Aprire il cuore
di Jeffrey Hopkins
L’uguaglianza è il primo passo nel coltivare la compassione: renderci conto
che siamo esattamente uguali agli altri nella ricerca della felicità, crea
le condizioni per l’apertura del nostro cuore.
Il primo passo nel coltivare la compassione è contemplare le persone che
conosciamo, iniziando con le persone estranee, poi gli amici e,
gradualmente, con i nemici. Riconosciamo che “Proprio come io voglio la
felicità e non voglio la sofferenza, così questa persona vuole la felicità e
non vuole la sofferenza”.
Questa meditazione preparatoria si chiama di equanimità o imparzialità. È
importante rilevare l’uguaglianza tra noi stessi e gli altri. Non è
sufficiente pensare in modo superficiale “Così come io voglio la felicità e
non voglio la sofferenza, questa persona vuole la felicità e non vuole la
sofferenza”. Una simile modalità non ci avvicina al fatto che esiste
un’uguaglianza tra una persona e un’altra.
È necessario meditare in modo specifico, persona dopo persona. Occorre tempo
e anche un certo senso dell’umorismo, un divertimento nel rendersi conto di
come possa essere un processo difficile.
“Così come io voglio la felicità e non voglio la sofferenza, questa donna
che siede accanto a me in aereo vuole la felicità e non vuole la
sofferenza”, la donna che mi ha svegliato! Esaminate tutte le persone
sull’aereo, una dopo l’altra: il pilota vuole la felicità e non vuole la
sofferenza… le persone al lavoro e che non conoscete veramente, le persone
in farmacia… è impressionante riconoscere la loro umanità.
Più coltivate questa attitudine, più potrà diventare emozionante e
sorprendente anche nei confronti degli sconosciuti: “Tutte queste persone
vogliono la felicità e non vogliono la sofferenza? Tutte queste persone
nella strada?”.
Meditate ovunque voi siate. Tutte le persone, questa specifica persona,
quell’altra persona, vogliono la felicità, eccetera. Attenzione: è facile
trasformare in mere parole delle emozioni altamente evocative, tuttavia
continuate a ripetervi il messaggio “Così come io voglio la felicità e non
voglio la sofferenza, Francis vuole la felicità e non vuole la sofferenza.
Il mio vicino, Bruce, vuole la felicità e non vuole la sofferenza” e così
via.
Non evitate di riflettere sugli estranei. “Questa persona che spinge in
basso l’asta della bilancia vuole la felicità e non vuole la sofferenza”. È
interessante! “Quel ragazzo che si appoggia alla finestra della palestra
vuole la felicità, non vuole la sofferenza”. Abituarsi a questo processo e
attraversarne ripetutamente l’emozione è appassionante e trasformativo. Non
è per niente scontato.
Soltanto dopo aver sperimentato l’uguaglianza con alcune persone sconosciute
e poi con gli amici, rivolgete la pratica ai nemici. Non cominciate subito
con il vostro peggior nemico, tipo “Così come io voglio la felicità e non
voglio la sofferenza, così quell’ignorante, quel figlio di puttana vuole la
felicità e non vuole la sofferenza”. Sentite la resistenza… no, no, no!
[…] Solo quando abbiamo coltivato la comprensione [dell’uguaglianza] verso
gli amici e gli sconosciuti, sperimentato l’emozione di scoprire una così
forte vicinanza, allora potremo dedicarci a svilupparla con i nemici minori
e infine con i più grandi. […]
Comprendere che tutti noi vogliamo la felicità e non vogliamo la sofferenza
è la base dell’amore, della compassione e della gentilezza. Questi esercizi
fanno appello al sentire, al cuore, non ad astratti principi o a concetti
legalisti di giustizia. E non si tratta nemmeno di richiamarsi al fatto che
“Buddha ha detto così”. Desiderare la felicità e non volere la sofferenza è
una semplice caratteristica della nostra natura e non c’è bisogno di altre
convalide.
Dal punto di vista buddhista, non c’è nessun altro, nessun altro essere che
ci abbia costruito questa strada – desiderare la felicità e non volere la
sofferenza – che è, invece, il nostro modo d’essere. Il fuoco è caldo e
brucia, questo è il modo d’essere del fuoco. Chi lo ha fatto così? È il suo
modo d’essere. Noi la definiamo ‘una ragione naturale’. È la natura delle
cose.
È un fatto insito nella nostra natura volere la felicità e non volere la
sofferenza. Per questo motivo i buddhisti non chiedono di rinunciare alla
ricerca della felicità, ma suggeriscono di diventare più intelligenti sul
modo di ottenerla.
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