Anche il Buddha venne sfidato

pubblicato in: AltroBlog 0

Anche il Buddha venne sfidato

Estratto da un discorso della Sister Ajahn Sundara

© Ass. Santacittarama, 2006. Tutti i diritti sono riservati)
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Gabriella De Franchis.

Dal libro “Freeing the Heart” in corso di traduzione, una raccolta di
discorsi di monache. L’originale inglese può essere scaricato dal sito
www.amaravati.org.

° ° °

Ci piacerebbe pensare che dopo l’illuminazione il Buddha abbia avuto una
vita facile, non è vero? Non è quello che speriamo tutti? Un pizzico di
illuminazione e la vita potrebbe diventare un po più semplice?

Vorrei dirvi come stanno veramente le cose, così le vostre aspettative non
verranno deluse! Nei 45 anni in cui il Buddha diede insegnamenti e guidò le
comunità monastiche, incontrò un numero incalcolabile di difficoltà. Anche
se era illuminato, aveva ancora karma.

Ricevette sfide e critiche da asceti che lo accusarono di avere una visione
distorta e di dare insegnamenti sbagliati, e per tutta la sua vita i
discepoli gli causarono un sacco di problemi. Alcuni volevano incentivare il
convivio, il sonno e le pratiche sessuali come una via all’illuminazione,
mentre altri volevano rendere più severa la disciplina, rinforzando, per
esempio, il vegetarianismo. Suo cugino Devadatta cercò di ucciderlo diverse
volte, mandò un elefante infuriato perché lo calpestasse e cercò di creare
uno scisma nel Sangha. E infine, alcuni asceti, gelosi del Buddha, indussero
una donna ad accusarlo di essere il padre del proprio figlio. Quindi, dopo
tutto, la nostra non è una situazione così brutta.

Dopo avere trascorso un paio di giorni a meditare ci rendiamo conto che il
punto della pratica non è di uscire dalla condizione umana o evitare i
problemi della vita, ma si tratta di comprendere e liberare la mente dalle
delusioni. Si tratta di un grande potere che è dentro di noi e che se non
viene compreso ci manderà facilmente all’inferno. Abbiamo mai notato quanto
è forte il potere della nostra volontà, della nostra rabbia, della nostra
cocciutaggine, della nostra mente ostinata? Noi non possiamo smettere di
essere depressi così riempiamo la nostra mente con cose che ci distraggono,
ma quella sensazione rimane, non è vero? Non possiamo controllare la nostra
mente in questo modo per sempre.

Uno dei più grandi contributi del Buddha per la nostra comprensione della
mente è stato quello di averci insegnato la causa della sofferenza. La
maggior parte di noi si trova ancora al livello di guardare al di fuori di
sé per le cause della sofferenza e in verità ci sono molte cose esterne che
ci provocano agitazione, mancanza di soddisfazione e così via. Ma l’insegnamento
del Buddha è che la causa reale è tanha : desiderio, attaccamento.

Senza consapevolezza la nostra mente si trova quasi sempre in uno stato di
attaccamento, anche alle cose più insignificanti, come il cuscino o il posto
in fila per il cibo. Cose così piccole sono causa di sofferenze più grandi;
basta che qualcuno provochi la nostra irritazione al mattino per
condizionare lo stato dell’intera giornata.

Molto spesso ignoriamo completamente i nostri sentimenti. Abbiamo mai notato
come le persone più arrabbiate spesso non hanno la minima idea di essere
arrabbiate? Mi ci è voluto molto tempo per riconoscere veramente che in
alcune situazioni, o con alcune persone, ero sempre furibonda. Fu un grande
sollievo quando ho cominciato a notare questo processo con chiarezza e ad un
livello più profondo.

Molti di noi cercano la felicità ma non si accorgono neanche di essere
infelici. E comunque prima di essere felici il primo passo è quello di
osservare che c’è dukkha, che c’è sofferenza. Fare i conti con questo per
molte persone è abbastanza spaventoso. Pensano: “Se scopro che sono infelice
vorrò fuggire, dovrò lasciare il mio compagno, la mia casa, il mio lavoro.”
Credono che togliendosi da una situazione dolorosa possano sfuggire dalle
loro sofferenze. Ma questa non è la strada che conduce fuori dalla
sofferenza. Il Buddha ha detto che anche se ti nascondessi da solo in un
luogo remoto, porteresti sempre con te la tua mente.
La vita monastica è un situazione meravigliosa per apprendere rapidamente
nozioni sul dukkha, perché ogni giorno si fa esperienza di questa verità,
quasi senza alcuna distrazione.

In una comunità monastica ci si ritrova in situazioni sulle quali abbiamo
poco controllo, con gente che non abbiamo scelto. Questo tipo di ambiente
accende tutti gli interruttori. L’unica cosa che ci salva è il nostro
rifugio nella consapevolezza. Quando siamo consapevoli tratteniamo le
energie della nostra mente e stiamo coltivando il controllo. In altre parole
non andiamo spiaccicando la nostra zuppa mentale su altre persone.

