DHARMA (DOTTRINA)
CAUSALITÀ
La Quadruplice Nobile Verità
1. Il mondo è pieno di sofferenza. La nascita è sofferenza, la
vecchiaia è sofferenza, malattia e morte sono sofferenza. Incontrare
un uomo che si odia è sofferenza, essere separato da chi si ama è
sofferenza, combattere vanamente per soddisfare i propri bisogni è
sofferenza. Tant’è, una vita non libera dal desiderio e dalla passione
è sempre mescolata con l’angoscia. Questa è chiamata la Verità della
Sofferenza.
La causa della sofferenza umana si trova indubbiamente nelle bramosie
del corpo fisico e nelle illusioni della passione mondana. Se queste
brame e illusioni sono ricondotte alla loro fonte, si scopre che
traggono la loro ragion d’essere, in ultima istanza, dagli intensi
desideri legati agli istinti fisici. Così, il desiderio, fondandosi su
una ben robusta base di volontà-di-vivere, va in cerca di quanto egli
avverte desiderabile, persino quando ciò coincide con la morte. Questa
è chiamata la Verità della Causa della Sofferenza.
Se il desiderio, che giace alla radice di tutte le passioni umane,
viene rimosso, allora la passione sarà annichilita e con essa avranno
fine tutte le umane sofferenze. Questa è chiamata la Verità della
Cessazione della Sofferenza.
Per raggiungere uno stato scevro di desiderio e di passione, occorre
seguire un determinato Sentiero. Le tappe di questo Nobile Ottuplice
Sentiero sono: Retta Visione, Retto Pensiero, Retto Discorso, Retto
Intendimento, Retto Stile di Vita, Retto Sforzo Cosciente, Retta
Consapevolezza e Retta Concentrazione. Questa è chiamata la Verità del
Nobile Sentiero che porta alla Cessazione della Causa della
Sofferenza.
La gente dovrebbe tenere bene a mente queste Verità, perché il mondo è
pieno di sofferenza e si vuol sfuggire alla sua morsa, occorre
sciogliere uno ad uno i nodi della passione che ci incatena al mondo
ed è l’unica vera causa di ogni angoscia e tribolazione. Lo stile di
vita di colui che si è lasciato dietro ogni legame con la brama e
l’angoscia di esistere nel mondo può esser afferrato e conosciuto
attraverso l’Illuminazione, e l’Illuminazione può esser ottenuta solo
da chi si sottopone con pieno convincimento ed energia alla disciplina
del Nobile Ottuplice Sentiero.
2. Tutti coloro i quali sono alla ricerca dell’Illuminazione devono
comprendere appieno la Nobile Quadruplice Verità. Senza tale
comprensione, essi andranno vagando qua e là in un circolo senza fine
di domande e risposte, invischiati nell’intricata matassa delle
illusioni di cui è intessuta la vita. Di quanti sono riusciti a far
propria questa Nobile Quadruplice Verità si dice che “hanno acquistato
gli occhi dell’Illuminazione”.
Pertanto, chi vuol seguire gli insegnamenti del Buddha dovrebbe
concentrare la sua mente su questa Quadruplice Nobile Verità e
sforzarsi, passo dopo passo, di rendere sempre più chiaro il suo
profondo significato. In tutti i tempi, un santo, se è un vero santo,
è colui che ha compreso questo e lo insegna agli altri.
Quando qualcuno comprende in profondità la Nobile Quadruplice verità,
allora il Nobile Ottuplice Sentiero lo guiderà lontano da ogni forma
di attaccamento; e se è libero dall’attaccamento, non avrà conti da
saldare col mondo, non ucciderà, né ruberà, né commetterà adulterio,
né frode, né abuso, né prevaricazione, non proverà invidia, non
smarrirà la propria moderazione, né dimenticherà la transitorietà
della vita: sarà un uomo giusto.
3. Seguire il Nobile Sentiero è come entrare in una stanza buia con
una lume in mano: le tenebre saranno rischiarate e la stanza, man mano
che si procede, si riempirà di luce.
Chi capisce il significato delle Nobili Verità ed ha imparato a
seguire il Nobile Sentiero ha con sé, in ogni istante, la luce della
saggezza che va diradando le tenebre dell’ignoranza.
Buddha rappresenta una guida per gli uomini, solo per il fatto di aver
indicato loro la Nobile Quadruplice Verità. Quanti riescono a
comprenderla appieno ottengono l’Illuminazione; saranno loro, uomini
in carne ed ossa, a guidare e ad aiutare gli altri a far piazza pulita
delle illusioni mondane e a divenire degni di fiducia. Quando la
Nobile Quadruplice Verità diviene manifesta, tutte le sorgenti delle
umane passioni, inevitabilmente, si seccano.
Grazie a questa Nobile Quadruplice Verità, ai discepoli del Buddha si
schiuderanno tutte le altre preziose verità che da essa discendono;
lungo il cammino otterranno la saggezza e il discernimento per
comprenderne a fondo il significato, e saranno capaci di predicare il
cuore del Dharma a tutti gli uomini della terra.
– Causalità –
1. Ci sono cause per tutte le sofferenze umane, e c’è un modo per
farle cessare, poiché ogni fenomeno nel mondo è il risultato di una
vastissima occorrenza di cause e condizioni, e ciascuno di essi
scompare e diviene nulla non appena queste cause e condizioni cambiano
e passano via.
La pioggia cade, il vento soffia, le piante fioriscono, i frutti
maturano e un soffio li fa cadere a terra. Questi fenomeni sono tutti
correlati con cause e condizioni, si manifestano grazie al loro
apporto, e cessano di esistere nel momento in cui queste cause e
condizioni mutano. La nascita di ciascuno di noi è condizionata dalla
parentela e dalla discendenza. Il nostro corpo è nutrito dal cibo: il
nostro spirito si forma attraverso l’insegnamento e l’esperienza.
Quindi, sia la carne che lo spirito dipendono da determinate
condizioni e si trasformano quando queste condizioni cambiano.
