Al di là delle scritture
di T. N. Krishnaswami
Traduzione a cura di Maria Colimoro de Tora
“Una comunicazione speciale al di là delle scritture;
nessuna dipendenza da parole o lettere;
puntare direttamente al cuore dell’uomo;
scrutare nella propria natura e ottenere la Liberazione.”
Queste sono le riflessioni di un viaggiatore sulla Via della Montagna
concepito da RamanaMaharshi.
La dottrina senza parole di Maharshi è diversa dagli insegnamenti soliti.
Non ci sono credi da elaborare, perciò non c’è bisogno di prediche. Non c’è
niente da teorizzare per la mente o da filosofeggiare. Ciò che è necessario
è la comprensione immediata e intuitiva che parte dal cuore. “Si dice che
l’intricato
labirinto della filosofia delle varie scuole chiarisca gli argomenti e sveli
la Verità, ma di fatto crea confusione laddove non è necessario. Per capire
qualsiasi cosa ci deve essere il Sé. Il Sé è ovvio. Quindi, perché non
limitarsi al Sé? Che bisogno c’è di spiegare il non-Sé?” (1)
Ciò che deve fare il ricercatore è piuttosto disimparare e lasciar andare le
sue idee preconcette sul Sé. Infatti, è noto che Maharshi afferma che, alla
fine, bisogna abbandonare e disimparare anche le scritture. “Tutte le
scritture senza eccezioni proclamano che, per ottenere la salvezza, la mente
deve essere sottomessa. E quando si sa che il loro scopo finale è il
controllo della mente, è inutile intraprendere il loro interminabile studio.
Ciò che si richiede per tale controllo è la reale introspezione con la
domanda: ‘Chi sono?’ Come è possibile porre questa domanda per la ricerca
del Sé utilizzando lo studio delle scritture?” (2)
Questo ricorda un detto di Chuang Tsu che, se uno si libera della piccola
saggezza, otterrà una grande saggezza.
Non ci sono precetti di speciale austerità, ma allo stesso tempo, non è
accettata l’indulgenza. La domanda è sempre la stessa: chi è che ricerca
tutto questo. Facendo nuovamente riferimento a un saggio taoista, è come la
storia, raccontata da Lee Tsu, di un addestratore di animali che domava le
tigri (vasana) trattandole in maniera impersonale, senza gratificare i loro
desideri né provocando la loro rabbia.
Il pensiero è inadatto come mezzo per raggiungere la sadhana. Non è la vera
natura dell’uomo. Crea gli errori e, ciò che è peggio, crea il padre di
questi, una falsa entità, l’ego o essere individuale. “La concentrazione non
è pensare a una cosa, al contrario è escludere tutti i pensieri, poiché
tutti i pensieri ostruiscono il senso del vero essere. Tutti gli sforzi
vanno diretti semplicemente alla rimozione del velo dell’ignoranza.” (3)
Maharshi dice che il Sé non è nei libri: se ci fosse, chiunque potrebbe
diventare un Saggio con lo studio. Non lo si trova neanche negli eremi, e
non serve vivere in solitudine. “Perché pensi al fatto che sei un
capofamiglia? Il pensiero stesso che sei un sannyasin ti tormenterà anche se
decidi di andare avanti. Sia che continui a vivere in famiglia o rinunci ad
essa e vai a vivere nella foresta, la tua mente ti tormenterà. L’ego è la
fonte del pensiero, crea il corpo e il mondo e ti fa pensare di essere un
capofamiglia. Se rinunci, sostituirà il pensiero della rinuncia a quello
