Alla ricerca del tessuto dello spazio-tempo

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Alla ricerca del tessuto dello spazio-tempo

29 aprile 2016

Un gruppo di ricercatori italiani ha pubblicato uno studio teorico che collega relatività generale e
meccanica quantistica, proponendo una soluzione a uno dei maggiori problemi della fisica. Il
modello, che ha il pregio di poter essere verificato sperimentalmente, prevede uno spazio-tempo che
alle scale più piccole ha una struttura granulare e discreta, e non più continua come ipotizzato
nella fisica classica (red)

da lescienze.it

Se passiamo la mano su un panno di cotone oppure su uno di lana, ci sembreranno lisci, privi di
discontinuità. Se li guardiamo con una lente d’ingrandimento o meglio con un microscopio ci appare
evidente che si tratta di tessuti, in cui le fibre intrecciate formano una struttura reticolare
discreta, nella quale i pieni si alternano ai vuoti.

La stessa cosa può valere per lo spazio-tempo, il tessuto composto da tre dimensioni spaziali e una
temporale che pervade l’universo.

Secondo alcune teorie, a una dimensione piccolissima, nota come scala di Planck, pari a 10 elevato
alla meno 33 centimetri, questo tessuto ha una struttura granulare. A questo insieme di teorie sulla
natura dello spazio-tempo ora si aggiunge anche quella formulata da Stefano Liberati della SISSA di
Trieste, Francesco Marin e Francesco Marino del LENS di Firenze e Antonello Ortolan dell’INFN di
Padova, e pubblicata sulle “Physical Review Letters”.

Per capire la portata di questa proposta bisogna ripercorrere i concetti di spazio e di tempo
formulati da varie teorie fisiche. L’idea di uno spazio-tempo continuo è fondamentale nella fisica
classica come nella teoria generale della relatività. In queste teorie, tra due punti non ci sono
buchi o salti, per quanto piccoli, in cui non esiste lo spazio o non esiste il tempo.

La teoria generale della relatività, basandosi su questo concetto continuo dello spazio-tempo spiega
bene tutti i fenomeni del cosmo che hanno a che fare con l’interazione gravitazionale, descrivendo
per esempio con precisione la dinamica delle grandi masse su grandi distanze.

All’estremo opposto della scala delle lunghezze, cioè nel mondo microscopico, la descrizione che la
meccanica quantistica fa della realtà è un’altra. La materia
ha una struttura granulare, caratterizzata da atomi e da particelle ancora più piccole degli atomi,
e le grandezze fisiche sono appunto quantizzate, cioè possono assumere solo valori discreti,
saltando da un valore a un altro, come quando si scendono o si salgono le scale. Ecco allora che per
i fisici sperimentali nasce un problema fondamentale: come mettere d’accordo la meccanica
quantistica con la relatività generale?

La risposta sarebbe una teoria quantistica della gravitazione, che però non esiste ancora come
teoria consolidata e condivisa da tutti, nonostante decenni di tentativi. Così come sono, infatti,
meccanica quantistica e relatività generale sono inconciliabili. Bisogna introdurre diversi
postulati, rinunciando ad alcuni principi e mantenendone altri. Sono nati così “scenari” che
differiscono tra loro per i diversi postulati iniziali e quindi per le conclusioni a cui arrivano.

Per alcuni di questi scenari, come nella gravità quantistica a loop, proposta per la prima volta dal
gruppo di Lee Smolin, lo spazio-tempo non è continuo, ma ha una sua granularità a scale molto
piccole, cioè sotto la scala di Planck, che è un limite assoluto per le lunghezze: al di sotto di
essa non si può scendere.

Tutto questo però crea un problema. Se infatti consideriamo la teoria ristretta della relatività,
elaborata sempre da Einstein prima della relatività generale, ci dobbiamo aspettare un peculiare
fenomeno noto come contrazione delle lunghezze. Secondo uno dei principi della relatività ristretta,
la cosiddetta invarianza di Lorentz, in opportune condizioni di moto un osservatore misurerebbe
lunghezze anche più corte della lunghezza di Planck, che tuttavia è un limite assoluto. Di
conseguenza, uno spazio-tempo granulare alle scale di Planck sarebbe inconciliabile con l’invarianza
di Lorentz.

A meno di non rinunciare, come hanno fatto Liberati e colleghi nella loro teoria, a un altro cardine
della fisica: il principio di località. Secondo questo principio, due eventi nello spazio-tempo
possono essere legati da un rapporto di causa-effetto solo se sono connessi da una catena causale di
eventi che si propaga con una velocità minore o uguale alla velocità della luce nel vuoto, un limite
assoluto per qualunque corpo e qualunque segnale. Ciò significa che la fisica in un certo punto
dello spazio-tempo può essere influenzata anche da punti molto distanti, non solo da quelli nelle
vicinanze.

“Rispettiamo l’invarianza di Lorentz, ma tutto ha un prezzo, che in questo caso paghiamo con
l’introduzione di effetti non-locali”, ha spiegato Liberati. “Naturalmente non si viola la
causalità, e non si presuppongono informazioni che viaggiano più veloce della luce. Si introduce
però la necessità di conoscere la struttura globale per sapere che cosa accade nel locale”.

Un aspetto importante del nuovo studio di Liberati e colleghi è la possibilità di verificarne
sperimentalmente i risultati.

“Per sviluppare il nostro ragionamento abbiamo collaborato strettamente con i fisici sperimentali
del LENS di Firenze. Stiamo già lavorando alla messa a punto degli esperimenti”, ha aggiunto
Liberati.

L’obiettivo è individuare il limite che segna il confine tra lo spazio-tempo continuo e quello
granulare e di conseguenza tra la fisica locale e quella non-locale.

Al LENS si sta ora costruendo un oscillatore armonico quantistico: un chip di silicio di pochi
microgrammi che, portato a temperature vicine allo zero assoluto, viene illuminato da un laser ed
entra in oscillazione armonica”, ha spiegato ancora Liberati. “Il nostro modello teorico prevede
infatti la possibilità di testare gli effetti non locali su oggetti quantistici con massa non
trascurabile, o meglio oggetti ‘al limite’: quantistici sì, ma di una dimensione dove sia ancora
importante la massa, che rappresenta la ‘carica’ associata alla gravità, così come la carica
elettrica è associata al campo elettrico”.

Una volta effettuate le misurazioni, Liberati e colleghi sapranno se sono sulla strada giusta.

“Se non dovessimo vedere l’effetto, in futuro potremo spostare più in alto l’asticella delle energie
dove cercare la transizione: gli esperimenti già in preparazione dovrebbero essere capaci di
spingere i vincoli sulla scala di non-località fino alla scala di Planck: in questo caso potremmo
arrivare a escludere questi scenari con non-località, e già questo sarebbe un bel risultato, poiché
daremmo una bella sfoltita alla giungla degli scenari teorici”, ha concluso Liberati. “Se invece
osservassimo l’effetto, allora confermeremmo la presenza degli effetti non-locali, salvando la
relatività ristretta e aprendo le porte a una nuova fisica.”

journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.116.161303

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