Aristotele e la felicita’ come fine ultimo della vita umana

pubblicato in: AltroBlog 0
Aristotele e la felicita’ come fine ultimo della vita umana

Anche se può sorprenderci, già 2000 anni fa la filosofia si interrogava su questioni che ci
attanagliano ancora oggi. Una tra queste riguarda la felicità individuale e collettiva. Seguiteci
per saperne di più!

Tutte le persone vogliono essere felici, ma cos’è la felicità? Aristotele se lo domandava già secoli
fa e in questo articolo esamineremo alcune delle conclusioni a cui giunse.

In Nicomachean Ethics il filosofo greco costruisce la sua teoria sulla felicità e sulla bella vita.
Questo lavoro appartiene all’etica, un ramo della filosofia che pone domande come: cos’è il male?
Cosa è un bene? Come possiamo agire correttamente? Come possiamo avere una vita felice nonostante le
vicissitudini dell’esistenza?

In questa occasione ci immergeremo nell’etica di Aristotele: una linea di pensiero valida ancora
oggi.

Cos’è la felicità secondo Aristotele?

La felicità è un concetto centrale nell’etica di Aristotele. Nella sua Etica nicomachea, il filosofo
sostiene che la felicità sia il fine ultimo della vita umana. Cosa intende dire?

Ogni azione umana è composta di mezzi e fini. Ad esempio, se il nostro fine è mangiare (abbiamo
fame), allora i mezzi saranno tutte quelle azioni che compiamo per soddisfare il nostro bisogno.
Possono pensare a cosa vogliamo mangiare, di quali ingredienti abbiamo bisogno, acquistarli,
cucinare, ecc.

Ora, secondo Aristotele, c’è un fine ultimo nella vita umana. Ciò significa che c’è un punto a cui
mira l’insieme di mezzi e fini che abbiamo portato avanti nel corso della nostra vita. Se chiediamo
a un uomo anziano se è felice, la sua risposta includerà tutte quelle azioni che ha compiuto nel
corso della sua esistenza.

È importante sottolineare che per Aristotele i giovani non possono aspirare alla felicità come
propone il filosofo, poiché è possibile accedervi solo attraverso la pratica e l’esperienza. I
bambini e i giovani si trovano in una fase precedente, dove domina l’apprendimento; più esperienza
accumulano, più si avvicinano al raggiungimento della felicità, intesa come fine ultimo della vita.

Per Aristotele, la felicità è possibile attraverso la pratica e l’esperienza.

Virtù e felicità in Aristotele

La virtù in Aristotele è un altro concetto importante, poiché aspirando ad essa possiamo raggiungere
la felicità. Comprende per virtù l’esecuzione ottimale o eccellente di una funzione o di un’azione.
E queste azioni sono le abitudini del nostro carattere, cioè sono quelle azioni che ci formano come
persone virtuose. Solo queste abitudini caratteriali che possono essere considerate buone o cattive.

Pertanto, secondo Aristotele, la felicità è uno stato di completo benessere che si raggiunge
attraverso la pratica della virtù. È completo perché solo esso è necessario affinché la vita abbia
un valore in sé.

La virtù si ottiene attraverso la pratica e l’abitudine, cioè è un esercizio. Aristotele dice che
non si nasce virtuosi, ma lo si diventa. Pertanto, per il filosofo, la felicità non è qualcosa che
si ottiene per caso, ma è il risultato di uno sforzo costante e sostenuto.

Virtù etiche e felicità in Aristotele

Le virtù etiche, cioè l’eccellenza del nostro carattere, sono in continua tensione tra volontà e
ragione. Non dobbiamo dimenticare che per Aristotele la funzione dell’uomo che lo differenzia dalle
altre specie è la ragione o il pensiero. Ma sappiamo che non siamo solo esseri dotati di
intelligenza, ma che abbiamo anche desideri o passioni.