della famiglia, e l’ambiente della foresta a quello della famiglia. Ma gli
ostacoli mentali sono sempre lì per te, anzi aumentano enormemente nel nuovo
ambiente. Il cambio del contesto non è di alcun aiuto. L’unico ostacolo è la
mente e deve essere vinto in entrambi i casi, a casa o nella foresta. Se
puoi farlo nella foresta, perché non a casa? Perché cambiare ambiente? I
tuoi sforzi li puoi fare anche ora, qualunque sia l’ambiente.” (4)
Il Sé non è neanche qualcosa da ottenere in qualche data futura. “Nessuno è
mai lontano dal suo Sé, e perciò tutti hanno di fatto realizzato il proprio
Sé: ma – e questo è il grande mistero – la gente non lo sa e vuole
realizzare il Sé. La realizzazione consiste solo nel liberarsi della falsa
idea che non si è realizzati. Non c’è niente di nuovo da acquisire. Deve già
esistere o non sarebbe eterno, e vale la pena di lottare solo per ciò che è
eterno.” (5)
Tutte le dottrine sono fatte dall’ego e per l’ego. L’ego prospera su di
esse. Ma sul sentiero di Maharshi l’esistenza dell’ego è negata fin
dall’inizio,
sia quello dell’insegnante che quello del discepolo. “Non c’è nessun ego. Se
ci fosse, si dovrebbe ammettere l’esistenza di due sé. Perciò non c’è
ignoranza. Se esplori il Sé, scopri che l’ignoranza, che non ha vita
autonoma, non esiste e dirai che è sparita.” (6)
C’è qualcosa nel corpo umano che può chiamarsi ‘Io’ ? Ci sono processi
mentali e vitali, ma la ricerca rivela che non c’è una persona che si può
designare come ‘Io’. (7)
Il processo negativo consiste nell’eliminare intellettualmente il non-io
così da capire che chi elimina tutto non può comunque eliminare sé stesso.
Questa ricerca intellettuale è utile nella ricerca del Sé, ma non è la
ricerca in sé.
Visitatore: “Comincio col chiedermi ‘Chi sono?’ ed elimino il corpo come
non-io, il respiro come non-io, la mente come non-io, ma poi sono incapace
di andare oltre.”
Bhagavan: “Bene, questo funziona solo per la mente. Il tuo processo è solo
mentale … La Verità non può essere indicata direttamente; perciò si usa
questo processo mentale. Vedi, chi elimina tutto il non-io non può eliminare
l”Io’. Per dire ‘Non sono questo’ o ‘Sono questo’ ci deve essere l”Io’ a
dirlo. Questo ‘Io’ è solamente l’ego o ‘Io-pensiero’. Dopo il manifestarsi
di questo ‘Io-pensiero’ nascono tutti gli altri pensieri. L”Io-pensiero’ è
perciò il pensiero radice. Se la radice viene estirpata, anche il resto
viene sradicato. Perciò cerca la radice ‘Io’; domandati: ‘Chi sono?’ trova
l’origine
dell”Io’. Allora tutti questi problemi svaniranno e resterà solo il puro
Sé.” (8)
Perché Maharshi era così contro il pensiero? Perché non era soddisfatto
della ricerca mentale? Perché non si può vedere al di là di questa. E’
creata dall’ego e perciò non può penetrare il Sé sottostante l’ego. Ma la
rinuncia al pensiero non porterà al puro vuoto? Può succedere, è ciò che
accade nel sonno profondo. Ma può anche dare origine al risveglio nel puro
Sat-Chit-Ananda, Essere-Consapevolezza-Gioia. E’ ciò che è definita
Realizzazione. “L’assenza di pensiero non significa vuoto. Ci deve essere
qualcuno per essere consapevoli del vuoto. La conoscenza e l’ignoranza sono
pertinenti solo alla mente e sono in dualità, ma il Sé è aldilà di entrambi.
