A volte mi piacerebbe che…
(di Liber)
A volte mi piacerebbe che – osservando i ricordi – nella mia vita si vedesse
un filo rosso che li lega tutti e che indica il cammino seguito fin’ora.
Osservando il filo rosso, mi piacerebbe poi che da questo si intravedesse
una tendenza, una prospettiva, un progetto per il cammino ancora da
compiere.
A volte mi piacerebbe sapere tutto della mia vita futura, avere un angelo
accanto che dolcemente mi suggerisce le scelte da fare, le decisioni da
compiere, le buche da evitare.
Mi piacerebbe già conoscere se “da grande” farò l’astronauta o l’infermiere,
il veterinario o il militare di carriera.
Mi piacerebbe insomma capire finalmente qualcosa di me, comprenderla come si
capisce un film, o una musica. Mi piacerebbe sapere se questa musica è bella
e piacevole, oppure stonata, improvvisata, con qualche stonatura.
A volte però penso anche che queste metafore mi aiutano solo in parte. Penso
che la mia vita non sia fatta solo dai miei ricordi o le mie esperienze. Me
la immagino tutta insieme, un blocco unico, fatto di passato e di futuro e
dove il presente è la parte più grossa ed importante. Guardando l’universo è
difficile stabilire la propria posizione all’interno della galassia e capire
la rotta che si sta seguendo. E’ difficile stabilire la propria posizione
geografica, stando seduti su una sedia dentro una cabina senza finestre di
una nave..
Forse è per questa ragione che non riesco a vedere il filo rosso: è perché
sono dentro alla stanza. Quando uscirò dalla stanza, allora tante domande
troveranno una risposta, mentre altre – e forse saranno la maggioranza –
perderanno semplicemente di significato.
A volte, quando mi perdo nel labirinto della mia vita, nel labirinto dei
miei problemi, quando di fronte a me vedo soltanto i miei fantasmi che
prendono vita, corpo, forza, che mi spingono su una strada e solo su quella;
quando non riesco a guardare in alto, quando non riesco ad alzare lo sguardo
e osservare la cima dei palazzi verso il cielo, quando mi sento perduto nel
groviglio delle scelte possibili, allora la mia vita sembra finita.
Mi sembra così piccola, così dura e difficile, così inutile. Mi sembra che
esistano solo i muri che fermano lo sguardo, che limitano la luce, che
soffocano la mente.
Allora, talvolta, penso al mare e a quando cercavo di scorgere l’ultimo
frammento di orizzonte. Quando sforzavo gli occhi per percepire l’ultimo
lembo di mare prima che scomparisse alla vista. Allora – mi ricordo – che
quel mare così vasto mi entrava dentro e diventava parte di me. Anzi! Io
stesso diventavo così vasto e profondo tanto da rimanerne spaventato,
intimorito, sgomento. In quei momenti non mi preoccupavo dei muri e delle
scelte: ecco che le domande perdevano allora di significato. Tutte le
risposte erano dentro di me: la paura si dissolveva, il timore e l’ansia per
il futuro non mi appartenevano.
Eppure ogni giorno vedo muri di fronte a me: ogni giorno mi sveglio
rianimando tutti i fantasmi, tutte le paure: chiedendo agli oggetti, alle
cose, alle persone di aiutarmi a creare questa realtà terribile e
spaventosa. Chiedo agli oggetti di essere difficili, ostici, pericolosi;
chiedo alle persone di essere ciniche, manipolatorie, perfide ed invidiose.
Ecco allora che il mondo mi sembra a posto: come se questa fosse l’unica
realtà per me possibile. Ecco allora che il mio compito diventa quello di
trovare una via d’uscita in questo labirinto di mostri.
Ho bisogno di mostri, di persecutori, di sofferenza ed infelicità:
diversamente non so vivere. Non conosco un altro modo di vivere. Se per un
caso, o perché un angelo posa la sua mano sul mio capo, accade un
avvenimento, un fatto lieto, in breve devo farlo rientrare nel labirinto.
Quando tutto il mondo è crudele, allora io mi sento al posto giusto: lotto
per uscirne, combatto per sopravvivere, ma mi sento al posto giusto.
Questo è ciò che vedono i miei occhi, questo è quello che sente il mio
cuore, questa è la grotta dove sono rinchiuso.
Sono offeso e aggredito da persone a cui chiedo di essere crudeli, sono
manipolato da altri a cui affibio il compito di strumentalizzarmi, sono
vittima di un mondo a cui ho chiesto di farmi schiavo. E soffro. E’ chiaro
che sto male, malissimo. La mia sofferenza è del tutto reale e tangibile.
