Abbiamo capito meglio perché il sonno profondo aiuta la memoria

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Abbiamo capito meglio perché il sonno profondo aiuta la memoria

Le onde lente del sonno ristoratore preparano la neocorteccia del cervello a trattenere i ricordi a
lungo: possiamo usarle per potenziare la memoria?

17 dicembre 2024 – Elisabetta Intini

Non tutte le fasi del sonno sono ugualmente cruciali, per la memoria.

Il sonno, e in particolare il sonno profondo o a onde lente, è un balsamo per la memoria: è un fatto
consolidato da vent’anni di ricerche scientifiche. Meno chiaro è come ci riesca, e che cosa accada
nel cervello quando i ricordi di recente codificati vengono immagazzinati in modo duraturo nella
memoria a lungo termine.

Ora uno studio dell’Ospedale Universitario della Charité di Berlino (Germania) rivela che le onde
lente caratteristiche del sonno profondo rendono la neocorteccia, cioè la parte del cervello
incaricata della memoria a lungo termine, ancora più pronta a ricevere nuove informazioni. I
dettagli della ricerca sono su Nature Communications.

Sonno a onde lente: che cosa vuol dire?

Il sonno è caratterizzato da blocchi in sequenza di fasi non-REM e fasi REM (quelle con rapido
movimento oculare, caratterizzate da sogni vividi) che procedono a blocchi di 90 minuti. Il sonno
profondo si verifica nella fase finale del sonno non REM, ed è quel tipo di sonno di cui abbiamo
bisogno per essere davvero riposati al mattino: se veniamo svegliati dal sonno profondo, ci sentiamo
particolarmente intontiti.

Il sonno profondo è caratterizzato dalle cosiddette onde lente, oscillazioni sincrone e lente di
attività elettrica generata dai neuroni della corteccia, che hanno origine quando il voltaggio
elettrico di molti neuroni simultaneamente sale e scende di nuovo, una volta al secondo.

Gli esperti sanno da tempo che le onde lente danno un contributo essenziale al consolidamento della
memoria. Non a caso, se vengono indotte artificialmente “da fuori”, la capacità di ricordare
migliora.

Ricordiamo che nel sonno, il cervello riavvolge e ripropone gli eventi accaduti nell’arco della
giornata, spostando le nuove informazioni acquisite dai cassetti della memoria a breve termine nella
struttura cerebrale dell’ippocampo, alla cassaforte dei ricordi a lungo termine nella neocorteccia,
cioè la parte di corteccia cerebrale più recente dal punto di vista evolutivo.

La formazione dei ricordi stabili, osservata “in diretta”

Gli autori dello studio sono riusciti a usare porzioni intatte di tessuto cerebrale – un materiale
molto raro sul quale lavorare – per chiarire il processo che permette di potenziare la memoria
durante il sonno.

Sulle piccole parti di cervello asportate da 45 pazienti, sottoposti a interventi di neurochirurgia
per curare l’epilessia o tumori, gli scienziati hanno riprodotto le fluttuazioni di voltaggio
tipiche del sonno a onde lente e quindi misurato la risposta dei neuroni.

Grazie a micropipette di vetro posizionate sulle cellule nervose, sono riusciti ad “ascoltare” le
comunicazioni tra cellule nervose interconnesse con una precisione nanometrica.

È emerso che le connessioni tra neuroni della neocorteccia (sinapsi) lavoravano con la massima
efficienza in un momento preciso delle oscillazioni, «immediatamente dopo che la carica elettrica è
salita da bassa ad alta» spiega Franz Xaver Mittermaier, primo autore dello studio.

«In quella breve finestra di tempo, possiamo immaginare la corteccia come in uno stato di elevata
recettività. Se il cervello ripropone un ricordo esattamente in quel momento, esso è trasferito alla
memoria a lungo termine in maniera particolarmente efficace. Quindi, è evidente che il sonno a onde
lente supporta la formazione della memoria rendendo la neocorteccia recettiva al massimo, e per
molti brevi periodi di tempo».

Sonno profondo per migliorare la memoria

La scoperta potrebbe servire ad affinare strategie per potenziare la memoria, laddove questa sia
deteriorata in modo patologico (per esempio, in pazienti anziani con decadimento cognitivo lieve
(Mild Cognitive Impairment, MCI).

Diversi gruppi di ricerca stanno infatti lavorando a metodi per influenzare, attraverso segnali
elettrici o acustici, l’andamento delle onde elettriche durante il sonno. Lo studio precisa qual è
la finestra di tempo nella quale queste oscillazioni agiscono sulla memoria con maggiore efficacia.

www.nature.com/articles/s41467-024-53901-2

da focus.it

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