Come una rete è costituita da una serie di nodi intrecciati tra di
loro, così ogni cosa in questo mondo è connessa ad ogni altra da una
serie di nodi. È un errore pensare che vi sia qualcosa di separato,
isolato da tutto il resto. Tutti i fenomeni sono intrecciati in
un’unica trama.
Il mondo è una rete poiché è composto da una serie di nodi
interconnessi, e ogni singolo nodo, ogni singolo essente ha il suo
posto, la sua funzione e le sue responsabilità in relazione a tutti
gli altri nodi.
2. I germogli spuntano giacché si realizzano una serie di condizioni
favorevoli al loro germogliare. E così una mano invisibile fa sì che i
frutti si stacchino dai rami. I germogli non appaiono autonomamente,
né una foglia né un frutto cadono a terra da sé, se non è il momento
giusto. Così tutte le cose appaiono, si fanno innanzi e passano via;
nessun fenomeno è immune dal cambiamento.
È la legge sempiterna e immutabile di questo mondo che tutto si crei
attraverso una serie di cause e condizioni e tutto, allo stesso modo,
scompaia; tutto passa, niente è durevole.
– Generazione causata –
1. Qual’è la sorgente della disgrazia, dell’afflizione, del dolore e
dell’angoscia che tormentano gli uomini? Non può che essere
individuata nel semplice fatto che la gente, di norma, è dominata dal
desiderio.
Gli uomini si ostinano a perseguire esistenze all’insegna della
ricchezza e del prestigio sociale, della comodità e del piacere,
dell’eccitazione e dell’autocompiacimento, ignorando che è proprio il
tenace desiderio ed attaccamento per queste cose a generare la loro
sofferenza.
Sin dalle sue origini, il mondo degli uomini si è riempito di
innumerevoli calamità, ben al di sopra del semplice ed inevitabile
fatto di dover cadere malati, patire la vecchiaia, morire.
Ma se si considerano con attenzione tutti questi fatti, ci si deve
convincere che alla base di tutte le sofferenze giace il principio del
desiderio smodato. Se l’avidità può esser rimossa, il dolore che
permea ogni essere umano scomparirà in una bolla di sapone.
L’ignoranza si manifesta nell’avidità che riempie e ottunde la mente dell’uomo.
Essa deriva dal fatto che gli uomini non sono consapevoli della vera
ragione che determina la successione dei fenomeni e tutte le cose
della vita.
Dall’ignoranza e dall’avidità si generano desideri impuri per cose che
sono, di fatto, non ottenibili, ma per le quali gli uomini, resi
ciechi, si affannano senza posa, come mosche intrappolate in un
bicchiere.
A causa di ignoranza ed avidità si vedono distinzioni e
discriminazioni là dove, in realtà, non ve ne sono. Nel comportamento
umano in sé e per sé non vi sono discriminazioni né di giusto né di
sbagliato, né di buono né di cattivo; sono gli uomini ad immaginare e
a giudicare questo come buono quest’altro come cattivo, giusto o
ingiusto. Spesso il giudicare è materia di sogno.
È per ignoranza che gli esseri umani sempre si crogiolano in cattivi
pensieri, smarriscono il giusto punto di vista e, aggrappati al
proprio ego illusorio, producono cattive azioni. Un circolo vizioso da
cui risulta un attaccamento forzato ad una vita di inevitabili
delusioni.
Le azioni diventano il campo dell’ego, il complesso lavorio di
discriminazione dell’intelletto il seme gettato nel solco dell’aratro,
la mente oscurata dalle tenebre dell’ignoranza; i desideri smodati
sono come la pioggia che agisce da fertilizzante con cui l’ostinata
forza volitiva dell’ego provvede ad irrigare il campo; qui mette
radice la concezione del male, da qui la delusione e lo sconforto
esistenziale traggono alimento.
2. In realtà, quindi, è la mente, la mente di ciascun uomo, a causare
delusioni su delusioni con il loro inevitabile bagaglio di sconforto,
lamento, pena ed agonia.
L’intero mondo della delusione non è altro che un’ombra generata dalla
mente. E, d’altro canto, è pur sempre da questa stessa mente che si
manifesta il mondo dell’Illuminazione.
3. Il mondo dell’illusione/delusione si basa su tre errati modi di
considerare la realtà. Se si rimane emozionalmente legati a questi
modi di pensare, allora tutte le cose del mondo esistono ma solo per
esser negate.
Per prima viene la tesi di chi dice che tutta l’umana vicenda è
prodotta esclusivamente dal destino o dalla fatalità; in secondo
luogo, c’è chi sostiene con fermezza che ogni cosa è creata da Dio e
controllata dal Suo volere; infine, altri ritengono che ogni fenomeno
accada a caso senza che vi sia alcuna causa o condizione a
determinarlo.
Se tutto fosse stato deciso una volta sola dal destino, se le azioni,
le buone come le cattive, fossero predeterminate e a ciascuno, da
sempre, fosse stata assegnata la sua parte di prosperità o di
disgrazia; in tal caso, nulla esisterebbe che non fosse stato
preordinato. Allora tutti i progetti e le buone intenzioni coltivate
dagli uomini in funzione dello sviluppo e del progresso sarebbero
null’altro che vanità di vanità e il genere umano rimarrebbe senza
alcuna speranza.
Alla stessa inevitabile conclusione si giunge percorrendo sino in
fondo le altre due strade, giacché, se ogni cosa, in ultima istanza,
fosse nelle mani di un Dio inconoscibile, o del cieco caso, quale
speranza potrebbe esserci per gli uomini al di là di una rassegnata
sottomissione? Non c’è da meravigliarsi che la gente, prestando fede a
queste concezioni del mondo, finisca col perdere la speranza e col
trascurare i buoni propositi di agire con saggezza ed evitare il male.
Infatti, questi tre modi di concepire la realtà sono ugualmente
errati: ogni fenomeno è soltanto una successione di apparenze che
derivano dall’accumulo di determinate cause e condizioni.