Ricordo che una volta a Chithurst cucinavo per un monaco anziano che per
alcuni anni fu molto malato. Mi offrii di badare alla sua dieta perché
conoscevo la cucina macrobiotica da prima di diventare monaca.

Un giorno tutto mi irritava e mentre cucinavo il suo pasto pensai:
“Vibrazioni d’ira nel cibo non sono d’aiuto a nessuno, no?” Così andai dal
mio maestro e dissi “Credo che dovrò abbandonare questo incarico. A volte
sono così arrabbiata che penso che lo sto avvelenando.” La sua risposta fu:
“Bene, se sei consapevole della tua rabbia, allora non lo stai avvelenando.
La tua rabbia non si trasmette al cibo, la contieni dentro di te.”

In un’altra circostanza, in cui dovevo dare un insegnamento a 45 persone, il
mio cuore cominciò a battere forte e tutto ciò che avrei voluto fare era
correre fuori dalla stanza e scaricare l’adrenalina. Ma mentre aspettavo in
silenzio, sapendo che le cose sarebbero cambiate, iniziai a parlare. E’
straordinario. Anche se avevo sperimentato una sensazione di panico totale,
la monaca che era seduta accanto a me mi raccontò che mentre insegnavo
apparivo calma e in pace. Così quando domani andate al lavoro e avete un
capo che non potete sopportare o avete esaurito tutte le vostre risorse,
prendete consapevolezza di quella sensazione e il vostro capo potrebbe anche
non accorgersene.

La presenza mentale ci protegge veramente e coltivandola saprete che non
avete bisogno di reprimervi o di esplodere per esprimervi. Vedete come
funziona, sia con il vostro compagno che con gli amici o con il vostro cane.
Basta ricordarsi ogni mattina di quello che è veramente importante nella
vita. In occidente abbiamo a disposizione molte opportunità, siamo veramente
viziati. Anche nei migliori centri di ritiro la gente si lamenta del cibo,
di questo e di quello. Non riconosciamo il paradiso quando lo abbiamo di
fronte? E’ così facile per noi cadere nella negatività, spesso sembra che da
questo ne traiamo un sacco di energia.

Possiamo invece imparare a rapportarci con qualcosa di più proficuo della
frustrazione e del malcontento? Gli scienziati dicono che non usiamo neanche
un decimo del potenziale della nostra mente, e anche quella piccola porzione
viene usata male e convogliata in cose come il dubbio, la preoccupazione, la
paura, l’avidità, l’invidia, ecc.

L’occidente ha pochi esempi che possono ispirare in noi le qualità della
saggezza e della compassione. I nostri eroi moderni non sono particolarmente
pacifici o saggi. In questa società materialista spesso ci sentiamo orfani
spirituali, privi di una guida da parte di esseri saggi e compassionevoli.
Per fortuna l’insegnamento buddhista punta sempre al maestro interiore. Qui
e ora ci possiamo sintonizzare sulla saggezza che c’è in noi e alimentarla,
piuttosto che lamentarci per i nostri fallimenti. E’ importante vedere che i
problemi che sorgono nella vita possono essere motivo di risveglio, di
trasformazione.

Anche se noi ci attacchiamo al bene, come fine a se stessa, ci creerà
sofferenza. Il non volere essere arrabbiati o voler diventare buoni è
dukkha. Il Buddha ha detto che solo un attaccamento è salutare: il desiderio
di liberazione. Così con la consapevolezza come rifugio coltivate in voi l’intenzione
di liberare il cuore da dukkha, di abbandonare tutte quelle cose che
ostacolano la via verso la liberazione del vostro cuore dalla illusione.

Una volta che avete provato cosa vuol dire essere sollevati dalla bramosia,
dall’afferrare, dall’attaccarsi, allora la vita diventa molto più facile –
il potere dimora nei nostri cuori, il potere della pazienza, della
consapevolezza, della gentilezza amorevole, della pace.

° ° ° ° °
Ajahn Sundara è nata in Francia nel 1946. Ha studiato danza classica e
contemporanea in Inghilterra e in Francia. Dopo una vita attiva da ballerina
e insegnante di danza contemporanea trascorse un periodo di profonda
ricerca. Nel 1978 partecipò ad un insegnamento di Ajahn Sumedo in cui
parlava della sua vita da monaco buddista, che la toccò profondamente. Dopo
poco tempo chiese di fare parte della comunità monastica del Monastero di
Chithurst (Cittaviveka) come una delle prime quattro monache novizie. Sin da
allora ha partecipato alla fondazione della comunità delle monache e alla
loro preparazione. Sin dalla fine degli anni 80 ha insegnato e condotto
ritiri di meditazione in Europa e in Nord America.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *