Alla ricerca dell’Eroe dentro di noi

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Alla ricerca dell’Eroe dentro di noi

di Vincenzo Tallarico

In questo articolo è mia intenzione introdurre i lettori ad un programma costituito da sei incontri
seminariali, ispirati dalle letture del libro della psicologa americana Carol S. Pearson: “L’eroe
dentro di noi”, delle opere dell’antropologo J. Campbell, di orientamento junghiano, ma soprattutto
sulla mia, seppur limitata, esperienza di analista/analizzando e di praticante buddhista.

Questo programma è stato già avviato ad Alessandria, presso il centro Buddhadharma, e inizierà a
Pomaia, presso l’ILTK, con il mese di novembre.

Presupposto teorico di questo ciclo di seminari è quello della presenza, all’interno della nostra
mente, di una parte psichica che Jung definisce Sé. Questa parte è dotata di potere creativo,
energetico, evolutivo e potremmo aggiungere eroico.

Caratteristica peculiare del genere umano è quella di venire al mondo per evolvere e migliorare
naturalmente. Osservando il bambino, infatti, possiamo accorgerci che le diverse tappe evolutive
sono realizzate in maniera armonica e autonoma: se l’ambiente, soprattutto quello familiare,
accoglie e protegge il neonato – prima di tutto accogliendolo nel proprio spazio mentale – questi
svilupperà un Io sano. Se la voglia di ricerca non sarà frustrata, avremo una persona aperta al
mondo e desiderosa di sperimentare. In caso contrario si formerà un Io bisognoso di continue
gratificazioni e aiuti dall’ambiente.

Nella vita adulta, le sollecitazioni della lotta volta al raggiungimento di obiettivi contingenti
possono spegnere la creativa “voglia di scoprire”. Smettere di ricercare porta a una perdita di
senso: la vita diventa priva dell’evoluzione di quello che Jung chiama “l’archetipo
dell’individuazione”, i taoisti “il Tao” (inteso come via spirituale) e lama Tzong Khapa “il
Lam.rim” (che in tibetano significa Sentiero Graduale).

Ricerca intesa quindi come individuazione, definita da Jung: “Il processo per cui una persona
diventa se stessa, intera e indivisibile, distinta dagli altri o dalla psicologia collettiva (pur
mantenendosi in relazione con questa realtà)” [v. Samuels, Shorter, Plant, Dizionario di Psicologia
analitica, Cortina ed., p.72]. Per l’uomo, tale processo è innato quanto lo è per le piante crescere
verso l’alto, in direzione della luce. Va notato che non bisogna confondere “individuazione” con
individualismo, perché la prima non esclude il mondo, ma lo include.

In tutti i viaggi è importante seguire una mappa, che però non è il territorio!

Analogamente, le tappe proposte non possono sostituire le esperienze lungo il percorso: se fosse
così il viaggiatore si limiterebbe a fare un viaggio intellettuale, perdendo le atmosfere dei posti
da visitare.

In questo programma, il metodo proposto sarà quello di entrare in contatto con sei archetipi
fondamentali: l’innocente, l’orfano, il viandante, il guerriero, il martire e il mago, per scoprire
la natura eroica dentro di noi.

In genere, pensando all’eroe, appaiono alla mente le gesta dell’eroismo risorgimentale, atti in cui
si perde il senso di autoconservazione e si perisce perché altri sopravvivano. In questi seminari,
invece, l’Eroe viene inteso come uno degli stadi del Guerriero.

L’immagine più vicina a quello che io considero Eroe è presente nel buddhismo tibetano, dove gli
eroi sono i daka e le dakini, coloro che “si muovono o danzano nello spazio”. Questa metafora
suggerisce un’attitudine mentale di rapporto giocoso con il mondo, visto come non ostruttivo.

L’Eroe è colui che decide di vivere in armonia con sé stesso, con gli altri e con il magico potere
dei cinque elementi presenti nell’universo e nella persona. Poiché questa dimensione è presente in
ognuno di noi, si può parlare di una possibilità democraticamente condivisibile.

Come cita la Pearson, ne L’eroe dai mille volti, J. Campbell ha scritto che l’eroe è padrone del
mondo – e sono padroni del mondo i re, i principi e i loro poeti, che hanno stabilito per noi quale
sia l’ideale eroico e chi lo impersona. Naturalmente lo hanno raffigurato a propria immagine e hanno
visto l’eroismo come regno di pochi. Con l’avvento della democrazia e lo sviluppo di una società
egualitaria, prima gli uomini della classe lavoratrice e poi le donne e gli uomini delle minoranze
hanno iniziato a rivendicare l’archetìpo eroico come proprio.”

