ABBIAMO DUE CERVELLI: UNO IN TESTA E UNO NELLA PANCIA
tratto dalla rivista scientifica “Focus” del marzo 2001
Amelia Beltramini
La rivoluzionaria scoperta del cervello addominale: ricorda, ha nevrosi e domina il “collega” più
nobile. In tutte le culture, nei modi di dire, nel senso comune, la pancia è tradizionalmente la
sede principale (più del cervello) dei sentimenti e delle emozioni. Ma fino a oggi per gli
scienziati era un semplice tubo governato dai riflessi; e per la maggior parte dei cittadini del
mondo occidentale solo la parte più prosaica, viscida e rumorosa del corpo umano. Finché a qualcuno
non è venuto in mente di contare le fibre nervose dell’intestino. E ha così scoperto che i modi di
dire si basavano su una realtà scientifica: nella pancia c’è un secondo cervello, quasi una copia di
quello che abbiamo nella testa. Non serve solo alla digestione. Come il cervello della testa anche
quello addominale produce sostanze psicoattive che influenzano gli stati d’animo, come la
serotonina, la dopamina, ma anche oppiacei antidolorifici e persino benzodiazepine, sostanze
calmanti come il valium. Anche il collega “di sotto” soffre di stress e nevrosi. Il cervello
addominale, insomma, lavora in modo autonomo e invia più segnali al cervello “nella testa” di quanti
non ne riceva da esso. Aiuta a fissare i ricordi legati alle emozioni. Può ammalarsi, soffrire di
stress e sviluppare proprie nevrosi. Prova sensazioni, pensa e ricorda. E aiuta a prendere
decisioni.
Che bisogno c’era di due cervelli? “Nella scatola cranica tutto non ci stava” spiega Michael
Schemann, docente di fisiologia alla facoltà di veterinaria di Hannover (Germania). “Per far passare
i collegamenti col resto del corpo il collo avrebbe dovuto avere un diametro enorme. ” poi, appena
dopo la nascita, il neonato deve mangiare, bere e digerire: meglio che questae funzioni fondamentali
siano autonome”. Durante la formazione dell’embrione, quindi, una parte delle cellule nervose viene
inglobata nella testa, un’altra va nell’addome: i collegamenti fra i due sono tenuti dal midollo
spinale e dal nervo vago. Al secondo cervello sono affidate le “decisioni viscerali”, cioè spontanee
e inconsapevoli: ha quindi un ruolo importante nella gioia e nel dolore. Per studiare questo secondo
cervello è nata una nuova scienza, la neurogastroenterologia. Le basi le ha gettate, a metà
dell’800, Leopold Auerbach, un neurologo tedesco, che, osservando al microscopio l’intestino notò
due strati sottilissimi di cellule nervose tra due strati di muscolo. E scoprì che questa specie di
calza a rete avvolge tutto il tratto digerente, fino al retto. Stesse cellule, stessi principi
attivi e ricettori: sono quasi identici.
A che cosa servono?, si chiese Auerbach. Allora dell’intestino non si sapeva molto se non che estrae
l’energia dal cibo. Di qui, nell’arco di una vita, passano più di 30 tonnellate di alimenti e 50
mila litri di liquido. Il cuore, al confronto, è una pompa primitiva. Una volta masticato in bocca e
intriso di succhi gastrici nello stomaco, il boccone, divenuto chimo (cioè poltiglia), viene
compreso nel duodeno, il primo tratto dell’intestino lungo 30 cm. Qui affluiscono le secrezioni del
pancreas e della cistifellea i cui enzimi scompongono il chimo in molecole piccolissime. Poi il
chimo passa nell’intestino tenue, lungo fino a 5 metri, dove avviene la digestione. Il cibo
sminuzzato, i grassi, i carboidrati e le proteine vengono assorbiti nei vasi sanguigni e linfatici
da miliardi di piccoli villi che tappezzano le pareti. Dopo l’intestino tenue, c’è il crasso, lungo
1,5 metri: serve a riassorbire i 9 litri di liquidi necessari alla digestione. Le pompe molecolari
del crasso assorbono quest’acqua e la restituiscono all’organismo. Alla fine del viaggio i residui
di cibo, le cellule morte e i microrganismi vengono spinti verso l’uscita, l’ano, grazie a un
robusto fascio muscolare.
La rete di cellule nervose intravista da Auerbach è la centralina di gestione e di controllo: non si
limita ad analizzare la composizione del cibo e a coordinare i meccanismi di assorbimento e di
escrezione. Comanda anche la velocità del transito e altre funzioni grazie all’equilibrio tra
neurotrasmettitori inibitori ed eccitatori, ormoni stimolanti e secrezioni protettive. Quella che
per noi è solo una bistecca, per il cervello addominale è una realtà fatta di milioni di sostanze
chimiche da analizzare, per decidere se si tratta di elementi da assorbire, di un veleno o di un
microrganismo da tenere a distanza. Perché il cervello dell’addome è anche l’organizzatore del
fronte contro gli invasori. Il suo compito principale è sovrintendere alla superficie più grande del
corpo umano in contatto con l’esterno. E’ la parte più estesa a contatto con l’esterno: siamo cavi.