E’ pura Luce. Non c’è necessità per un Sé di vederne un altro. Non ci sono
due Sé. Ciò che non è Sé è solamente non-Sé e non può vedere il Sé. Il Sé
non ha vista o udito: è aldilà di essi, solo, pura Consapevolezza.” (9)
Dunque, chi ha realizzato il Sé resta assorbito nella Consapevolezza pura,
informe, dimentico del mondo esterno? E’ possibile; è lo stato di trance
noto come nirvikalpa samadhi. Ma non accade necessariamente. La totale e
completa Realizzazione implica anche il ritorno alla consapevolezza formale,
con la piena percezione del mondo esterno, non come realtà autonoma, ma come
manifestazione del Sé. La mente e i sensi sono ancora in grado di conoscere;
se qualcuno dice che la mente è morta, ciò significa solo che non crede più
di immaginare, creare o originare, come faceva prima. Questo è lo stato nel
quale era Maharshi. E’ noto come sahaja samadhi.
Per quelli che non hanno realizzato il Sé, e anche per quelli che ci sono
riusciti, la parola ‘Io’ è riferita al corpo, ma con la differenza che, per
quelli che non hanno realizzato il Sé, l”Io’ è confinato al corpo, mentre,
per quelli che hanno realizzato il Sé dentro il corpo, l”Io’ brilla come il
Sé illimitato.
“Per quelli che non hanno realizzato il Sé e anche per quelli che lo hanno
realizzato, il mondo è reale. Ma per quelli che non lo hanno realizzato, la
Verità viene adattata alla misura del mondo, mentre, per quelli che lo hanno
realizzato, la Verità risplende come la Perfezione senza forma e come il
Sostrato del mondo. Queste sono le differenze tra di loro.” (10)
Perché Maharshi insiste tanto contro l’ego? Perché l’ego è l’usurpatore che
afferma di essere il Sé, la maschera che nasconde la Realtà. La sua
eliminazione è l’unica via di realizzazione del vero Sé sottostante. Il
ricercatore non ha alternative. Non ci può essere il pulcino finché non si
rompe il guscio. Il vero Sé non può essere realizzato finché non si rinuncia
al falso. Perciò Maharshi dice: poiché ciò è in definitiva necessario,
perchè non iniziare subito? poiché bisogna rimanere come Sé, perché non
farlo dall’inizio? poiché altri percorsi ti faranno girovagare e infine
dovrai fronteggiare l’alternativa tra Sé e pseudo-Sé, perché non andare
direttamente e fronteggiarla subito?
“Questo è il metodo diretto. Tutti gli altri metodi vengono praticati
conservando l’ego, perciò sorgono molti dubbi e alla fine resta ancora da
affrontare la domanda fondamentale. Ma con questo metodo la domanda finale è
solo una e nasce fin dall’inizio … poiché tutti i cammini tranne la
ricerca del Sé presuppongono la conservazione della mente come strumento per
seguirli, e non possono essere seguiti senza la mente. L’ego può prendere
forme differenti e più sottili ai diversi stadi della pratica ma non è mai
distrutto. Il tentativo di distruggere l’ego o la mente con metodi diversi
dalla ricerca del Sé è come un ladro che diventa poliziotto per catturare il
ladro, che è proprio lui. Solo la ricerca può rivelare la verità che né
l’ego
né la mente esistono realmente, e può abilitare a realizzare l’Essere puro,
indifferenziato, del Sé o l’Assoluto.” (11)
Molti esitano e trovano questo metodo troppo difficile, perché, fra tutte le
rinunce, questa sembra la più severa, rinunciare non solo al piacere, ma
anche all’entità che desidera e prova piacere. Ma è un’idea sbagliata. Se
fosse vero, un uomo che ha realizzato il Sé, come Maharshi, sarebbe il più
miserabile degli uomini, mentre, di fatto, è il più felice, una felicità
pura e continua, indipendente dalle circostanze esterne. Ciò accade perché,
rinunciando all’ego, non si rinuncia a nient’altro che a un concetto