LA TEORIA DELL’UNICITÀ DELLA MENTE E IL REALE STATO DELLE COSE
Impermanenza ed insostanzialità dell’Io
1. Sebbene sia il corpo che la mente appaiano reali grazie ad una
concomitanza di cause, questo non implica che esista un
ego-personalità in sé. Poiché il corpo non è altro che un aggregato di
elementi, esso è, per sua natura, impermanente.
Se il corpo fosse un ego-sostanziale, potrebbe fare qualunque cosa
secondo la propria volontà.
Un re ha il potere di far onorare o di far punire un uomo, a suo
completo piacimento, e tuttavia egli si ammala come chiunque altro
indipendentemente dal proprio intento o desiderio, volente o nolente
diviene vecchio; i casi della vita spesso non hanno niente a che
vedere con i suoi desideri.
Né la mente può considerarsi un ego-personalità. La mente umana è un
aggregato di cause e condizioni. Come tutto, è in costante
cambiamento.
Se la mente fosse un ego-sostanziale, potrebbe agire a sua discrezione
realizzando tutto quanto desideri. Ma la mente spesso vola via da ciò
che un attimo prima ha riconosciuto come giusto e con riluttanza si
mette sulle tracce del male. Ancora una volta, nulla sembra accadere
esattamente come il suo ego voleva avvenisse.
2. Posti dinanzi alla questione se il corpo sia durevole oppure
impermanente, non si potrebbe che rispondere “impermanente”.
E lo stesso, interrogati se un’esistenza impermanente generi felicità
o sofferenza, si è generalmente portati a rispondere “sofferenza”.
Credere che una cosa siffatta intrinsecamente instabile, mutevole e
soggetta alla sofferenza sia un che di sostanziale, un “Io personale”
che funga da sostrato all’esperienza, è di certo un grave errore.
La mente umana è parimenti impermanente e cagione di sofferenza; nulla
vi è in essa che possa esser identificato con un “Io personale”.
La vera natura di corpo e mente, ovvero di ciò che ci determina in
quanto individui viventi, e da cui scaturisce la visione del mondo
esterno in quanto altro da sé, non ha nulla a che vedere con i
concetti di ‘io’ o di ‘mio’.
Questo ostinato persistere della mente nell’idea di ‘io’ e di ‘mio’ è
frutto del cieco attaccamento a desideri impuri e dell’ignoranza che
ne deriva.
Dal momento che sia il corpo che le circostanze contingenti che lo
determinano scaturiscono da una serie di cause e condizioni
concomitanti, la loro essenza è l’incessante mutevolezza, il divenire
che non conosce fine.
La mente umana, nel suo trasformarsi senza posa, è simile all’acqua
corrente del fiume o alla fiamma danzante della candela; come una
gibbone che si slancia da un ramo all’altro con frenetica
determinazione, allo stesso modo la mente non cessa neppure un attimo
di agitarsi mutando.
Il saggio, vedendo ed ascoltando questo discorso così com’è, chiaro ed
evidente, dovrebbe lasciar cadere ogni attaccamento al corpo e alla
mente, se intende ottenere l’Illuminazione.
3. Ci sono cinque cose che nessuno è in grado di realizzare in questo
mondo: primo, smettere di invecchiare mentre si sta diventando vecchi;
secondo, evitare all’infinito di ammalarsi; terzo, sfuggire alla
morte; quarto, negare il processo di estinzione mentre è in atto;
quinto, negare la completa e perfetta realizzazione di tale processo.
È normale che chiunque, presto o tardi, si confronti con questi fatti
della vita. La maggior parte della gente, sforzandosi pazzamente di
evitarli o rimandarli nel tempo, ne ricava un’immensa sofferenza; ma
coloro i quali hanno prestato orecchio all’insegnamento del Buddha non
soffrono poiché hanno compreso la vera natura di questi eventi e ne
accettano l’inevitabilità.
Ci sono quattro verità in questo mondo: primo, tutti gli esseri
viventi sorgono dall’ignoranza; secondo, tutti gli oggetti del
desiderio sono impermanenti, incerti e arrecano sofferenza; terzo,
tutte le cose esistenti sono al pari impermanenti, incerte e soggette
al dolore; quarto, non essendovi nulla di sostanziale e permanente,
‘ego’ e ‘mio’ sono soltanto parole, chimere evocate dalla mente e non
corrispondono a nulla di reale.
Queste verità che tutto è impermanente, soggetto al divenire ed
insostanziale, non hanno nessuna connessione col fatto che Buddha sia
apparso o non apparso in questo mondo. Queste verità sono certe ed
evidenti a tutti; Buddha si è limitato a prenderne atto ed è per
questo che ha predicato il Dharma, affinché ne traessero giovamento
tutti gli uomini.
Teoria dell’unicità della mente
1. Sia l’illusione/delusione che l’Illuminazione sono originate dalla
mente, e ogni esistenza individuale o fenomeno scaturisce dalle
funzioni della stessa. La mente assomiglia ad un prestigiatore che fa
apparire gli oggetti più strani e diversi tirandoli via, di nascosto,
dalla manica.
Le attività della mente non hanno limite: di fatto costituiscono il
tessuto circostanziale della vita. Una mente impura si circonda di
cose impure, mentre una mente pura dà origine a puri fenomeni e
condizioni; dunque, il mondo fenomenico non ha altri limiti se non
quelli posti dalle attività della mente.
Come un artista rappresenta il mondo circostante fissandolo su una
tela, così la mente espletando le sue molteplici funzioni dà vita al
mondo fenomenico. Mentre gli oggetti fenomenici creati da un Buddha
sono puri e liberi da sozzure e contaminazioni, quelli posti in essere
dagli uomini ordinari non lo sono.
Tramite l’immaginazione la mente dà sostanza a forme di vario genere
come un pittore esperto rappresenta immagini multicolori di mondi
surreali. Nulla vi è in questo mondo che non sia creato dalla mente.
