Acufeni: molto più che un problema di udito
In seguito alla perdita di sensibilità a certe frequenze il cervello produce “suoni” che rimpiazzino
quelli mancanti che superano il filtro cerebrale che dovrebbe bloccarne l’accesso alla coscienza
Gli acufeni, o tinnito, sono quell’insieme di fischi, ronzii o crepitii a cui non corrisponde alcun
suono reale, che disturba in modo persistente milioni di persone, causando ad alcuni un semplice fastidio, ad altri una vera e propria disabilità.
Attualmente il tinnito non è curabile, e per lo più gli attuali trattamenti mirano a mascherare il
suono o a imparare a ignorarlo, anche se in alcuni soggetti si registra una diminuzione dei sintomi con la somministrazione di antidepressivi.
All’origine del fenomeno vi è una perdita di sensibilità a certe frequenze dovuta a processi di
invecchiamento, a esposizione a suoni eccessivi o disturbanti a infortuni, che induce il cervello a
produrre “suoni” che rimpiazzino quelli mancanti. Nel processo di percezione cosciente dei suoni,
entrano peraltro in gioco anche altre aree cerebrali e in particolare, come spiega una ricerca pubblicata sulla rivista Neuron, il sistema limbico.
“Riteniamo che questa cattiva regolazione del sistema limbico sia all’origine del tinnito cronico”;
ha detto Josef P. Rauschecker, del Georgetown University Medical Center e primo autore dello studio.
Quando cioè il sistema limbico, che è coinvolto anche nell’elaborazione delle emozioni, fallisce nel
tentativo di bloccare l’accesso di questi suoni al sistema uditivo cosciente, si verifica il tinnito.
Grazie alla fMRI i ricercatori hanno riscontrato una moderata iperattività nella corteccia uditiva
primaria e posteriore, ma una elevata iperattività nel nucleo accumbens, un’area coinvolta nella
gestione della “ricompensa” e delle emozioni. “Ciò suggerisce che questo circuito sia parte di uno
destinato a determinare quali sensazioni siano importanti e quando meritino di essere percepite”.
Intanto, in un’altra ricerca condotta presso l’Università del Texas e in corso di pubblicazione on
line su Nature, un gruppo di ricercatori sembra essere riuscito a “riaddestrare” il cervello di un gruppo di ratti a non produrre più i segnali che sono all’origine del femomeno.
“Pensiamo che la parte del cervello che elabora i suoni, la corteccia uditiva, deleghi troppi
neuroni alle stesse frequenze, che così alla fine danno un’attivazione maggiore di quella che
dovrebbe esserci”, osserva Michael Kilgard, uno degli autori dello studio. Inoltre, questa
attivazione avviene con un sincronismo che li porta a scaricare più frequentemente anche quando c’è silenzio.
Per questo i ricercatori hanno testato se il tinnito potesse essere inibito in ratti esposti a un
particolare rumore aumentando il numero di neuroni sintonizzati su frequenze diverse da quelle degli
acufeni, e ciò realizzando una stimolazione a livello nervoso su frequenze limitrofe a quelle del
tinnito: circa 300 volte al giorno per tre settimane. Valutando quindi le risposte della corteccia
uditiva i ricercatori hanno potuto rilevare che i neuroni destinati alle freuqenze del fastidioso disturbo erano tornati a un livello normale.
“A differenza degli altri trattamenti, non cerchiamo di mascherare il tinnito, ma di riportare il
cervello dallo stato in cui genera questo disturbo a quello precedente, eliminando la fonte del disturbo”, ha detto Kilgard. (gg)
da lescienze.it
http://www.amadeux.net/sublimen/articoli/acufeni_tinnitus_trt.html
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