sbagliato dell”Io’, un errore la cui rimozione rivela la Verità eterna e la
felicità pura che è la vera natura dell’uomo. “L’individualità che
identifica la sua esistenza con quella della vita del corpo fisico come ‘Io’
si chiama ‘ego’. Il Sé, che è pura Consapevolezza, non ha senso dell’ego. Né
il corpo fisico, che in sé è inerte, ha il suo senso dell’ego. Tra i due,
cioè tra il Sé o Pura Consapevolezza e il corpo fisico inerte, sorge
misteriosamente il senso dell’ego o ‘nozione dell’Io’, l’ibrido che non è
nessuno dei due, e che fiorisce come entità individuale. L’ego, o essere
individuale, è alla radice di tutto ciò che è futile e indesiderabile nella
vita, perciò deve essere distrutto con tutti i mezzi possibili. Allora
resterà risplendente solamente Ciò che sempre è. Questa è la Liberazione o
Illuminazione o Realizzazione del Sé.” (12)
Bisogna rimuovere l’errata convinzione che Maharshi prescriva la ricerca del
‘Chi sono?’ fin dall’inizio. Non aveva metodi classificati, né classificava
i suoi discepoli per anzianità. Il progresso era uno stato interno che solo
lui percepiva. Si presume che l’aspirante capisca che non conosce il suo Sé,
e lo esamini per scoprire cosa sia in realtà.
Deve comprendere: “Sono posseduto da una forte visione dell”Io’. Sono
schiavo di uno pseudo-io. Non dovrei prenderlo per il reale ‘Io’ o dargli
quel nome. Questa tragedia del pensiero errato mi ha portato la malattia di
un ‘Io’ sbagliato. Maharshi ha prescritto la medicina giusta per curarmi.
Sono sotto l’incantesimo dell’ego che mi ha ipnotizzato e reso schiavo. Io
stesso gli ho dato il potere di farlo concedendogli il mio senso dell”Io’
senza pensarci. Facendo così lo aiuto a derubarmi del mio vero Sé.”
Infatti, Maharshi spesso cita la storia del Re Janaka che, nell’ottenere la
Realizzazione, esclamava: “Ora ho acciuffato il ladro che mi ha derubato per
tutti questi anni!”
Perché dunque colloco al posto sbagliato il mio senso dell’Io? Perché prendo
per vere le percezioni dei sensi. Devo imparare a riconoscere il vero ‘Io’
che è sottostante alla mente e ai sensi e all’intero mondo materiale. La
mente e i sensi vengono usati per conoscere gli oggetti, ma questa facoltà
non è utile per conoscere il Sé, nel quale non c’è traccia di materialità.
Non si può avere visione del Sé o conoscere il Sé in maniera reciproca,
perché ciò implicherebbe due Sé in sé stessi, uno che conosce l’altro.
“Parli di una visione di Shiva, ma una visione presume sempre un oggetto.
Ciò implica l’esistenza di un soggetto. Il valore di una visione è lo stesso
del vedente, cioè, la natura della visione è sullo stesso piano di quello
del vedente.” (13)
” La visione di Dio è solo la visione del Sé oggettivato come il Dio della
tua fede particolare. Ciò che devi fare è conoscere il Sé.” (14)
E conoscere il Sé è solo conoscere, essere consapevoli, essere.
Devoto: “Quando cerco l”Io’, non vedo niente.”
Bhagavan: “Lo dici perché sei abituato a identificare te stesso con il corpo
e la vista con gli occhi, ma cosa c’è da vedere? E da parte di chi? E come?
C’è solo una consapevolezza e questa, quando si identifica con il corpo, si
proietta attraverso gli occhi e vede gli oggetti che la circondano.
L’individuo
è limitato allo stato di veglia: si aspetta di vedere qualcosa di differente
e accetta l’autorità dei sensi. Non ammetterà che chi vede, gli oggetti
visti e l’atto di vedere sono tutti manifestazioni della stessa
Consapevolezza, l”Io-Io’. La ricerca del Sé aiuta a vincere l’illusione che
il Sé è qualcosa da vedere. Come riconoscere il Sé allora? Bisogna porsi di
fronte a uno specchio per riconoscere il Sé? La consapevolezza è di per sé
l”Io’.