Un Buddha è come la nostra mente; e gli esseri senzienti sono della
stessa natura di Buddha. Quindi la mente, i Buddha e gli esseri
senzienti sono esattamente sullo stesso piano per quanto concerne la
facoltà di dar vita al complesso degli oggetti fenomenici.
Buddha ha una giusta, chiara comprensione di tutti i fenomeni così
come sono raffigurati e delineati dalla mente dei mortali. Pertanto,
chi riesce ad avere piena consapevolezza di ciò è in grado di vedere
la reale Buddha-natura.
2. Ma la mente che dà forma al suo mondo circostante non è mai
completamente libera da ricordi, paure o pene, non soltanto riguardo
al passato ma anche rispetto al presente e al futuro, giacché esse
sono germogliate fuori dall’ignoranza e dall’avidità.
È dall’inconsapevolezza e dal desiderio smodato che si è formato il
mondo della delusione, e tutta l’enorme complessità delle cause e
condizioni concomitanti esiste nella mente e a causa di essa, in
nessun altro luogo e nessun altro modo.
Sia la vita che la morte sono un fatto mentale ed esistono in quanto
condizionate dalla mente. Pertanto, quando la mente che guarda a sé
stessa in termini di vita e di morte passa oltre, il mondo della vita
e della morte svanisce con essa.
Una vita priva di illuminazione si sviluppa da una mente confusa,
avviluppata nei molteplici lacciuoli del mondo di delusione da essa
immaginato. Se impariamo che il mondo di delusione è soltanto una
fantasticheria della mente e non ha alcuna concretezza reale, le
tenebre che ci costringono da ogni parte, d’improvviso, divengono
chiare; e nel momento in cui cessiamo di creare condizioni e
circostanze impure, otteniamo l’Illuminazione.
In questo modo il mondo della vita e della morte esiste in quanto
prodotto della mente, prigioniero della mente, schiavo della mente; la
mente è il signore assoluto di ogni situazione. Il mondo della
sofferenza è posto in essere da una mente illusa e delusa.
3. Quindi, tutte le cose sono innanzitutto controllate e dominate
dalla mente, e sono posto in essere da essa. Come le ruote seguono il
bue che tira il carro, così la sofferenza segue da presso colui che
parla ed agisce con mente impura.
Ma se un uomo parla ed agisce con mente pura, la serenità lo segue
come la sua ombra. Chi agisce in malafede è perseguitato dal pensiero,
“Sono stato ingiusto”, e il ricordo di quell’azione rimane impresso
nella coscienza e si tramanda insieme alle sue inevitabili conseguenze
di vita in vita. Ma coloro la cui condotta è dettata da un retto
giudizio e da una giusta motivazione si rallegrano pensando, “Ho fatto
bene”, e ancor più felici considerano che la purezza di quel singolo
gesto influirà positivamente sulle azioni future e come un dono
trapasserà di vita in vita.
Una mente impura ci costringe ad arrancare lungo i sentieri della vita
come se si stesse percorrendo una strada ripida e disseminata di
asperità; continuamente si inciampa e si cade a terra e ogni volta ci
si rialza con immensa fatica. Una mente pura, invece, ci conduce su un
percorso piano e facile e fa sì che il viaggio sia il più sereno
possibile.
Chi si rallegra nella purezza del corpo e della mente e ne fa lo scopo
della sua vita, costui segue il cammino che porta alla Buddhità,
infrangendo la rete dell’egotismo, tagliando con una spada affilata i
pensieri impuri e cattivi desideri. Chi riesce a mantenere sotto
controllo la mente, a placarne l’irrequietezza, conquista la vera
beatitudine e così può coltivare la mente giorno e notte con maggiore
diligenza.
Il reale stato delle cose
1. Poiché ogni cosa in questo mondo è posta in essere da cause e
condizioni, non c’è nessuna fondamentale distinzione tra gli essenti.
Le apparenti differenze sono determinate esclusivamente dai pensieri
illogici e discriminanti dell’intelletto umano.
Nel cielo non vi è alcuna distinzione tra est ed ovest; è la gente che
crea le distinzioni nella propria mente e dopo averle fantasticate più
e più volte le prende per verità incontestabili.
I numeri matematici da uno all’infinito, presi ciascuno per sé, sono
oggetti completi, a tutto tondo, senza alcuna differenziazione in
termini di quantità; sono gli uomini a discriminare questo da quello
in base a un mero calcolo di convenienza personale, per poter indicare
varie quantità.
In realtà, non vi sono differenze sostanziali tra il formarsi della
vita e il processo di distruzione della stessa; la gente crede si
tratti di due fenomeni ben distinti, se non contrapposti, l’uno lo
chiama nascita, l’altro morte. Nell’agire non vi è alcuna distinzione
reale ed assoluta tra giusto e ingiusto, ma la gente è portata a dire
“questo è giusto, quest’altro è sbagliato” a seconda delle
circostanze, delle opinioni e dell’immediata convenienza.
Buddha si tiene lontano da queste discriminazioni e con occhio sereno
osserva il mondo come una nuvola soffiata avanti dal vento. Per Buddha
ogni oggetto sostanziale, assoluto, è illusione; Egli sa che qualsiasi
cosa la mente afferri e getti via è per sua natura insostanziale; in
tal modo Egli trascende la caducità delle immagini e il pensiero
discriminante.
2. La gente si attacca alle cose perché persuasa della loro
immaginaria convenienza e comodità; si punta al benessere, al denaro,
al prestigio sociale; insomma ci si afferra disperatamente alla vita
mortale.
Gli uomini pongono distinzioni del tutto arbitrarie tra esistenza e
non-esistenza, bene e male, giusto ed ingiusto. Per i più, la vita si
riduce ad una successione confusa di desideri morbosi ed attaccamenti,
e quindi, a causa di ciò, sono costretti ad assumersi in maniera
proporzionale il loro fardello di illusioni, ansie e sofferenze.