Il contatto con le proprie potenzialità eroiche, quindi, non è più appannaggio di una èlite, ma di
tutti coloro che vogliono dare dignità e senso alla propria esistenza.

Anche nella saga del Signore degli Anelli di Tolkien, i protagonisti dell’avventura non sono i
magici elfi, ma i semplici e simpatici hobbit.

Per capire il significato di archetipo mi piace ricordare una risposta data da Lama Yesce a un suo
studente, che gli chiedeva il significato della visualizzazione sulle divinità tantriche. Lama
rispose: “Per contattare nuovi archetipi”.

In termini di Psicologia Analitica, l’archetipo è un “imprint”, una funzione latente nella memoria
primordiale, che può essere contattata soltanto attraverso un’immagine simbolica, che non soltanto
rappresenta quella funzione, ma la dinamizza energeticamente. Ecco perché si medita su Tara, per
esempio: non soltanto perché rappresenta delle potenzialità di saggezza e compassione, ma
soprattutto perché tale contemplazione infonde potere a queste qualità mentali.

Rispetto al buddhismo tibetano, la differenza di metodo, in questo programma, è rappresentata da
un’attenzione alle immagini personali di ciascun partecipante, a prescindere dai simboli proposti
dal contesto tradizionale. I due metodi non si escludono, ma possono essere creativamente integrati.

Prendiamo ora in considerazione ciascun archetipo:

L’INNOCENTE

Scrive la Pearson: “L’innocente vive in un mondo anteriore alla caduta, un verde paradiso terrestre
dove la vita è dolce e tutto ciò di cui ha bisogno gli viene dato in un’atmosfera di amore”.
Siamo all’inizio del viaggio.
Siamo in presenza di questo archetipo quando ci ritroviamo a pensare che il mondo, tutto ciò che ci
circonda, esiste unicamente per gratificarci. Anche il bambino non ha la capacità di mediare tra il
proprio piacere e quello degli altri, ma dobbiamo capire che ciò che è normale nei primi anni
dell’infanzia, se si mantiene come stile di vita diventa, nell’adulto, narcisismo ed egoicità
esasperata.

A livello mitologico, e cioè in quei racconti dove gli archetipi agiscono metaforicamente,
l’Innocente è rappresentato da Adamo ed Eva prima della scacciata dal paradiso terrestre, un mito
presente in tutti i sistemi religiosi, anche se con sfumature diverse.
E’ “la caduta” che scuote l’Innocente dalla sua incoscienza o inconsapevolezza primordiale.
La nostalgia per la beatitudine perduta fa accedere l’individuo dall’archetipo dell’Innocente a
quello dell’Orfano.

L’ORFANO

E’ l’idealista deluso, la cui caduta è tanto più dolorosa quanto più alto era l’ideale. Tale
atteggiamento è presente soprattutto nell’adolescenza, quando il ragazzo scopre che i genitori in
realtà non sono delle divinità onnipotenti e che non sono in grado di preservarli dalle inevitabili
frustrazioni della vita.
A livello collettivo questo atteggiamento è stato vissuto nel periodo degli anni ottanta, dopo il
periodo dell'”innocenza” vissuta negli anni settanta.
L’Orfano si riprende dalla delusione e dalla paura, ed in questo vi è un salto di qualità e un
progredire nel processo di maturazione. Per l’Innocente la vita è un paradiso, per l’Orfano è la
cacciata da esso.

IL VIANDANTE

Per il viandante la vita è un’avventura. Questo viaggio può essere in paesi lontani o dentro la
propria psiche, come in un processo analitico o in un percorso spirituale. Non a caso il nome
sanscrito che indica il monaco buddhista significa “colui che ha abbandonato la casa”, cioè colui
che, prendendo i voti monastici, lascia la propria dimora per diventare errante. Tale tradizione era
presente anche in occidente, soprattutto nel medioevo.

Nei miti in cui il viaggio è esteriore, l’archetipo è rappresentato dal cow-boy, dal navigatore che
parte solo per il mondo oppure, recentemente, dagli hippies che viaggiavano per l’Asia in cerca
delle proprie “radici”.
Tale atteggiamento, tuttavia, può essere presente anche in colui che si dedica alla scoperta di
nuove forme di pensiero: l’intellettuale libero da schemi di pensiero precostituiti. il denominatore
comune delle varie forme è quello del considerarsi fuori dalle regole convenzionali.

