Allevi: Nella mia musica la ricerca di Dio
Gli studenti dellUPS incontrano Giovanni Allevi
(Roma, 16 marzo 2014) – “Comunicazione e musica” è il titolo dell’incontro con il maestro Giovanni
Allevi, ospitato oggi pomeriggio dalla Pontificia Università Salesiana di Roma. In questa occasione,
la Facoltà di Scienze della comunicazione sociale dell’Ateneo, nel suo 25mo di fondazione, assegnerà
al musicista una speciale benemerenza nel campo della comunicazione musicale. Giovanni Allevi,
artista di fama internazionale, molto amato dal pubblico, in particolare dai giovani, è impegnato in
questi giorni nel suo Tour “Solo Piano 2014”. Prossima tappa, il 19 marzo a Lugano. Roberta Gisotti,
giornalista di Radio Vaticana e docente della FSC, lo ha intervistato. Ne riportiamo di seguito il testo dell’intervista audio ripresa dal sito di Radio Vaticana.
D – Maestro, quanto ha contato nel suo possiamo dire travolgente successo, oltre alle sue indubbie doti artistiche, la sua capacità di comunicare?
R – Probabilmente non riesco a rendermene conto. Sicuramente, non posso prescindere dalla mia
capacità comunicativa. Continuo però a pensare che sia la musica l’elemento principale ad avere
stabilito, ad avere toccato il cuore della gente. Forse, quella musica ha una grande capacità comunicativa.
D – Nella sua biografia ufficiale è riportata questa sua frase: “Oggi l’artista deve essere un po’
filosofo, un po’ inventore, un po’ folle, deve uscire dalla torre d’avorio e avvicinarsi al sentire comune”. Che senso ha questa riflessione?
R – Alla base di questa riflessione c’è proprio la mia esigenza e credo anche quella di un intero
movimento artistico di uscire fuori dalla torre d’avorio che rappresenta in un certo senso
l’accademismo, in cui io stesso sono cresciuto, per avvicinare la propria arte, la propria
espressione, al sentire comune, cioè avvicinarsi alla gente e riuscire a raccontare questo nostro
tempo, riuscire a raccontare anche gli slanci e le aspirazioni delle persone, che vivono intorno a noi in questo momento, quindi nel presente.
D – Di lei si è letta questa definizione, “L’enfant terrible della musica classica contemporanea”.
Ecco, prima di lei questi due aggettivi non venivano appaiati, ma certo possiamo dire che anche Mozart al suo tempo sarà stato un artista classico contemporaneo…
R – Si, certo, certo. Può sembrare un ossimoro, la vicinanza della classicità alla contemporaneità.
In realtà, la mia definizione vuole avere un significato puramente tecnico e prescinde da qualunque
giudizio di valore. Per classicità intendo il recupero di forme e di architetture, che sono proprio
tipiche della tradizione classica: per esempio, la forma sonata, la sinfonia, il concerto per
strumento solista e orchestra. La contemporaneità invece concerne, a mio avviso, i contenuti. Ossia,
è necessario che quelle forme classiche inglobino i ritmi e i suoni che sono intorno a noi in questo
momento. Per questo ho immaginato, ho pensato che fosse possibile, e anche necessaria, una musica
classica nelle forme e contemporanea nei contenuti, la cosiddetta “musica classica contemporanea”,
che tanto ha fatto e continua a far discutere il mondo accademico. Ed è giusto che faccia discutere,
perché vuole rappresentare la possibilità, irriverente sotto certi aspetti, che la musica classica
si evolva continuamente e quindi torni a parlare, a raccontare il presente e non più un’epoca di due secoli fa.
D – Leggendo la sua biografia, incuriosisce il tema della sua tesi in filosofia: “Il vuoto nella
fisica contemporanea”. C’è stata o c’è una trasposizione di questo concetto nella sua musica?
R – Probabilmente sì, perché secondo la meccanica quantistica, quindi le ultime teorie della fisica
contemporanea, il vuoto assoluto non esiste. Il vuoto è sempre, comunque, un elemento ribollente di
attività, di attività subatomica, da cui poi si origina il pieno, si origina la materia. Io lo posso
assimilare al silenzio in musica che, nonostante sia privo di suono, è sicuramente molto espressivo
e dà la possibilità al suono, che poi sopraggiunge, di manifestare tutta la sua potenza. C’è,
dunque, sicuramente un parallelismo tra la mia ricerca filosofica sul vuoto e la musica.