C’era una volta un viaggiatore che, dopo aver percorso molta strada,
giunse infine sulla sponda di un grande fiume. Riflettendo sul da
farsi, pensò: “Questo lato del fiume è assai difficile e pericoloso da
attraversare, mentre l’altra sponda sembra essere decisamente più
facile e più sicura: qual è il modo migliore per guadarlo?” Così
fabbricò una zattera legando insieme giunchi e canne e attraversò il
fiume sano e salvo. Portata a compimento l’impresa, considerò: “Questa
zatterina mi è stata veramente utile per guadare il fiume; non
l’abbandonerò qui a marcire sulla riva, piuttosto me la porterò
dietro.” E fu così che si accollò un inutile e pesante fardello.
Possiamo definirlo un uomo saggio?
Questo racconto insegna che persino una cosa buona, quando è diventata
un peso superfluo, dovrebbe esser gettata via; a maggior ragione se si
tratta di una cosa nociva. Evitare le discussioni inutili e superflue:
di questo Buddha fece una regola di vita.
3. Le cose non vengono e se ne vanno; né appaiono e scompaiono;
pertanto, nulla si prende né si perde.
Buddha insegna che gli oggetti fenomenici non appaiono né scompaiono,
dal momento che essi trascendono sia l’affermazione che la negazione
dell’esistenza. Ovvero, poiché ogni cosa non è altro che una
concomitanza o una successione di cause e condizioni, una sostanza in
sé non esiste realmente, cosicché non può neanche esser detta, ad un
certo punto, non-esistente. Allo stesso tempo, poiché una cosa ha
comunque un determinato rapporto con cause e condizioni, non si può
dire neanche che sia non non-esistente.
Attaccarsi ad un oggetto fenomenico per via della sua forma è fonte di
delusione. Se la forma non è abbracciata e desiderata, questa falsa
immagine mentale non prende corpo e la delusione che ne deriva non può
manifestarsi. Illuminazione significa aver ben chiara dinanzi a sé
questa verità e esser liberi da una tale, sciocca delusione.
Il mondo, in verità, è come un sogno e i suoi tesori sono un
allettante miraggio. Come la prospettiva, in un quadro, fa sembrare
più o meno distanti le figure che vi sono ritratte ma si tratta solo
di un’illusione ottica, così gli oggetti fenomenici non hanno alcuna
realtà in sé: la loro consistenza ontologica è simile ad un denso
vapore caldo.
4. Credere che le cose, create da un’incalcolabile serie di cause,
possano durare per sempre è un grave errore, che si definisce teoria
della permanenza; ma è un errore altrettanto grande pensare che le
cose scompaiano completamente: è questa la cosiddetta teoria della
non-esistenza.
Queste categorie della vita e della morte assolute e durevoli,
dell’essere e del non-essere, non si applicano all’essenza reale delle
cose, ma soltanto alle loro apparenze così come sono osservate ed
evocate dallo sguardo confuso e sognante dell’uomo. Per mezzo del
desiderio, ci si relaziona con queste apparenze e si finisce con
l’attaccarvisi sempre più strettamente; ma nella loro natura
essenziale, le cose esistenti sono completamente avulse e libere da
tutte le discriminazioni e le connotazioni allettanti che in esse
pongono il desiderio e l’intelletto umano.
Dal momento che ogni cosa si genera a partire da una serie di cause e
condizioni, le apparenze degli oggetti fenomenici sono in continuo
mutamento; ossia, non vi alcun sostrato permanente come ci si
aspetterebbe di trovare in un’autentica sostanza. È per via di questo
costante cambiamento delle apparenze fenomeniche che le cose del mondo
si possono paragonare a miraggi e a sogni. Tuttavia, a dispetto della
trascorrenza e della contingenza che è connaturata a tutto ciò che
esiste, gli enti, nella loro essenziale natura spirituale, sono
persistenti e durevoli al di là del flusso del divenire.
Per un uomo un fiume ha l’aspetto di un fiume, ma ad un demone
affamato, che vede fuoco nell’acqua, potrebbe sembrare fuoco liquido.
Di conseguenza, parlare ad un uomo dell’esistenza del fiume avrebbe
qualche senso, mentre non avrebbe alcun significato raccontarlo al
demone.
Allo stesso modo, si può dire che le cose sono come illusioni: di esse
non è possibile affermare né che siano esistenti né che siano
non-esistenti.
Pertanto, è del tutto inverosimile il discorso che pone un ideale
mondo dell’essere e della verità dietro questo mondo qui ove tutto è
cambiamento e apparenza. La distinzione tra mondo temporale o del
divenire e mondo reale o dell’essere è un’erronea fantasticheria.
Ma comunemente la gente tiene per vero questo pregiudizio e argomenta
sulla base di un fantastico mondo dietro il mondo. Ma trattandosi
soltanto di un’illusione, le loro azioni, fondate su questo errore,
conducono inevitabilmente ad ulteriori affanni e sofferenze.
L’uomo saggio, riconoscendo che il mondo esiste solo come illusione,
non agisce come se fosse reale, e così facendo sfugge l’inutile
patimento.
La via mediana
1. Coloro i quali scelgono il sentiero che conduce all’Illuminazione
dovrebbero far attenzione ad evitare due estremi contrapposti. Da una
parte, vi è l’eccessiva indulgenza nei riguardi dei desideri
corporali. Dall’altra, l’eccessivo, irragionevole accanimento nella
disciplina ascetica, quando diventa una tortura per il corpo e la
mente.
Il Nobile Sentiero, che trascende questi due estremi e conduce
all’Illuminazione, alla saggezza e alla pace della mente, può esser
definito una Via Mediana. Cos’è la Via Mediana? Essa consiste
nell’Ottuplice Nobile Sentiero: retta visione, retto pensiero, retto
discorso, retto intento, retta condotta di vita, retto sforzo, retta
consapevolezza e retta concentrazione.
