Alla lunga il digiuno intermittente potrebbe non fare bene al cuore

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Alla lunga il digiuno intermittente potrebbe non fare bene al cuore

Limitare i pasti a una finestra di 8 ore, seguita da 16 di digiuno, alla lunga potrebbe persino
nuocere alla salute del cuore anziché giovare.

19 marzo 2024 – Elisabetta Intini

Digiuno intermittente: i “pro” sono forse da valutare con maggiore attenzione.

Un tipo di digiuno intermittente in passato associato a benefici per la salute del cuore potrebbe,
alla lunga, non fare bene come promette: lo suggerisce uno studio che ha preso in considerazione i
dati sanitari e le abitudini alimentari di 20.000 statunitensi. In base all’analisi presentata a un
meeting dell’American Heart Association, i partecipanti che avevano dichiarato di mangiare in
finestre ristrette di 8 ore avevano negli anni un rischio più elevato del 91% di morte per malattie
cardiovascolari.

PASTI “A TEMPO”. Quello del digiuno intermittente è un metodo alimentare che prevede l’astensione
dal cibo o la sua drastica limitazione in finestre temporali specifiche. Il più popolare e quello
preso in considerazione nello studio è il digiuno 16:8, che comporta 16 ore di digiuno seguite da 8
in cui vengono organizzati tutti i principali pasti. Ricerche precedenti hanno trovato che questa
pratica migliora nel breve periodo diversi valori importanti per la salute cardiometabolica, come i
livelli di glucosio nel sangue e di colesterolo o la pressione sanguigna.

ALLA LUNGA FA BENE? Tuttavia gli effetti a lungo termine di questo tipo di alimentazione sono meno
conosciuti e Victor Wenze Zhong, epidemiologo e biostatistico della Scuola di Medicina Universitaria
Shanghai Jiao Tong (Cina) ha voluto indagare meglio. Lo ha fatto partendo dai dati estratti dal
National Health and Nutrition Examination Surveys (un database statunitense) per il periodo
2003-2018, confrontati con quelli delle persone decedute negli USA tra il 2003 e il 2019 tratti da
un altro database nazionale.

PROTETTI? NON SEMBRA. «Siamo rimasti sorpresi nell’appurare che le persone che seguivano un regime
di digiuno intermittente su 8 ore erano più inclini a morte per malattia cardiovascolare», nota
Zhong. Questo rischio aumentato è risultato presente anche per le persone già affette da malattia
cardiaca o cancro, e anche, in questo sottogruppo di pazienti, se la finestra di tempo utile per
mangiare veniva prolungata da 8 a poco meno di 10 ore: in questo caso il rischio di morte per eventi
cardiaci risultava aumentato del 66%. Comunque il digiuno intermittente non è parso – nel lungo
periodo – ridurre il rischio generale di morte precoce per ogni causa.

SOLO UNA QUESTIONE DI TEMPO? Lo studio invita ad usare un approccio più cauto e personalizzato nel
caldeggiare il digiuno intermittente, specialmente a pazienti affetti da malattie cardiache o
cancro. Tuttavia, è importante notare che l’analisi si limita a segnalare un’associazione tra questo
regime alimentare e il rischio cardiovascolare; non dimostra alcun legame di causa-effetto tra le
due cose.

E ha anzi alcuni limiti importanti, come quello di essersi affidata ai ricordi dei partecipanti (e
non a strumenti di valutazione più rigorosi) per determinare la loro dieta tipica, e di non aver
preso in considerazione altri fattori che potessero influire sul rischio di morte al di là del
numero di ore durante le quali è concesso mangiare. Non è ancora chiaro, per esempio, quale fosse la
qualità nutrizionale della dieta dichiarata dai partecipanti, al di là della finestra di tempo in
cui si nutrivano.

www.abstractsonline.com/pp8/#!/20343/presentation/379

da focus.it

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