A wonderful mind – Una mente meravigliosa (completo)

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A wonderful mind – Una mente meravigliosa (completo)

COME TRASFORMARE L’IO ORDINARIO NEL VERO SÉ UNA MENTE RIBELLE IN UNA MENTE MERAVIGLIOSA

di MARCO FERRINI

Da tempo immemorabile dentro di noi sembra che convivano due “esseri”. Tra l’io superiore e l’io
ordinario si combatte una perenne battaglia per il predominio sul regno della coscienza. Per
l’essere umano condizionato, i dilemmi più penosi sono creati dalla estenuante tensione tra i due
poli, che presentano soluzioni tanto diverse quanto sono diverse le loro motivazioni. Tali tensioni
perdurano fintanto che l’io ordinario – prodotto di scelte arbitrarie della psiche – non viene
armoniosamente reintegrato nel campo energetico dell’io superiore, l’anima. I dubbi che la mente
talvolta insinua sono legati al cangiante e mutevole mondo dell’impermanenza, ed è normale che il
fenomeno si intensifichi in prossimità di scelte di vitale importanza. In ciascuna di queste fasi è
l’io ordinario che protesta, ma non fatevi intimorire.

Finora l’io ordinario, il falso ego l’ha fatta da padrone, ha oscurato il vostro io superiore, il
vero sé: vi ha tiranneggiati impunemente vita dopo vita, vi ha resi schiavi di illusori progetti di
felicità, di farneticanti ambizioni e della paura della morte. Adesso che lo state spodestando, che
state per riguadagnare la libertà, ovviamente si ribella. L’io ordinario, detto anche “falso ego”, è
sospettoso, arrogante, orgoglioso, egocentrico, insoddisfatto e irritabile. E’ come una bestia
scaltra e famelica, sempre in cerca di preda nella forma di prestigio e piaceri illusori. L’io
superiore è il sé, l’essere spirituale nascosto, l’atman, la cui chiara voce di saggezza solo
raramente abbiamo udita ed ascoltata. Il falso ego è il Distruttore, il principio di separazione. E’
l’antagonista dell’Amore. L’ego dà l’illusione di raggiungere la felicità, ma a contatto con esso
non vi è che piacere effimero.

L’ego dà l’illusione di possedere l’amore, ma questo sentimento accostandosi all’ego diventa un
attaccamento morboso. L’amore divino immortale appartiene all’anima; gli attaccamenti egoistici e
condizionati appartengono all’ego falso, l’io ordinario. Liberarsi dalla prigione dell’ego falso
(ahamkara) è il primo e più importante lavoro da fare da parte di un aspirante spiritualista,
qualsiasi tradizione o sentiero religioso egli scelga di seguire. Liberandosi da ahamkara non si
smarrisce la propria identità, anzi essa può risorgere solo quando vengono meno le false
identificazioni e maschere della personalità (sarvo upadhir vinir muktam). Finché rimaniamo
avvinghiati all’ego falso e ci trastulliamo con esso, non ci sarà modo di conoscere né Dio né noi
stessi. Il compito è serio, impegnativo, ma anche grandioso, magnifico e affascinante. Ci conduce a
vedere noi stessi, gli altri e ogni cosa nel mondo con gli occhi dell’io superiore, percependoci
come creature del Signore che operano per la Sua grazia e misericordia, in armonia con il Tutto. Nel
Buddhismo l’ego è descritto come la causa del dolore e di tutti i mali; si combatte con la radicale
rinuncia al mondo. Nelle Tradizioni mediorientali: Ebraismo, Cristianesimo, Islam, si combatte con
la rinuncia, la preghiera e il digiuno.

Nel Vedanta e nel Samkhya l’ego è considerato la causa principale di avidya, di allontanamento da
Dio, di caduta e degradazione, di perdita di identità spirituale. Esso è il più grande ostacolo alla
realizzazione del Sé e della Felicità; è la forza che si oppone all’anima e a Dio. E’ la principale
causa dell’invidia e di caduta negli angeli e negli uomini: da Lucifero a Macbeth, sia nelle vicende
antiche che in quelle moderne. A causa dell’ego Lucifero diventa Satana (‘l’Avversario’, in ebraico)
e Lord Macbeth diventa un assassino, una persona degradata e ripugnante. In lui l’ego distruttore si
manifesta nella propria sposa, Lady Macbeth, che risveglia ed incrementa le sue tendenze negative.
Il principio di Eva e di Adamo è in ciascuno di noi, così come c’è in ciascuno di noi l’angelo e il
demone. Se scegliamo di nutrire il demone, vincerà. Se nutriamo l’angelo e la sua luminosa natura
spirituale, vincerà l’angelo. In ognuno di noi ci sono Vitra e Indra, Lucifero e Michele.

Il nostro destino dipende dalla scelta che facciamo, se decidiamo di assecondare l’uno o l’altro.
Assieme all’orgoglio e alla superbia, il falso ego é la caratteristica principale degli asura.
L’umiltà è l’atteggiamento opposto e, in parte, ne è anche l’antidoto. In una celebre metafora con
cui Shri Caitanya Mahaprabhu ammaestra il suo principale discepolo, Shrila Rupa Gosvami, la
devozione dell’aspirante spiritualista viene paragonata ad una tenera pianticella, bhakti lata bija,
circondata dalle piante infestanti dell’ego che tendono a soffocarla.

Se desideriamo l’evoluzione e la felicità, dovremmo con ogni nostra forza prenderci cura della
tenera pianticella della Bhakti, proteggendola praticando la sadhana (disciplina spirituale) in modo
costante (abhyasa) e con distacco emotivo dal fenomenico (vairagya), sviluppando il puro desiderio
di servizio e di offerta a Dio. L’offerta al Supremo di tutto ciò che si possiede è definita da Shri
Caitanya come la più alta forma di rinuncia: yukta vairagya. La malapianta dell’ego è sradicata
dalla pratica costante della sadhana bhakti con umiltà e in spirito di servizio. L’umiltà autentica
deriva dalla consapevolezza della nostra natura di servitori di Dio; è l’umiltà della parte che si
rapporta al Tutto, al Creatore, alle creature e al creato. Essa si sviluppa imparando a rispettare e
a valorizzare tutti gli esseri, chiunque essi siano, a prescindere dal corpo che temporaneamente
indossano. Con questa attitudine, per misericordia divina, cessano gli errori e le offese che
ostacolano la realizzazione spirituale e il nostro viaggio procede rapido verso la Meta suprema,
param gatih. Libertà, giustizia, serenità, sapienza, felicità e amore.

Più prestiamo attenzione agli insegnamenti spirituali, più li contempliamo e li integriamo nella
nostra vita di tutti i giorni, più si risveglia e si rafforza in noi la voce interiore, la saggezza
innata del discernimento che, nella cultura della Krishna-bhakti, nel Gaudiya-Vaishnavismo, è
chiamata tattva-viveka, consapevolezza discernente. Se incominciamo a distinguere tra le insistenti,
suadenti quanto ingannevoli voci dell’io – che peraltro è privo di esistenza ontologica – e la
veritiera voce del sé – realtà immortale – e scegliamo deliberatamente e irrevocabilmente la guida
della seconda, questa ci apre la luminosa via della libertà, della salvezza, della gioia e
dell’Amore. Allora e solo allora inizia a manifestarsi in noi il chiaro ricordo della nostra
autentica natura – una e indivisa – quella spirituale, in tutto il suo splendore e divina verità. A
quel punto i vaneggiamenti dell’ego falso non distolgono più dalla retta comprensione-visione e
anche gli ultimi dubbi cessano, e con essi i capricci della fu mente ribelle. Poiché il vero
ostacolo alla realizzazione spirituale è la mente ribelle, una volta conquistata e resa docile
strumento sotto l’egida dell’anima è possibile sperimentare prontamente la felicità ineffabile
dell’estasi. L’esperienza psicologica dell’inferno precede l’ascesa al Cielo, passando quasi
invariabilmente per la fase intermedia del Purgatorio.

Il primo passo concreto su questo sentiero è l’abbandono a Dio, espresso poi anche formalmente dal
rito dell’iniziazione (Hari-nama diksha).

Del resto, la vita iniziatica – dono divino che permette di trasformare in un puro diamante la mente
– richiede chiarezza, onestà, coraggio e fermezza. Infatti, quando si sono sufficientemente
praticate e sviluppate nel carattere queste fondamentali qualità, la Grazia Divina discende e tutto
s’illumina, la ex plumbea mente si colora di aurei bagliori, l’anima è strappata alla schiavitù
della materia e si libra in Cielo…Solo allora l’evoluzione spirituale diventa rapida e prende
concretamente realtà, anche nel mondo tridimensionale.

da www.marcoferrini.net

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