D – Pensando ai tanti giovani, suoi fan, e agli studenti universitari, come è stato anche lei,
quanto è importante coltivare un’arte come la musica o altre arti, al di là del lavoro che poi si farà per vivere?
R – E’ importantissimo perché dobbiamo dare ai ragazzi la possibilità di esprimere il proprio mondo
interiore. Questo può essere fatto attraverso la musica, attraverso la pittura, attraverso la
letteratura, attraverso qualunque forma d’arte, indipendentemente dal fatto che quello diventerà il
lavoro e quindi un mezzo per la propria sussistenza. E’ necessario, è quasi direi urgente, che i
ragazzi oggi trovino la possibilità di esprimere il loro sentimento, di esprimere anche la loro
rabbia repressa, per evitare che possano dirigere questa energia, questa energia sotterranea, verso
forme che magari possono essere anche autolesioniste. Quindi, “Evviva l’arte!” e soprattutto
cerchiamo di raccontare questo nostro tempo con una nuova arte, cosa che ancora non è stata fatta.
D – Sempre pensando ai giovani, quale suggerimento su come gestire se arrivano il successo, i soldi, la notorietà? Si dice pure che non sempre sia una fortuna…
R – Basta pensare che comunque tutto purtroppo è labile: il successo e la notorietà possono arrivare
magari all’improvviso e allo stesso modo se ne possono andare. Quindi, è meglio concentrare la
nostra attenzione su ciò che davvero conta. Per quanto mi riguarda, è scrivere la musica, è comporre
musica, è mettere tutto me stesso in quello che sto facendo, senza pensare al riscontro esterno,
senza pensare al successo, alla notorietà, che sono una conseguenza – soltanto una conseguenza! –
della mia attività artistica. Se dovessero diventare un fine, probabilmente la mia vita si trasformerebbe in un inferno.
D – Un’ultima domanda sulla comunicazione, che oggi pervade ogni ambito della nostra vita: lei, come
artista, portato quindi a ricercare anche momenti di isolamento creativo, soffre la sovraesposizione mediatica e se sì come si difende?
R – No, non la soffro. Anche perché i media rappresentano per me, nel loro senso concreto del
termine, dei mezzi: dei mezzi per esprimere e per veicolare dei contenuti. Ciò che conta sono i
contenuti. Se si ha davvero qualcosa da dire, ci sarà dall’altra parte qualcuno disposto ad
ascoltare e a fare tesoro di ciò che viene detto, indipendentemente dal mezzo che viene utilizzato.
Dunque, ci sono dei momenti in cui io sento fortemente la necessità di esprimere il mio mondo
interiore attraverso la musica e di condividerlo. Come conseguenza, si determina una esposizione
mediatica, ma è soltanto una conseguenza di quello che io sento di dover fare dentro di me. Credo che sia questo ciò che conta in assoluto.
D – Bisogna avere, però, l’equilibrio di ritirarsi quando è necessario, raccogliersi in se stessi…
R – Certo, assolutamente. Ed è quello il momento in cui inevitabilmente la cosiddetta esposizione
mediatica finisce o si limita. Ma tutto, tutto parte da quello che hai dentro, da quello che vuoi
esprimere e da quando vuoi esprimerlo. Non sono spaventato. Trovo tutto molto naturale.
D – Maestro Allevi, lei oggi parlerà a degli studenti di una Università pontificia, una Università cattolica. Nella sua arte c’è la ricerca dell’aldilà?
R – Sì, deve esserci. Io lo ho sempre considerato come un fine della mia arte, ma credo anche
dell’arte in generale, quello di riuscire a cogliere una luce. E’ l’esigenza che viene da me, che
sono la persona più piccola e che mi riputo avvolta nell’ansia e spesso in contatto con il buio
dell’anima: ecco, questa persona che sono cerca, cerca spasmodicamente una luce. Io la trovo nella
musica, nella musica che scrivo, e quindi penso che come principio regolativo questa musica voglia
condurmi verso una dimensione superiore. Non so se riesca a farlo, però lo considero un fine, lo considero un fine della mia musica.
Testo proveniente dalla pagina
http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/15/giovanni_allevi_agli_studenti_della_salesiana:_nella_mia_ musica_la/it1-781818 del sito Radio Vaticana
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