Anche la musica allevia il dolore

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Anche la musica allevia il dolore

Uno studio coreano evidenzierebbe l’azione positiva della musica nel controllo del dolore, con una
riduzione della sintomatologia fisica, dello stress psico-emotivo e del minor ricorso a farmaci
specifici

di Francesca Morelli

Ci vuole anche un po’ di musica, associata alle terapie tradizionali, per contribuire alla riduzione
e al controllo del dolore. Persino di quello importante, quale il dolore oncologico o correlato a
patologie croniche o morbose. Almeno stando ai dati emersi da uno studio coreano, della Ewha Womans
University di Seoul, pubblicato su Journal of Music Therapy, secondo cui le note di una canzone di
qualsiasi genere allevierebbero ansia e tensione. Ovvero allontanerebbero l’attenzione del paziente
dal solo stimolo doloroso, a favore di pensieri più distensivi e ‘calmanti’ e un minor ricorso a
farmaci specifici.

LO STUDIO COREANO – Si tratta di una metanalisi, cioè di una revisione di quasi 100 ricerche
condotte tra il 1995 e il 2014, dedicate a valutare in oltre 9.100 pazienti, i potenziali benefici
dell’ascolto di musica sul controllo e gestione del dolore. Con un chiaro obiettivo: capire se e in
quale misura la ‘terapia musicale’, affiancata a quella tradizionale, può alleviare la
sintomatologia fisica e lo stress psico-emotivo, riducendo così anche l’assunzione di
antidolorifici. Nei vari studi presi in esame, i partecipanti erano stati invitati ad ascoltare per
una quarantina di minuti circa della musica di vario genere a scelta fra classica, easy listening,
new age, slow jazz e soft rock, o anche selezionata dai ricercatori. Sebbene i risultati non siano
stati confermati da tutti gli studi, mediamente è stato possibile osservare, in una scala da 0 a 10,
una riduzione di circa un punto sulla percezione del dolore fra gli ascoltatori musicali, rispetto
ai partecipanti che non erano stati coinvolti negli esperimenti. Risultati che si sono dimostrati
soddisfacenti anche in contesti difficili: «Abbiamo osservato dei benefici – spiega Jin Hyung Lee,
autore principale dello studio – anche fra pazienti residenti in ospedali e/o in hospice, dunque
affetti da patologie importati e/o complesse, che richiedono di trattamenti mirati e di maggiore
intensità e frequenza. I dati emersi confermerebbero quindi l’efficacia della musica e la necessità
di includere, nei trattamenti tradizionali contro il dolore, anche esperti terapeuti musicali, la
cui collaborazione nella cura ha diverse potenzialità e obiettivi clinici, compreso il controllo e
la gestione del dolore».

EFFETTI TERAPEUTICI – I benefici derivanti dall’ascolto di musica, attestano i ricercatori, non
riguardano solo i sintomi ma anche alcuni aspetti puramente terapeutici. Infatti la riduzione del
dolore si accompagna a un uso più contenuto o a dosaggio più basso dei farmaci, degli antidolorifici
in particolare. «Sebbene in taluni studi le differenze siano minime – aggiunge Lee – è stato
possibile osservare un minor ricorso ad antidolorifici anche a base di oppioidi, mentre non sono da
segnalare variazioni rispetto all’uso di sedativi». Alcuni studi attestano anche esiti positivi su
parametri vitali importanti quali la frequenza cardiaca, la pressione e il tasso di respirazione,
migliori nel gruppo musicale. Come si spiega il fenomeno? «La musica – conclude il ricercatore –
contribuisce ad alleviare stress e ansia. Ovvero ha un potenziale calmante che distoglie
l’attenzione dal solo sintomo doloroso, coinvolgendo il paziente in altre tipologie di pensieri, a
beneficio di una maggior partecipazione nella risposta terapeutica alla malattia».

L’OPINIONE DELL’ESPERTO – «La musica – commenta il Dottor Paolo Grossi, Presidente di ESRA (European
Society of Regional Anaesthesia & Pain Therapy) Italia e Responsabile del Servizio di Anestesia
Loco-regionale e Terapia del Dolore del Policlinico San Donato (S. Donato Milanese) – fin dai temi
antichi è stata considerata, insieme alla matematica, una delle “lingue universali”, capace di
suscitare emozioni diverse in base allo stato d’animo delle persone che ascoltano. In tal senso è
noto e risaputo che funzione dello stato d’animo variano e il tipo di musica che si vuol ascoltare e
l’emozione che la stessa può produrre. Per esempio se una persona è di per sé già felice o ha una
predisposizione ad essere tale, è più portato ad ascoltare un tipo di musica più “grintosa” del tipo
rock, se invece una persona è reduce da una dura giornata lavorativa sarà più portata ad ascoltare
una musica tipo new age. Un discorso simile vale anche per le persone affette da una qualche
patologia che provoca loro dolore. È d’obbligo dunque a questo punto fare una premessa circa
l’esistenza di vari tipi di dolore con varie cause scatenanti, potendo affermare che il dolore ha
un’origine multifattoriale e come tale può essere trattato nelle varie sue componenti ed in taluni
casi può trarre beneficio anche dall’ascolto della musica. Se si comprende il meccanismo che
sottende alla genesi del dolore, si può trattare al meglio il dolore stesso: ad esempio se il dolore
è di origine somatica, dovuto ad un insulto meccanico che ha causato il rilascio di fattori
dell’infiammazione e l’attivazione delle vie del dolore, occorre agire su di esse con farmaci
antinfiammatori ed analgesici; mentre se il dolore è di natura psico-somatica dove la sfera emotiva
prevale sulla componente somatica, la musica può avere un effetto “analgesico” con riduzione dunque
della necessità di somministrazione di farmaci. Questo perché l’ascolto della musica determina
un’attivazione di varie aree del cervello ed in particolare del lobo temporale medio, sistema
limbico, ipotalamo e tronco encefalico con conseguente rilascio di endorfine, diminuzione della
frequenza cardiaca e della pressione arteriosa e degli ormoni che regolano altri apparati. In tal
modo si può capire come l’ascolto di determinati tipi di musica può alleviare il dolore
psico-somatico di alcuni pazienti, arrecando loro beneficio agli stessi e determinando una minore
necessita di farmaci analgesici».

jmt.oxfordjournals.org/content/early/2016/10/18/jmt.thw012.short?rss=1

Francesca Morelli
Fondazione Umberto Veronesi

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