Per la Pearson:”… l’identità del Viandante è quella dell’outsider [il concetto è di difficile
traduzione: escluso, autoescluso, anticonformista, anticonvenzionale… n.d.rj. Nella vita
spirituale egli può dover affrontare il dubbio. Spesso infatti gli è stato insegnato che Dio
ricompensa una certa obbedienza alle regole e un certo comportamento morale tradizionale che
generalmente sono in contrasto con la sua psiche, che si evolve sperimentando. Pure, l’oscura notte
dell’anima che il Viandante attraversa porta spesso a una fede più matura ed equilibrata”.

La storia del Viandante inizia quando ci si sente prigionieri di uno status quo, costretti a
obbedire a false regole tradizionali, a una identità non autentica.
Una versione femminile dell’archetipo inizia il viaggio con il confronto con lo specchio, che
esprime la preoccupazione del proprio aspetto e del piacere agli altri, come nella storia di Alice
di L.Carrol.
Ostacolo al viaggio è il senso di colpa del volersi allontanare da una situazione familiare o
lavorativa ben remunerativa. Tutto questo blocca il Viandante sul cammino che porta alla
realizzazione del proprio sé.

Questo senso di colpa regressivo è evidente in pazienti all’inizio del loro viaggio analitico e si
manifesta nello scrupolo di dover sacrificare soldi e tempo per il proprio benessere. Forse è
inutile aggiungere che un miglioramento del paziente porterà anche il beneficio nella sua relazione
con i familiari. Questo senso di colpa e di espiazione è evidente nel mito di Prometeo.
Per il Viandante sarà ne~ cessario confrontarsi con la propria solitudine, fino a quel momento così
dispendiosamente negata, per accedere all’esperienza che l’antipsichiatra Cooper definiva: “Una
solitudine non solitaria aperta al mondo”.

Il GUERRIERO

Quando il Viandante comincia a confrontarsi con le difficoltà che incontra sul suo cammino, si
attivizza l’archetipo del Guerriero. A questo stadio l’Io si fortifica ulteriormente, condizione
necessaria per essere trasceso. Il potere del guerriero è di tipo fisico, psichico, intellettuale o
spirituale. Un buon simbolo di questo tipo di Guerriero può essere rappresentato dall’eroe
cinematografico Indiana Jones che, per i pochi che non lo conoscono, è un archeologo
intellettualmente molto preparato che sa usare anche la forza e l’astuzia per salvare tesori
spirituali, come l’arca dell’alleanza, per poterli esporre nei musei, alla portata di tutti. Una
banalizzazione dell’archetipo, invece, viene rappresentata nei film di Conan il Barbaro.

Come scrive la Pearson:” Lo sviluppo delle abilità del Guerriero è essenziale per vivere pienamente
ed è il necessario completamento delle qualità del Martire. In un primo momento i Martiri si mettono
nelle vesti di chi si sacrifica per gli altri, mentre a livello iniziale i Guerrieri credono nella
necessità di uccidere gli altri per proteggere se stessi. La dichiarazione di disponibilità a fare
questo è un’importante assunzione di impegno nei confronti di sé stessi e del mondo”.

A mio parere è per questi significati che il Buddha nasce da una famiglia di kshatrya (re-guerrieri)
ed eccelle nelle arti marziali, cui rinuncia dopo averle completamente padroneggiate. Rinunciare a
qualcosa che si ha è ovviamente più efficace del rinunciare a niente. Compito del Guerriero è di
ottenere affermazione di sé, fiducia, coraggio e rispetto, qualità opposte a quelle dell’Orfano, che
nel Guerriero assume il ruolo di parte Ombra, negata o salvata. Infatti i diversi archetipi possono
essere compresenti a qualsiasi stadio evolutivo, che assumerà dominazioni differenti secondo
l’archetipo che assume maggior potere.

Il MARTIRE

Il Guerriero accede all’archetipo dei Martire quando sceglie di rinunciare a qualcosa non tanto
perché lo vuole, ma per il bene di qualcun altro e perché per “essere nel mondo” qualche sacrificio
è necessario.
La dinamica del martirio è alla base di tutti i riti sacrificali magistralmente descritti da Cam
bell nella sua opera “MP tologia primitiva”. Da un punto di vista storico possiamo notare
l’emergenza di questo archetipo nella Roma antica, dove da una cultura guerriera si passa a quella
che introduce la pietà, come quella cristiana.