Come si è detto, tutte le cose appaiono e scompaiono in relazione ad
un’interminabile serie di cause. La gente ignorante considera la vita
in termini di esistenza o non-esistenza, ma gli uomini saggi al di là
di essere e non-essere intravedono qualcosa che trascende entrambi; è
questo il punto di vista che ispira la Via Mediana.
2. Immagina un tronco che galleggia nelle acque di un fiume. Se il
tronco non si arena da qualche parte, non affonda, o non è tirato
fuori da qualcuno, oppure non marcisce, alla fine raggiungerà il mare.
La vita è come questo pezzo di legno trascinato via dalla corrente di
un grande fiume. Se non ci si attacca ad una vita di autoindulgenza,
oppure, rinunciando alla vita stessa, non ci si infligge un’esistenza
di autoflagellazione; se non si diventa stupidamente orgogliosi delle
proprie virtù o peggio delle proprie cattive azioni; se nella ricerca
dell’Illuminazione non si cade preda della delusione, né la si teme,
allora si può legittimamente affermare di seguire la Via Mediana.
L’importante nel percorrere il sentiero che porta all’Illuminazione è
evitare di rimanere intrappolati ed invischiati in qualsivoglia
atteggiamento estremo, ovvero, occorre seguire con impegno la Via
Mediana.
Sapendo che le cose né esistono né non-esistono, ricordando che tutto
in questo mondo è simile ad un sogno ad occhi aperti, ci si dovrebbe
sottrarre dal pregiudizio orgoglioso di un ego-personalità da
soddisfare e dall’autocompiacimento per le proprie buone azioni;
oppure semplicemente dal farsi irretire ed intrappolare da qualsiasi
altra passione.
Se si vuole evitare di esser catturati dalla corrente impetuosa dei
propri desideri, occorre imparare sin dal principio a non aggrapparsi
alle cose onde evitare di trasformarle in abitudini o in affezioni
nocive. Non bisogna appigliarsi all’esistenza più che alla
non-esistenza, a qualsiasi cosa dentro o fuori di noi, non importa che
la si ritenga buona o cattiva, giusta o sbagliata.
Se ci si attacca ad una cosa, in quel preciso momento,
istantaneamente, si dà corpo ad una delusione, quantunque non ce ne si
avveda. Chi segue il Nobile Sentiero che porta all’Illuminazione non
sente la mancanza di niente, non ha nostalgia di niente, non si
aspetta niente, non desidera niente, ma con mente equanime e serena si
appressa a ciò che viene, non importa cosa sia.
3. L’Illuminazione non ha una forma definita o una natura attraverso
la quale possa manifestare sé stessa; così nell’Illuminazione in sé,
non vi è nulla che necessiti d’esser illuminato.
L’Illuminazione esiste esclusivamente a causa della delusione e
dell’ignoranza; se si dissolvessero in una bolla di sapone, nello
stesso preciso istante anche l’Illuminazione cesserebbe d’esistere. E
sarebbe vero anche il contrario: non c’è Illuminazione separata da
delusione ed ignoranza; né delusione ed ignoranza separate
dall’Illuminazione.
Quindi, occorre guardarsi bene dal pensare all’Illuminazione come ad
una “cosa” che può essere afferrata, se non si vuol correre il rischio
che anch’essa si trasformi in un ostacolo. Quando la mente che era
nelle tenebre viene illuminata, passa oltre, e nel suo andare al di
là, ciò che noi chiamiamo Illuminazione trapassa con essa.
Fintantoché si desidera l’Illuminazione e ci si aggrappa ad essa come
ad una speranza, ciò significa che la delusione è sempre in agguato
dietro l’angolo; quindi, chi si è incamminato lungo il sentiero
dell’Illuminazione non deve perseguire nessun obiettivo né coltivare
futili speranze, e se si raggiunge alfine l’Illuminazione non bisogna
soffermarsi su di essa né lasciare che sopravviva all’attimo ma
consapevolmente vivere morendo.
Quando qualcuno ottiene la vera Illuminazione, si rende conto che ogni
cosa è in sé Illuminazione e l’Illuminazione è in sé ogni cosa;
pertanto, occorre seguire la via che porta all’Illuminazione finché i
pensieri, le passioni, gli slanci mondani dell’Io e la stessa
quotidianità non diventino una sola cosa con l’Illuminazione, com’è
nella loro più profonda natura.
4. Questo concetto dell’universale unità e coincidenza del tutto – che
tutte le cose nella loro essenza sono uno e dall’uno tutte le cose
discendono – è noto col nome di “Sunyata”. Sunyata significa
non-sostanzialità, non-dualità, ossia il non-nato, l’indifferenziato.
Il che equivale a riconoscere che le cose in sé non hanno alcuna forma
o caratteristica peculiare che le contraddistingua come sostanze
separate a sé stanti soggette alla nascita e alla morte. Non vi è
alcunché nella loro più profonda natura che ci consenta di definirle
in termini di alterità e discriminazione; questa è la ragione per cui
tutti gli enti vengono definiti non-sostanziali.
Come si è messo più volte in evidenza, tutto ciò che esiste si
manifesta e sparisce per via di cause e condizioni. Nulla esiste
interamente a sé stante; ogni cosa è in rapporto con ogni altra cosa.
Dove è luce, vi sono tenebre; dove è lunghezza, vi è brevità; dove è
bianco, lì è nero. Queste coppie di contrari intrinsecamente esistono
soltanto nella loro reciproca relazione: per questo diciamo che il
singolo preso a sé stante è non-sostanziale.
In base al medesimo ragionamento, l’Illuminazione non può esistere
separata dall’ignoranza, né l’ignoranza separata dall’Illuminazione.
Poiché le cose nella loro essenza non differiscono, non vi può essere
dualità.
5. Di solito gli uomini pensano a sé stessi in termini di nascita e di
morte, come opposti irriducibili, ma a ben guardare queste parole non
hanno alcun riscontro nella realtà.
Quando si è capaci di afferrare e realizzare questa verità, allora di
fatto si è colto il significato della non-dualità di nascita e morte.
