ASTRONOMIA PER ASTROLOGI – parte 6

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ASTRONOMIA PER ASTROLOGI – parte 6

di Luciano Drusetta

digilander.libero.it/drusetta

7. DISTANZE ASTRONOMICHE – RELATIVITA’:

Unità astronomiche, Anno-luce, Parallasse, Parsec.

Universo in espansione. Relatività.

L’astrologia, abbiamo visto, “riduce” l’universo ad un piano solo, quello dell’Eclittica. Potremmo
affermare che è una specie di “astronomia a due dimensioni” (il che ovviamente non significa
necessariamente “astronomia semplificata” o “banalizzata”!). Inoltre si basa su una visione
geocentrica che annulla di fatto le distanze, immaginando l’universo come una sfera che circonda la
Terra ad una distanza difficilmente definibile.

Ma vediamo quali sono le unità di misura che utilizzano gli astronomi più frequentemente, e come
possiamo sapere a che distanza si trova, da noi osservatori, un oggetto dello spazio esterno.

* UNITA’ ASTRONOMICA: è la distanza media Sole-Terra, e corrisponde a 149 milioni e 1/2 di km
(afelio 152 – perielio 147 milioni di km). Due astronomi, Titius e Bode, hanno ritenuto di trovare
una certa regolarità nelle distanze dei pianeti dal Sole, misurate in unità astronomiche. Mercurio
si trova a 0,4 UA dal Sole, Venere a 0,7 UA, la Terra a 1 UA, Marte a 1,5 UA. Un altro pianeta si
“dovrebbe” trovare a 2,8 UA dal Sole e lì ci troviamo la fascia degli asteroidi. Giove si trova a 5
UA, Saturno a 9,5 UA, Urano a 19 UA, Nettuno a 30 UA e Plutone a 39 UA dal Sole.

* ANNO-LUCE: corrisponde alla distanza percorsa dalla luce (che, si suppone, viaggia sempre e
costantemente a 300.000 km/sec) in un anno. Sempre che sia costante! Corrisponde ad una distanza di
9 trilioni e mezzo di km.

Il Sole si trova a 8 minuti-luce dalla Terra. Questo vuol dire che la luce del Sole impiega 8 minuti
ad arrivare ai nostri occhi. Dunque, quando lo vediamo sorgere in realtà si è già spostato. Noi lo
vediamo sempre com’era 8 minuti fa! La Luna è lontana poche frazioni di secondo-luce. La stella più
vicina, Proxima centauri, si trova a 4 anni-luce. Quindi noi la vediamo com’era 4 anni fa!

* Parallasse: Si tratta di un metodo di misurazione trigonometrica, che permette di misurare con una
certa precisione le stelle piuttosto vicine. E’ un sistema che funziona per piccole distanze
astronomiche: fino a 30 anni luce dà una precisione oltre l’85%, ma per distanze maggiori non è più
affidabile. Il limite massimo fino a cui “funziona” la parallasse è di 400 anni luce.

Per avere un’idea di cos’è la parallasse trigonometrica dobbiamo osservare un oggetto relativamente
vicino, proiettato contro uno sfondo relativamente lontano. Per esempio, tendiamo il braccio tenendo
in mano una biro e osserviamo la biro prima con un occhio, poi con l’altro. La biro sembra
“spostarsi” rispetto al fondo. Questo spostamento si chiama parallasse, ed è dovuto al fatto che i
nostri due occhi sono conficcati nella nostra testa ad una certa distanza l’uno dall’altro. Siccome
la distanza tra i nostri occhi non cambia (e meno male!), più l’oggetto è lontano, minore sarà il
suo spostamento apparente rispetto allo sfondo; più l’oggetto è vicino, e più sembrerà spostarsi
rispetto allo sfondo, giusto?

Vi ricordate il View-Master? quei dischi di cartone con delle piccole diapositive “a colori e in
rilievo” disposte a coppie, che inserite in un particolare visore davano vita ma immagini
tridimensionali? Funzionano in base allo stesso principio. Infatti erano foto scattate da una
particolare macchina fotografica con due obiettivi, posti alla stessa distanza degli occhi.