E’ come se nel medesimo tempo, creassi attorno a me un mondo crudele, per
poi chiedere, lottare per tutta la vita, per ottenere la possibilità di
essere felice. E’ un terribile circolo vizioso.
Un grande filosofo dell’antica Grecia, disse che gli uomini vivono tutta la
loro vita legati alla parete di una caverna, ed immaginando e scambiando le
ombre proiettate sul fondo della parete opposta, per la vita stessa. Essi
credono di vivere, credono di vedere oggetti e persone, ma esse sono
soltanto proiezioni di ombre.
Per questo mi sento prigioniero di un labirinto che io stesso creo
manipolando gli affetti, le relazioni, i rapporti con le persone, con
l’ambiente,
con la natura e con l’universo.
Mi sento prigioniero di un labirinto che io stesso ho creato: per un verso
desidero la felicità in un mondo di esseri felici, essere creativo in un
mondo di persone libere, ma poi realmente – giorno per giorno – creo
rapporti basati sul potere, sull’invidia, sul possesso. Giuro che non lo
faccio apposta: mi scappa!
Sul lavoro – ad esempio – non sopporto che nessuno mi dia degli ordini: se
talvolta lo tollero dal capo, poi – in cuor mio – lo mando a quel paese e
gli giuro vendetta. Ma non ne sono consapevole: solo che magari dopo 3 o 4
mesi – appena ne ho la possibilità – pur non ricordando nulla di
quell’episodio,
sono lieto di vendicarmi per lo sgarbo subito. Chissà, magari penso che se
lo merita .
A volte cerco di immaginare come sarebbe la mia vita se non ci fossero i
muri della mia mente. Cerco di immaginare che tutti siamo al di sopra del
proprio labirinto. Cerco di immaginarmi al di sopra del labirinto, al di
sopra delle corde che mi tirano: i sensi di colpa, le paure, la rabbia .
Cerco di immaginarmi fuori dalla caverna e di girare lo sguardo attorno:
cosa vedrei? Come sarebbero le persone? Come sono veramente? Cosa fanno e
come si relazionano a me? Se non chiedessi a nessuno di farmi paura e di
strumentalizzarmi e se nessuno chiedesse a me di impersonare le sue paure e
i suoi fantasmi, come sarebbe il mondo?
Vedrei solo la mia anima e le anime degli altri? Amerei incondizionatamente?
Sarebbe tutto Amore?
Ecco perché non vivo in un mondo d’amore: perché non so neppure com’è fatto.
Se riuscissi almeno ad immaginarlo, a pensarlo, a visualizzarlo anche solo
per un istante, almeno avrei il filo rosso da seguire di cui parlavo prima.
Se tutte le persone da sempre conoscono solo dolore, violenza e sofferenza,
come può essere diverso il loro futuro? Come può essere diverso il futuro
dei loro figli?
Osservo intorno a me persone che sanno benissimo cos’è il dolore, cosa
significa essere feriti, cosa significa sentirsi totalmente soli ed
abbandonati: Vedo persone che conoscono perfettamente la sofferenza e
l’angoscia:
raramente trovo persone che conoscono la felicità, la bellezza, l’amore e
che non ti chiedono di rappresentare nulla.
A volte penso che uscire dalla caverna però comporta dei costi non
indifferenti. A volte ho l’impressione che fuori dalla grotta mi sentirei
nudo, più nudo che se fossi semplicemente spogliato. A volte penso che fuori
dalla grotta sarei solo, molto più solo che dentro ad una metropolitana
affollata. Penso che uscire dalla grotta significa prendersi totalmente la
responsabilità della propria vita, senza più nessun vittimismo nei confronti
dell’esistenza.
Che prezzo alto! Un costo altissimo che davvero pochi possono permettersi.
Eppure, per quanto costoso, mi sembra di pagare ogni giorno, un prezzo
ancora più alto solo per avere la mia dose di sofferenza quotidiana. Sono un
drogato di sofferenza, e molti attorno a me sono tossico-dipendenti quanto,
e forse più di me. Sarebbe banale e riduttivo definirlo semplicemente
“masochismo”. Questo è un cancro molto più profondo e terribile perché è
invisibile ed inconscio.
Quanto dolore bisogna attraversare per decidere di uscire dalla grotta?
Quanta sofferenza bisogna sopportare per scegliere di tagliare le corde che
ci legano? Quanta paura bisogna affrontare per prendere in mano finalmente
la propria vita?
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