Il pensiero comune si basa sulla credenza in un ego-personalità e
sull’attaccamento all’idea di possesso; ma dal momento che, di fatto,
non vi nulla al mondo che assomigli ad un “ego” sostanziale, non ha
alcun senso desiderare di possedere ciò che per sua natura è
insostanziale. Comprendere questo fatto essenziale significa
realizzare la “non-dualità”.
Un’altra credenza diffusa oppone i concetti di purità ed impurità; ma
nella vera natura delle cose, tale distinzione non ha alcun senso, ad
eccezione di quello che viene dato a queste parole da false ed assurde
immagini mentali.
Nella stessa maniera la gente distingue tra bene e male, ma bene e
male non esistono separatamente. Chi se è incamminato lungo il
sentiero dell’Illuminazione si rende conto dell’inconsistenza di tale
dualità: per questo non vi è nulla che lo spinga ad elogiare il bene e
a condannare il male, piuttosto che ad avversare l’uno in favore
dell’altro.
Naturalmente si è portati a temere la sfortuna e ad augurarsi la buona
sorte; ma se si osserva attentamente tale distinzione, la cattiva
sorte spesso si volge in buona sorte e, viceversa, la fortuna spesso
si cambia in disgrazia. L’uomo saggio impara ad andare incontro alle
mutevoli circostanze della vita con spirito equanime, a non
entusiasmarsi troppo per i successi e non lasciarsi abbattere dai
fallimenti. Anche in questo si realizza la verità della non-dualità.
Dunque, nessuna delle parole che esprimono relazioni di dualità e di
contrasto – come esistenza e non-esistenza, passioni mondane e vera
conoscenza, purezza ed impurità, bene e male – nessuno di questi
concetti pensati separatamente l’uno dall’altro corrisponde a qualcosa
di reale. Se ci si mantiene liberi dalle opinioni basate su tali
parole, e solo di parole si tratta, e dalle emozioni caotiche che esse
possono ingenerare in ciascuno di noi, allora si realizza qui ed ora
la verità universale della Sunyata.
6. Come un puro e fragrante fior di loto spunta fuori dal fango di una
palude piuttosto che dalla buona e grassa terra di un campo coltivato,
così dalla sporcizia delle passioni mondane nasce la pura
Illuminazione della Buddhità. Persino le opinioni erronee degli
eretici e le delusioni che scaturiscono dalle passioni mondane possono
fungere da fertilizzante per la Buddhità.
Se un pescatore subacqueo vuol pescare delle perle deve immergersi
sino a toccare il fondo del mare e dev’esser pronto a correre il
rischio di ferirsi con coralli taglienti o di imbattersi in squali
feroci. Allo stesso modo occorre affrontare a viso aperto i pericoli
legati alle passioni umane se si vuole, infine, impadronirsi della
preziosa perla dell’Illuminazione. Bisogna innanzitutto vagare
smarriti tra i rocciosi crepacci dell’egoismo e dell’autostima, prima
che si risvegli in noi il desiderio di trovare il sentiero che ci
condurrà all’Illuminazione.
C’era una volta un eremita che aveva un così forte desiderio di
trovare la strada della verità che si arrampicò su una montagna di
spade e si gettò nel fuoco, senza arrendersi mai aggrappato le unghie
e i denti alla sua speranza. Chi ha deciso fermamente di percorrere la
stessa strada dovrà affrontare il gelido vento che soffia impetuoso
sulle montagne di spade affilate dell’egotismo e le fiamme divampanti
dell’odio e del pregiudizio, e solo alla fine si renderà conto che
l’egotismo e le passioni ribollenti contro le quali si è così
accanitamente battuto, soffrendo e facendo soffrire, sono
l’Illuminazione stessa e nient’altro.
7. L’insegnamento del Buddha ci conduce alla non-dualità, partendo dal
concetto discriminante di due punti di vista in conflitto tra di loro.
L’errore più comune consiste proprio nella ricerca spasmodica di un
qualcosa che si suppone buono e giusto, in contrapposizione con
qualcos’altro che si giudica cattivo ed ingiusto e che, con eguale
determinazione, ci si sforza di evitare
Se si considera attentamente che tutte le cose sono per loro natura
vuote e transitorie, l’errore più grande che si possa commettere
consiste nell’assumerle come un qualcosa di sostanziale, reale e con
soggetto ad alcun cambiamento. Se ci si attacca alla credenza di un
ego-personalità, in nessun modo si può evitare la delusione e la
sofferenza che ne deriva. Se si crede che non vi è nessun
ego-sostanza, si commette lo stesso un errore e la propria pratica
della Via diventa egualmente inutile. Se ci si convince che tutto è
sofferenza, si è comunque in errore; e lo stesso se si pensa che tutto
sia felicità. Buddha insegna la Via di Mezzo, che trascende questi
pregiudiziali concetti, facendo sì che la dualità si risolva
nell’unità.
(Traduzione di Francesco Dipalo)
Nota
[*] Per una introduzione allas filosofia buddhista si veda Sognare sognidolorosi, risvegliarsi con la coscienza di niente. L’essenza della
filosofia buddhista.
Introdurre un’esposizione del pensiero buddhista ad un pubblico di
lettori italiani non è cosa facile, soprattutto considerando che
quanto ci accingiamo a presentare verrà letto, soppesato e valutato da
persone che operano nella scuola, che ogni giorno si confrontano con
problemi concreti, la cui soluzione spesso richiede un continuo e
faticoso rimettersi in gioco, come insegnanti e come persone.
Nonostante il dibattito e il confronto tra Occidente ed Oriente non
sia una novità dell’ultima ora e il Buddhismo, nei suoi variegati
aspetti ed implicazioni, abbia fatto ingresso nella cultura europea ed
italiana da almeno trent’anni, la filosofia buddhista non è stata mai
presa seriamente in considerazione nell’ambito dei programmi
scolastici.