Per questo motivo è importante evidenziare il ruolo dell’abitudine nel cammino delle virtù etiche e
della felicità, poiché non forgeremo azioni o un carattere virtuoso in una sola seduta. Quindi, la
ragione deve regolare i desideri per raggiungere la virtù. Come abbiamo fatto? Attraverso un altro
concetto di Aristotele: il punto medio o mediano.

Giro di boa e il raggiungimento della felicità

Aristotele sostiene che la virtù è l’equilibrio tra due estremi. L’eccellenza del carattere si
ottiene quando si trova la giusta armonia tra questi estremi, uno dei quali è l’eccesso e l’altro è
la carenza. Ad esempio, la moderazione è il punto medio o l’equilibrio tra il suo eccesso, che è la
licenziosità, e il suo difetto, che è la privazione.

Più ci sforziamo di avere un carattere equilibrato, più ci sposteremo verso la via di mezzo ed
eviteremo gli estremi. Solo attraverso l’attuazione delle azioni possiamo imparare e acquisire virtù
etiche, cioè, se vogliamo essere giusti, dobbiamo fare atti giusti.

Volontà e scelta: la via della felicità

Aristotele ritiene che le azioni che contano siano quelle che le persone compiono nella piena
applicazione della loro libertà e nella piena conoscenza delle circostanze in cui si sviluppa. Se
qualcuno che fa qualcosa è costretto o sotto costrizione, quell’azione non è moralmente rilevante.

D’altra parte, oltre all’abitudine, come si basa il punto medio o il punto medio? Attraverso la
scelta, che è il risultato di deliberazione o riflessione. Anche qui i mezzi e i fini hanno un ruolo
importante, poiché per un dato fine si valutano i mezzi migliori per realizzarlo. Così pensato, può
essere considerato come un piano d’azione, che nel suo insieme ci conduce sulla via della felicità.

Sulla via della felicità, la volontà e la libertà sono importanti.

Comunità e felicità secondo Aristotele

Aristotele sostiene che la felicità non è qualcosa che può essere raggiunto in isolamento, ma
piuttosto è parte integrante di una vita ben vissuta in comunità. Pertanto, conta la felicità della
collettività, non solo la felicità dell’individuo. La virtù è essenziale per vivere in armonia con
gli altri, e la felicità si raggiunge quando si vive in una comunità virtuosa.

Tanto che attualmente sono riprese le indagini dell’Etica Nicomachea per riflettere su come la
filosofia di Aristotele possa aiutarci a pensare non solo alla comunità, ma anche all’educazione.
Perché, come accennato prima, la felicità dell’individuo isolato non conta tanto quanto la felicità
della comunità.

Pertanto, si impegna per un’educazione delle virtù in cui la prudenza predomina come virtù
predominante.

Ebbene, per Aristotele la felicità è il fine ultimo della vita umana e si raggiunge attraverso la
pratica della virtù. La virtù si ottiene attraverso la pratica e l’abitudine; Inoltre, scelte
razionali e intelligenti per l’esecuzione dei fini modellano un carattere virtuoso.

Sulla stessa linea, la felicità è definita come uno stato di equilibrio e di normalità, sommato al
fatto che è essenziale vivere in armonia in una comunità virtuosa.

Probabilmente, questa spiegazione è lontana dall’attuale, un po’ impaziente, concetto di felicità.
Per alcuni può trattarsi di ottenere beni materiali, per altri l’evitamento di certe sensazioni,
come il dolore.

Come abbiamo visto, Aristotele ha una sua idea di felicità, e sebbene siano passati alcuni anni da
quando l’ha formulata, possiamo considerarla e possiamo includere che vogliamo, ciò che ci rende più
felici, nella nostra definizione di felicità.

Bibliografia

Marcos, Alfredo. (2011). Aprender haciendo: paideia y phronesis en Aristóteles. Educação, 34(01),
13-24. Recuperado em 31 de janeiro de 2023, de educa.fcc.org.br/scielo.php?script=sci_arttext
<educa.fcc.org.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S1981-25822011000100003&lng=pt&tlng=es>
&pid=S1981-25822011000100003&lng=pt&tlng=es.

da lista mentem gg

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *