A ogni ricordo la sua dimensione

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A ogni ricordo la sua dimensione

15 febbraio 2016

Scoperto un meccanismo che permette al cervello di regolare il numero di neuroni usati per
codificare un ricordo e in particolare di evitare che ne siano utilizzati troppi. Se il loro numero
è eccessivo, infatti, la memoria di lavoro non riesce a gestire la massa di informazioni e il
ricordo diventa inaccessibile (red)

da lescienze.it

Il cervello regola attivamente lo “spazio di memoria” da dedicare a ogni ricordo. A identificare
questo meccanismo biologico che è alla base della nostra capacità di memorizzare le informazioni che
il nostro cervello registra ogni giorno è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di
Ginevra, che firmano un articolo pubblicato sulla rivista “Neuron”.

La traccia mnemonica, o engramma, che un evento lascia nel cervello è costituita da un insieme di
cellule situate nell’ippocampo, nel giro dentato e nella corteccia entorinale. Durante la codifica
dei ricordi, i neuroni che formano dell’engramma creano una rete.

Ma per far sì che un ricordo venga fissato, è necessario che sia attivato un numero corretto di
cellule: se sono troppo poche, il ricordo sarà sfocato, ma anche se vengono attivati troppi neuroni
le cose non vanno per il verso giusto.

In questo caso infatti, la memoria viene destabilizzata e compromessa, più o meno come accade quando
si cerca di aprire su un computer un file di dimensioni eccessive rispetto alle dimensioni della sua
memoria di lavoro: il computer va in blocco e il contenuto del file resta inaccessibile.

Per evitare che ciò avvenga, le cellule nervose che sono reclutate per prime nel processo di
memorizzazione attivano delle cellule che hanno un’azione inibitoria sui neuroni limitrofi a quelli
reclutati per primi, impedendo che si attivino a loro volta.

Pablo Mendez e colleghi hanno sfruttato le opportunità offerte dall’optogenetica, una tecnica di
ingegneria genetica che permette di creare topi in cui è possibile attivare o disattivare a volontà
specifici gruppi di neuroni inviando un segnale luminoso attraverso una fibra ottica.

In questo modo i ricercatori hanno potuto in primo luogo osservare come le cellule reclutate per
creare l’engramma attivavano le cellule inibitorie che impediscono l’attivazione dei neuroni vicini.

Hanno così scoperto che quanto più significativo è un ricordo, tanto maggiore (ma solo fino a un
certo punto) è il numero di neuroni che compongono l’engramma: l’engramma che codifica il ricordo di
una scossa molto leggera ricevuta in un certo punto della gabbia è più piccolo di quello legato a
una scossa più intensa.

Successivamente, bloccando o stimolando l’azione di queste cellule inibitorie, hanno modificato le
dimensioni dell’engramma per poi controllare gli effetti di questa alterazione, scoprendo che
aumentando la dimensione dell’engramma il ricordo migliora, ma anche che oltre una certa dimensione
la memoria non funziona più.

“Abbiamo così potuto rafforzare un ricordo, ma anche rimuoverlo”, ha detto Mendez, osservando anche
che ora si può studiare se alcuni disturbi della memoria siano legati anche a un cattivo
funzionamento di questo meccanismo cerebrale di ottimizzazione delle risorse mnemoniche.

dx.doi.org/10.1016/j.neuron.2016.01.024

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