e degli stupri, è una cosa. Ma, quando in essa sorge un grande figura religiosa, emergente; o, quando vi è un forbito dottore in teologia, in dottrina filosofica, o politica, egli, a quel punto, catalizza completamente l’attenzione della gente e constatiamo che tutti si mettono a praticare ancor più quegli abomini. Lo abbiamo veduto nelle grandi conquiste religiose, ed in quelle ideologiche politiche; si commettono queste atrocità con maggiore intensità, perché il fatto di possedere una forte fede carica di maggior rancore e rende più ciechi. Si può ancora essere consapevoli di fare del male, quando si commette uno stupro. Ma, se lo si fa, seguendo un programma di epurazione etnica, che rientra nelle nostre ideologie politiche, si è intimamente convinti che, in realtà, tutto ciò è ben fatto.

Ecco perché i sommi capi religiosi, i sommi dottori in ideologia e politiche diverse fanno infinitamente più male (la storia è lì per dimostrarlo), anche se non uccidono mai, anche se non commettono violenze — fatto che resta, spesso, da provare. In più, quando si compiono delle brutalità, si può uccidere qualche persona; ma, allorché ci si trova sotto l’ascendente delle ideologie, delle concezioni e delle fedi e si possiede il potere, si assassinano persone a milioni, o se ne indottrinano a milioni; che, a loro volta, commetteranno atti di brutalità, degli stupri collettivi…. sotto l’influsso dell’ideologia che è stata loro trasmessa. Ecco la ragione per cui i grandi avvelenatori della società umana sono, giustamente, tutti questi religiosi e questi politici.

5 — In che cosa differiscono l’indifferenza ed il distacco?

L’indifferenza è un’attitudine che nasce dall’ignoranza, mentre il distacco è radicato nell’assenza di desiderio.

Quando siamo indifferenti non prestiamo alcuna attenzione a ciò che succede. Quando, invece, abbiamo un atteggiamento distaccato, accade il contrario: stiamo attenti a quel che succede. E non sviluppiamo dell’attaccamento a quanto accade, proprio per questo.
Si tratta di due attitudini del tutto opposte.

6 — Potete darci la definizione ed una breve spiegazione di ognuno dei dieci kilesā — ossia, delle impurità mentali?

Esistono essenzialmente dieci elementi, che rappresentano gli inquinanti. Si dividono in due categorie: quelle chiamate superiori e quelle dette inferiori. Ve ne sono cinque per ogni categoria. La prima è il fatto di possedere dei punti di vista errati, delle concezioni, delle fedi — qualunque esse siano; in particolare, la credenza nell'”io”, la credenza nel sé, o nel “in sé”; si tratta di reputare che qualcuno abiti questo corpo, o che sostenga questo spirito.
La seconda è il dubbio. Il dubbio sull’insegnamento theravāda e sulla capacità che esso possa condurre le persone al risveglio. Dubbio sulla legge dell’azione, dell’efficacia, di liberarsi dalla sofferenza, ecc..
La terza è credere nell’efficacia dei rituali; dunque, la necessità di praticare un certo rito religioso, certi rituali, come si osserva in tutte le religioni. Si tratta di una contaminazione molto attiva e molto diffusa in questo mondo. Queste tre contaminazioni vengono eliminate quando si fa, per la prima volta, l’esperienza del risveglio, e si raggiunge lo stadio chiamato sotapāna (colui che è entrato nella corrente). Ecco la ragione per la quale il sotapāna non effettua alcun rito religioso, non ha dubbi sulla veracità
dell’insegnamento ed ha del tutto eliminato la credenza nel “me” (o, nel “sé”).

I due inquinanti successivi sono il piacere, legato al desiderio dei sensi; e, infine, la collera, l’avversione. Questi sono rimossi soltanto quando si raggiunge il terzo stadio del risveglio. Il secondo — quello del sakadāgāmi — non cambia molto le cose, se non nel senso di indebolire simili inquinanti. Chi ha raggiunto il terzo stadio — l’anāgāmi — è libero dal desiderio e dalla collera. Buddha dice di lui, che ha raggiunto la felicità perfetta in questo mondo.

Di seguito, restano le cinque contaminazioni superiori, che vengono eliminate soltanto da chi ha raggiunto il quarto stadio — l’arahant; che è giunto alla liberazione completa: la fine di tutti gli inquinanti. La sesta contaminazione è il desiderio di fare
l’esperienza delle coscienze divine, dette formali: gli jhāna.

La settima consiste nell’ aspirazione di saggiare le coscienze divine informali — gli jhāna informali; che sono degli stati coscienziali estremamente sottili: i divini.

La nona è l’orgoglio, che può manifestarsi in tre modi…

Il modo grossolano, che è la convinzione di essere superiori, di avere qualità maggiori agli altri.

L’umiltà, che è la sensazione di essere inferiori agli altri, e di avere qualità inferiori ad essi.

L’orgoglio, attraverso il senso di eguaglianza. Si tratta
dell’eguaglianza nella percezione che si ha di sé: ci si sente eguali agli altri.

La decima è l’ignoranza. Si tratta dell’assenza della conoscenza della realtà intrinseca dei fenomeni. L’assenza della conoscenza di cosa siano realmente le cose, in verità.

Solo colui che ha raggiunto l’ultimo stadio — cioè, quello
dell’arahant — si è pienamente liberato, ed ha rimosso questo ultimo inquinamento del mentale.

Queste dieci contaminazioni fanno sì che gli esseri girino in tondo (soprattutto nei mondi inferiori), nel ciclo delle morti e delle rinascite. Lo compiono da tempi immemorabili e, fino a quando non incontreranno la rivelazione di Buddha, cioè, il theravāda,
continueranno a esserne schiavi per dei tempi incommensurabili.

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