L’attivizzazione di tale archetipo permette anche di trasformare l’egoismo narcisistico dell’Orfano,
la capacità di rinunciare a desideri infantili, per accedere a un tipo di piacere più autentico e
duraturo: questo è il significato della Rinuncia nel buddhismo (in sanscr. Nisciarana).

Spesso la parola “martirio” suscita diffidenza. Ciò è dovuto a un sano disgusto per la sofferenza e
perché in qualche modo valutiamo negativamente gli pseudo-sacrifici attuati da persone che non hanno
realizzato la dignità del Guerriero e che non possono accedere al mistero del sacrificio che, anche
etimologicamente, dispiega la sua natura: quella del rendere sacro.

Il MAGO

Nel libro della Pearson si legge: “Quando nel nostro viaggio, dopo aver cominciato ad assumerci la
responsabilità della nostra vita e del nostro rapporto con il mondo, ci addentriamo nel territorio
del Mago, scopriamo che questi non è lo sciamano, la strega o lo stregone che pronuncia formule
magiche o prepara una misteriosa pozione che farà guarire o morire una persona, vincere o perdere
una guerra. Questo è il mago visto con gli occhi dell’Orfano”.

Il Mago non è altro che noi stessi. Nel momento in cui lo scopriamo, ci convinciamo che l’universo
non è qualcosa di statico, ma qualcosa in continua creazione. Tutti siamo coinvolti in questa
creazione, per cui tutti noi siamo “Maghi”. Qui possiamo notare come a un simile livello archetipico
vi sia la dissoluzione del dualismo io-mondo. Il Mago ritorna all’unità originaria del bambino prima
della differenziazione Io-oggetto, ma in modo consapevole e soltanto dopo un lavoro svolto negli
stadi precedenti. Grazie a quel lavoro si è aperto a una totale accettazione del mondo, con le sue
gioie e i suoi dolori, non con la negazione della sofferenza dell’Orfano, la loíta del Guerriero o
il sacrificio del Martire.

Come afferma Tedeschi nel libro di recente pubblicazione “Il Tao nella psicologia analitica”: Il Tao
non si coglie con lo studio o con gli sforzi; proprio quando questi cessano, allora appare il Tao”.
Il Mago smette di lottare, di apprendere per dare forza all’Ego a fini mondani, ma lascia affiorare
naturalmente la mente della non-azione, intesa come il non compiere azioni per un beneficio
egoistico. Questo avviene similmente alla metafora buddhista con cui si descrive la natura pura
della mente, simile ad uno specchio ricoperto di polvere. L’azione del praticante deve essere quella
di eliminarla per scoprire la chiara natura originaria e riflettente della mente.

Lama Yesce, spiegando un tipo di meditazione sulla naturale chiarezza della mente suggeriva:
“contemplate, contemplate … se alla vostra mente appare l’immagine di una mozzarella, non
afferratela né respingetela, ma contemplate il suo biancore. Se l’immagine sarà quella del Buddha,
non lasciate che la mente si distragga, ma continuate a contemplare.”

L’apprendistato del Mago è caratterizzato dalla “nominazione”, grazie alla quale egli definisce il
mondo, dandogli identità. Questo processo di definizione rende possibile un’autentica relazione con
il mondo. Questo è il motivo per cui nel buddhismo si dà tanta enfasi allo studio analitico dei
diversi tipi di fattori mentali: se nella nostra mente sorge un sentimento di attaccamento,
contempliamolo semplicemente senza confonderlo con l’Amore o la Compassione, come forse ci farebbe
più piacere credere, o viceversa.

Come scrive la Pearson: 1l fine dell’Eroe non è uccidere, ma nominare il drago, ristabilire la
comunicazione… il nominatore è qualcuno che nomina le cose, che aiuta le cose a sapere che ci
sono”.

Obiettivo di questo ciclo di seminari è di uscire dal caos in cui le “cose” agiscono con una loro
autonoma energia distruttiva e diventarne consapevoli per accoglierle e trasformarle.

BIBLIOGRAFIA

Campbell J., “Le figure del mito”, R.E.D. 1991.

Campbell J.,”Mitologia primitiva”, Mondadori 1990.

Lama T. Yesce, Il potere della saggezza”, Chiara Luce Ed.

Pearson C., “L’eroe dentro di noi”, Astrolabio 1990.

Samuels A.,Shorter B., Plant F., “Dizionario di Psicologia Analitica”, Cortin editore 1987.

Tedeschi G., Il Tao nella Psicologia Analitica”, 1993, Guida ED.

http://www.tallarico.it/articoli.asp?id=32

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