Prendine coscienza e questa è la verità.” (15)
Comunque l’ego si gonfia col vedere, udire, provare sentimenti e conoscere
la materialità. Valuta queste funzioni e le considera appartenenti al Sé.
Accecato da queste idee, non fa l’esperienza del vero ‘Io’. L’attenzione
deve perciò essere distolta dalle percezioni materiali a Quello verso il
quale c’è non-conoscenza (16).
Se Quello venisse conosciuto ed esperito così com’è, verrebbe riconosciuto
come il vero Sé, e allora il falso ‘Io’ scomparirebbe.
L’uomo esterno non è reale e dovrebbe essere reso passivo, un puro ricettore
delle impressioni. La ricerca del Sé è utile nel realizzare ciò. Il viaggio
verso l’interno avviene in territori ignoti ai sensi.
Finché si resta in vita bisognerebbe impegnarsi a raggiungere la propria
fonte. Questo è l’unico scopo degno della vita, l’unica meta degna di essere
cercata, l’unico uso della vita che può porre fine alla sofferenza e
frustrazione e rivelare la pura Gioia, la Consapevolezza radiante, l’Essere
imperturbato che si è in realtà. L’arma per fare ciò, sul sentiero di
Maharshi, è la concentrazione sul ‘senso dell’Io’. Questo non è come gli
altri pensieri che vanno e vengono e possono essere abbandonati secondo la
propria volontà.
L’attenzione deve essere costantemente portata alla sensazione di pura
consapevolezza, pura coscienza dell”Io sono’.
Dapprima questo può essere fatto solo durante le sessioni concentrate di
ricerca del Sé note comunemente come ‘meditazione’ ma in seguito la
consapevolezza dell”Io-sono’ diventa una corrente sottostante tutte le
proprie attività. Questo ‘senso dell’Io’ è l’odore seguendo il quale si
raggiunge il Sé, come un cane rintraccia il suo padrone.
“Sono forse peggio di un cane? Risolutamente Ti rintraccerò e Ti riprenderò,
oh Arunachala.” (17)
Maharshi dice che se uno cerca onestamente l”Io’, il falso ‘Io’ svanisce,
lasciando solo la verità scintillante in tutta la sua gloria originale. Il
suo insegnamento è basato sulla sua esperienza, non sull’insegnamento o sul
ragionamento, e niente di ciò che dice è per amore della discussione. Cosa
può essere più commovente per il viaggiatore sulla Via della Montagna?
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1) (The Teachings of Ramana Maharshi in his own Words, p. 15, edizioni
Rider’s, p. 10, edizioni Sri Ramanasramam)
(2) (Ibid., p. 63/75)
(3) (Ibid., p. 127/160)
(4) (Ibid., p. 78/94.)
(5) (Ibid., p. 23/21)
(6) (Ibid., p. 25/23)
(7) [è lo stesso concetto della dottrina buddista dell’ ‘anatta’] (8) (Ibid., p. 117/146-7)
(9) (Ibid., p. 25/23)
(10) (Forty Verses on Reality, vv. 17-18, da The Collected Works of Ramana
Maharshi, Riders, London, e Sri Ramanasramam, Tiruvannamalai.)
(11) (Ibid., p. 112/139-40)
(12) (Ibid., p. 21/18)
(13) (Ibid., p. 167/213)
(14) (Ibid., p. 168/215)
(15) (Ibid., P. 24/22)
(16) [Quest’espressione richiama il titolo della guida mistica inglese per
gli aspiranti del 14Åãsecolo, ‘The Cloud of Unknowing’] (17) (Primo dei Five Hymns to Arunachala, verso 39. – The Collected Works of
Ramana Maharshi, Riders, London and Sri Ramanasramam, Tiruvannamalai.)
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