Torniamo al nostro esempio: gli occhi, la biro e lo sfondo. Dobbiamo allora immaginare un triangolo
ai cui vertici si trovano i nostri due occhi e l’oggetto che osserviamo. E poi dobbiamo prolungare i
due lati del triangolo che partono dai nostri occhi e si congiungono sull’oggetto, e proiettarli
sullo sfondo. Facendo così “disegniamo” un altro triangolo, tra l’oggetto e il fondo. Ci siamo?

Allora abbiamo un triangolo con alcuni elementi noti (che sono la distanza tra i nostri occhi e lo
spostamento apparente dell’oggetto sullo sfondo) e altri elementi ignoti (la distanza dell’oggetto
dai nostri occhi), giusto? Con una serie di calcoli trigonometrici è possibile calcolare la distanza
reale dell’oggetto. La trigonometria, sapendo che la somma interna degli angoli di un triangolo
qualsiasi è = 180°, ci permette di calcolare la lunghezza dei lati adiacenti oppure opposti al
vertice, rispetto all’angolo di cui conosciamo l’ampiezza (ma non chiedetemi quali funzioni
trigonometriche sono usate in questo caso, perché non mi sono preparato! magari ne parliamo un’altra
volta…).

Ecco, con la Terra avviene una cosa simile. In sei mesi la Terra percorre mezzo giro attorno al
Sole, spostandosi nello spazio di circa 2 UA (300 mila km circa). E’ una distanza sufficiente a far
sì che le stelle più vicine appaiano spostate rispetto allo sfondo fatto di stelle più lontane, che
all’apparenza rimangono immobili.

La distanza da cui il raggio medio dell’orbita terrestre (UA) è visibile in un secondo di grado si
chiama parsec (abbreviazione di parallasse al secondo). La cosa si può dire anche in un altro modo.
Quando una stella, in 6 mesi, si sposta di 2 secondi di grado, è lontana 1 parsec = 30 trilioni di
km = 3,26 anni luce = 200 mila unità astronomiche.

Abbiamo detto che questi metodi di misurazione della distanza sono validi entro certi limiti. Per le
distanze maggiori, come facciamo a sapere a che distanza si trovano le stelle? Ci sono dei metodi
indiretti.

* Per esempio è stato scoperto un certo tipo di stella variabile, detto cefeide, il cui periodo di
pulsazione è direttamente proporzionale alla sua magnitudine assoluta. Cioè si è scoperto che le
cefeidi più luminose hanno anche un ciclo di pulsazione più lungo, e quelle meno luminose hanno un
ciclo di variabilità più rapido. Così quando viene scoperta una nuova cefeide, si misura il ciclo di
variabilità e da questo si risale alla sua magnitudine assoluta, e rapportata a quella apparente
possiamo avere un’idea abbastanza precisa della distanza della stella da noi. Come? Beh, non è
difficilissimo. Immaginiamo di avere due cefeidi che seguono un ciclo di durata uguale. Ciò
significa che hanno la stessa magnitudine assoluta, la stessa luminosità reale. Quella delle due che
appare meno luminosa vuol dire che è la più lontana.

Questo sistema di misurazione vale per distanze maggiori rispetto a quelle del parsec, e ci è
servito per misurare il diametro della nostra galassia e la distanza delle galassie vicine. Ma anche
questo sistema non vale per misurare distanze maggiori.

* Ormai lo abbiamo sentito tutti: l’Universo è in espansione. Pare che Piero Angela, in una puntata
particolarmente riuscita di Superquark, abbia paragonato l’universo a un panettone che lievita: le
stelle e le galassie si allontanano tra di loro come gli acini di uvetta e i pezzettini di frutta
candita all’interno del panettone. Come divulgazione scientifica, mi sembra un po’ estrema, ma rende
certamente l’idea.