Proponendo alla vostra attenzione questo lavoro, non ci aspettiamo
certo di rimediare ex abrupto ad una mancanza che non spetta certo a
noi giudicare tale e che richiede ben altro impegno e profondità
d’intenti. Ci accontenteremmo di aprire una finestra su un altro modo
di concepire il mondo e il posto che in esso spetta all’uomo, un modo
così diverso e nello stesso tempo così dialetticamente ricco rispetto
alla nostra tradizione filosofica e culturale che non potrà esimerci
dal provare quella meraviglia, su cui, come insegnano gli antichi,
poggia ogni progresso intellettuale e spirituale.
Di esposizioni del pensiero buddhista, sia a livello divulgativo che
accademico, sono piene le librerie e le biblioteche. Chi volesse
accostarvisi per semplice curiosità o per più fondati motivi di
studio, in mancanza di una guida sicura, sarebbe costretto ad
affidarsi al caso o al proprio personale intuito. A complicare la
questione, contribuisce senz’altro la grande messe di scuole e
discipline più o meno coerenti nell’ispirazione dottrinale e contigue
nella dimensione spazio-temporale della storia del Vicino e Lontano
Oriente. Il Buddhismo, come movimento religioso e spirituale, o
semplice stile di vita e di pensiero, nel corso dei secoli si è
diffuso da un capo all’altro del continente asiatico, dall’India, alla
Cina, alla Thailandia, al Giappone, dando vita a civiltà e culture
tradizionali diverse, in un arco di tempo lungo 25 secoli.
Rintracciarne i comuni fondamenti non è impresa delle più semplici.
Ogni civiltà nel tempo ha collezionato una propria tradizione testuale
e letteraria, prima in pali, un dialetto della sub-continente indiano
derivante dall’antico sanscrito, poi in cinese e nelle altre lingue
asiatiche.
Dalla congerie di documenti a disposizione degli studiosi emergono con
una certa chiarezza, tre punti fondamentali: la storicità del Buddha,
vissuto intorno al VI secolo a.C.; il costituirsi alla morte del
Buddha di una vasta comunità di discepoli in grado di fondare una
solida tradizione orale del suo insegnamento; il confluire di questa
tradizione orale in una documentata tradizione scritta tra il I secolo
a.C. e il II secolo d.C.
Siddharta, il Buddha storico, apparteneva alla nobile famiglia dei
Shakya, regnante su un distretto dell’India nord-orientale alle
pendici della catena hymalaiana nell’attuale Nepal. La sua vita si
svolse in questa regione. Più tardi, quando il Buddhismo si diffuse
verso sud, le testimonianze tramandate per secoli da generazioni di
monaci e fedeli laici, furono raccolte nel cosiddetto Canone Pali, dal
nome della lingua in cui fu redatto. A tutt’oggi il Corpus degli
scritti conosciuto come Canone Pali è in uso, come raccolta di testi
sacri, presso i monaci buddhisti di Ceylon, dell’India meridionale e
del Sud-Est asiatico, Thailandia e Birmania, rappresentanti del
Piccolo Veicolo (Hinayana), termine col quale si indica la prima,
originaria espansione del Buddhismo storico (in contrapposizione col
Grande Veicolo (Mahayana), la successiva espansione della religiosità
buddhista nelle regioni nord-orientali dell’Asia, in particolare Cina
e Giappone).
Si tratta, pertanto, della più antica e più autorevole fonte scritta
in nostro possesso. Il Canone è immenso: consta di migliaia e migliaia
di pagine, ordinate in volumi e ‘ceste’ di volumi.
Era nostra intenzione partire da una raccolta di testi, una piccola
antologia da sottoporre all’attenzione del lettore principiante,
invertendo la tendenza assai diffusa, per evidenti ragioni
divulgative, di presentare commenti ed esposizioni ‘manualistiche’ a
prescindere completamente dalla lettura dei testi originali, oppure
includendone brani scelti nel corpo testuale dell’esposizione. Una
tendenza seguita pedissequamente, soprattutto nelle scuole, anche per
la filosofia occidentale, e che solo da alcuni anni a questa parte è
stata combattuta con successo col ribadire la centralità del testo
filosofico rispetto alle sovrastrutture argomentative e critiche.
Durante un viaggio in un paese dell’Estremo Oriente, chi scrive è
venuto in possesso, per puro caso, di un libro edito dalla Buddhist
Promoting Foundation, un’Associazione nipponica senza scopo di lucro
che da molti anni persegue il fine di diffondere la conoscenza del
pensiero buddhista attraverso un’antologia di testi, ricostruita sulla
base del Canone Pali.
Il libro in questione, pubblicato con testo a fronte
inglese-giapponese nel 1992 (ma la prima edizione risale al 1966) e
intitolato The Teaching of Buddha, fa esattamente al caso nostro,
poiché unisce il lavoro sulle fonti, che non saremmo in grado di
svolgere, date le insormontabili barriere linguistiche, con quello
preziosissimo della selezione e della riproposizione delle stesse in
un tessuto espositivo organico e ben strutturato.
I testi che seguono sono stati tradotti dall’inglese. Trattandosi di
una traduzione di una traduzione e non potendo accedere altrimenti
alle fonti originali (accuratamente citate passo per passo dagli
autori) non possiamo accampare alcuna pretesa di scientificità, per
quanto il libro in questione e l’Associazione da cui è stato
pubblicato sembrino offrire buone garanzie di affidabilità ed
autorevolezza.
Nella traduzione italiana, grazie all’esperienza acquisita nel corso
degli anni dalla lettura di altre opere filosofiche buddhiste, si è
cercato di riprodurre, per quanto possibile, lo stile e le cadenze
letterarie proprie dell’originale, senza trascurare di utilizzare un
lessico comprensibile per il lettore italiano che si intenda di
filosofia.
Col tempo, fatta salva la centralità del testo, ci si sforzerà di
costruirgli intorno un reticolo di note e commenti allo scopo di
chiarire alcuni concetti chiave del pensiero buddhista e di proporre
all’attenzione del lettore alcune questioni teoretico-comparative
condivise con la tradizione filosofica occidentale.
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