“All’interno siamo cavi” dice Michael D. Gershon, neuroscienziato della Columbia University di New
York, ” il corpo viene a contatto con l’esterno non solo attraverso la pelle ma anche attraverso la
parete dell’intestino.
Un tunnel così ben costruito da consentire all’ambiente circostante di attraversarci senza farci
alcun danno”. Nell’intestino, infatti, abitano circa 500 specie di esseri potenzialmente letali.
Addirittura metà delle feci è fatta di batteri morti. Per questo le pareti intestinali devono essere
la difesa più efficiente dell’organismo. Così si spiega perché vi si trovino il 70% delle cellule
del sistema immunitario. E se nell’addome penetrano veleni, il cervello addominale avverte il
cervello della testa che reagisce con una strategia prestabilita: vomito, crampi e diarrea. Se il
veleno è identificato precocemente viene eliminato dall’alto per la via più breve. Se, invece, è già
a mezza strada, entra in gioco il riflesso peristaltico. E’ fatto di contrazioni ondulatorie della
parete muscolare dell’intestino, che spingono il contenuto dalla bocca verso l’ano. Queste
contrazioni sono sincronizzate dal cervello addominale, stimolato dalla pressione sulle sue pareti.
Basta che un boccone di cibo dilati un segmento dell’intestino, che le cellule nervose iniziano a
secernere neuromediatori, cioè proteine che sono il linguaggio chimico delle cellule nervose, che
inibiscono o eccitano le cellule muscolari responsabili del riflesso. Se predomina l’inibizione,
l’intestino si ferma: è la stitichezza cronica e le feci si fanno dure perché stando tanto tempo nel
crasso vengono disidratate. Se invece predomina l’eccitazione il trasporto accelera fino alla
diarrea, perché è tanto veloce da non dare tempo al crasso di riassorbire i liquidi. In genere più
si penetra nell’apparato digerente, più debole diventa il controllo del cervello nella testa. La
bocca, parti dell’esofago e lo stomaco si lasciano ancora dire qualcosa da lassù. Dopo il piloro, la
regia passa alla pancia.
Gershon s’innamorò del cervello addominale quando era studente, apprendendo che la serotonina, un
neuromediatore, influiva sugli stati d’animo. Scoprì poi che il 95% della serotonina è prodotta
dalle cellule nervose dell’intestino ed è responsabile anche del riflesso peristaltico. Quando la
pancia “si irrita” combina un sacco di guai. Nessuno prese sul serio Gershon fino al 1981 quando uno
dei suoi oppositori, l’australiano Marcello Costa, dimostrò che le cellule nervose dell’intestino
producono serotonina, che nel frattempo si era rivelata uno dei tanti neuromediatori del sistema
nervoso. Ma non è l’unica sostanza secreta dal cervello addominale, che è un’enorme fabbrica chimica
perché produce una quarantina di neuromediatori con i quali con quali comunica attraverso il
cervello della testa. Le cellule di entrambi i cervelli infatti parlano la stessa lingua chimica. E
questo spiega perché spesso nei malati di Alzheimer e di Parkinson si riscontra lo stesso tipo di
lesioni in entrambi i cervelli. E perché i farmaci psichiatrici agiscono anche sull’intestino e
quelli gastroenterici anche sul cervello. Un ormone gastrico, la secretina, viene sperimentato nella
terapia dell’autismo, una malattia psichiatrica. Un anti-emicrania seda gli intestini iperattivi.
Gli antidolorifici calmano alcune infiammazioni del tratto digerente. E alcuni antidepressivi
agiscono sull’umore cerebrale, ma anche sul cervello addominale causando diarrea o stitichezza.
L’ultima terapia in sperimentazione contro il colon irritabile è frutto degli studi sul cervello
addominale. Di colon irritabile soffre il 20% della popolazione: causa dolori all’addome,
evacuazioni irregolari, accumulo d’aria nell’intestino. Non si sa perché il colon di questi pazienti
funziona male. Il colpevole, secondo Schemann, è il cervello addominale. Oppure cervello alto e
cervello basso non si intendono, e lo stesso avverrebbe in una cinquantina di altre malattie.
Gershon sostirne che il cervello addominale è soggetto a nevrosi. La comunicazione tra i due
cervelli è comunque dominata da quello nella pancia. E’ da qui che parte, diretto alla testa, il 90%
dei messaggi. La maggior parte di questi messaggi sono inconsci, cioè avviene senza che noi ne
prendiamo coscienza. Li percepiamo solo quando sono segnali di allarme, che scatenano reazioni di
malessere. I depressi sentono tutti i movimenti del loro intestino.
Emeran Mayer, docente all’università della California, ha scoperto che una parte dei messaggi del
cervello addominale arriva nel sistema libico, posto al centro del cervello della testa. Questa area
ha il compito di elaborare i segnali negativi e reprimere le sensazioni spiacevoli. “E’ un po’ come
il fenomeno del maglione che pizzica” spiega Mayer “dopo un po’ non lo si avverte più”. Gli stimoli
provenienti dall’intestino vengono percepiti solo se superano una soglia piuttosto alta, mentre chi
soffre di colon irritabile, secondo Mayer, avrebbe una soglia più bassa e avvertirebbe ogni
movimento intestinale. “Anche i depressi e gli ansiosi hanno alterazioni simili” dice Mayer. Perché
si abbassa la soglia? Forse per lo stress. Se il cervello della testa percepisce tensione e paura,
chiama a raccolta le cellule dell’intestino che producono sostanze irritanti come l’istamina. Questa
proteina a sua volta attiva le cellule nervose del tubo digerente che fanno contrarre le cellule
muscolari: ecco spiegati crampi o diarrea. Il segnale di allarme va poi al cervello della testa che
lo ritrasmette verso il basso e così via. Se l’ansia non cala, il cerchio si chiude e i sintomi si
cronicizzato. Gli stress del passato restano impressi anche nella pancia. Il cervello addominale
sarebbe addirittura dotato di memoria che per fissare i ricordi usa le stesse molecole del cervello
della testa: gli stress del passato si stampigliano così nel cervello e nell’addome, dice Schemann,
rendendo l’asse cervello-addome ipersensibile per tutta la vita. E questo spiega perché i bambini
che soffrono di coliche nell’infanzia hanno in genere un rischio maggiore di diventare adulti
sofferenti per il colon irritabile.
Anche i topi esposti da neonati a situazioni stressanti sono adulti ipersensibili, con sintomi
intestinali simili a quelli da colon irritabile. E il 40% dei pazienti con colon irritabile soffre
in genere anche d’ansia e depressione. Che malinconia e paura nascano allora nell’intestino? “I
nostri risultati dicono che, così come la fame e la sazietà influiscono sull’umore, nel cervello
addominale si può celare l’origine di altri stati d’animo, e tra questi anche la classica
depressione” sostiene Mayer. Queste ricerche sono però ancora agli inizi. Ogni volta che l’intestino
si contrae ed emette serotonina o altri neuromediatori le informazioni viaggiano lungo il nervo vago
fino al cervello della testa. Dove vengono tradotte in malessere o allegria, stanchezza o vitalità,
umore buono o cattivo. Anche la pancia sogna durante la fase rem del sonno. “Possiamo perfino dire
che il cervello addominale pensa” dice Schemann. ” E’ organizzato in modo funzionale, lavora con una
serie di circuiti, è in grado di registrare stati diversi e reagire autonomamente: insomma possiede
tutto ciò che serve a un sistema nervoso integrativo”.
Quello che è certo è che l’addome crea l’atmosfera per la testa: La testa è la “banca delle
emozioni” che raccoglie tutte le reazioni e i dati, soprattutto nella corteccia anteriore, dietro la
fronte, particolarmente legata all’addome. Il cervello dell’addome insomma racconta la sua versione
al cervello della testa, crea il suo “profilo emotivo” e prepara un “letto di sensazioni”, anche per
la notte. E infatti, durante la fase rem del sonno, quando produce onde dolci e si popola di sogni,
anche le viscere iniziano a ondeggiare grazie alla serotonina. “E dopo un pasto pesante non si fanno
forse brutti sogni?” si domanda Mayer. Con queste onde il cervello della testa fissa i ricordi con
il loro carico di emozioni. Più saranno fissate le emozioni, migliori saranno le decisioni della
volta successiva. “Nei prossimi anni potremmo scoprire che il cervello nell’addome è la matrice
biologica dell’inconscio. Una scoperta importante per gli uomini quanto quella di Copernico sul
sistema solare ” sostiene Gershon.
LA MEMORIA DEL CUORE HA BRUTTI RICORDI
Anche il cuore avrebbe una memoria: ipotizzata 15 anni fa, la sua esistenza ora è stata provata da
Michael Rosen, docente della Columbia University di New York, esperto di aritmie, sulla rivista
scientifica Circulation. Brutti ricordi. Una memoria maligna, capace di ricordare solo gli eventi
spiacevoli: le aritmie più gravi, l’installazione di pace maker. Quando memorizza, accumula
all’interno delle sue cellule un ormone, l’angiostatina 2, che fa aumentare il rischio di aritmie.
Dimenticare o no? “E’ una memoria che potrebbe essere responsabile di alcune morti inspiegabili” ha
ipotizzato Rosen. Alcuni farmaci, come quelli utilizzati per lo scompenso cardiaco, sono in grado di
far perdere la memoria al cuore. “Ma non sappiamo se questo possa essere un bene o un male” dice
Peter Schwartz, docente di cardiologia all’università di Pavia (Amelia Beltramini).
Focus – Marzo 2001
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