Ma noi come lo sappiamo? Non lo sappiamo per certo, ma lo deduciamo da una serie di considerazioni
teoriche basate, solo in parte, su alcune osservazioni pratiche. La cosa funziona un po’ come la
distanza delle cefeidi, che viene “dedotta” in base a una legge astronomica che dice: la stella
cefeide più ha un ciclo lungo, e più è luminosa. In altre parole, la teoria dell’espansione
dell’Universo non è basata sull’osservazione diretta. E infatti se noi osserviamo l’universo con un
telescopio, non lo vedremo mai espandersi, neanche a stare lì cent’anni tutte le notti a rovinarci
la vista con gli occhi attaccati al telescopio. E’ un po’ come se volessimo trovare la “prova”
dell’evoluzione darwiniana osservando per tutta la vita il susseguirsi delle generazioni del nostro
gatto, sperando che si trasformi prima o poi in qualcosa che non è più un gatto ma non è ancora del
tutto un’altra specie. Anche lasciando questo ingrato compito ai nostri nipoti, sarà difficile poter
“osservare” questo tipo di evoluzione.

Il discorso è diverso se osserviamo le stelle e le galassie attraverso lenti prismatiche: allora
notiamo un fenomeno particolare, noto come spostamento verso il rosso. Di che cosa si tratta?

Abbiamo parlato dello spettro delle stelle, che mostra delle linee scure su uno sfondo dato dai vari
colori dell’arcobaleno. Ecco, la maggior parte delle stelle e delle galassie, osservate al
telescopio con lenti prismatiche, mostra un accumulo di queste linee scure nella zona rossa dello
spettro. Nel 1929 l’astronomo Hubble osservò che più le galassie sono lontane, più marcato è questo
spostamento verso il rosso.

Qui finisce il dato sperimentale, l’osservazione empirica e galileiana.

Attenzione: quello che segue è speculazione scientifica: nel senso di una deduzione basata
sull’interpretazione teorica dei dati sperimentali.

Questo spostamento verso il rosso viene interpretato come Effetto Doppler. Vediamo allora cos’è
l’Effetto Doppler.

* Effetto Doppler: lo incontriamo innanzi tutto nella fisica delle onde sonore. E’ la deformazione
delle onde sonore quando sono emesse da un oggetto in movimento. Se l’oggetto è fermo, le onde si
propagano in cerchio, con l’oggetto al centro: proprio come le onde concentriche provocate da un
sasso lanciato in uno stagno. Se l’oggetto si muove, le onde “davanti” sono più ravvicinate e quindi
producono un suono più acuto; le onde “dietro” sono più distanziate e danno un suono più basso. (es.
la famosa pubblicità del: “gedàppaaaaahhh!”)

Poi c’è una conseguenza particolare dell’effetto Doppler, che è dato dall’accumularsi delle onde
sonore davanti all’oggetto man mano che la velocità aumenta, fino a formare un vero e proprio muro
(il famoso Muro del suono) quando la velocità dell’oggetto è molto vicina o uguale a quella del
suono (circa 300 metri al secondo). Ma questo è un altro discorso che ha poco a che fare con le
stelle.

L’effetto Doppler riguarda le stelle perché si ritiene che la stessa cosa che avviene con le onde
sonore avviene anche con la luce. E cioè che se la fonte luminosa si allontana, le onde luminose che
arrivano al nostro occhio sono più distanziate e l’oggetto ci dovrebbe apparire più rossastro. Se si
avvicina, le onde luminose che ci arrivano sono più raggruppate e l’oggetto ci dovrebbe apparire più
blu.

Questo non è detto che sia del tutto vero, anche perché la natura della luce non è ancora chiara: si
comporta a volte come un’onda e a volte come un’emissione di energia. E studi recenti hanno
dimostrato che questa energia non è continua, ma è formata da una serie di “pacchettini” che
avanzano in rapida successione (i cosiddetti fotoni). Comunque sia non sarò certo io a dimostrare
che l’Universo non si espande. E allora accettiamo che lo spostamento verso il rosso delle linee
spettrali sia effettivamente causato dall’effetto Doppler – dunque le galassie si allontanano da
noi, in tutte le direzioni, anzi, più sono lontane e più rapidamente si allontanano… e dunque
l’Universo è in espansione.

Qualche galassia fa eccezione, e mostra un marcato spostamento verso il blu. Pertanto secondo questa
teoria, in realtà si avvicina a noi. Ma questo viene interpretato come normale allontanamento dai
valori statistici, perfettamente nella norma (esempio: Curva di Gauss). Dunque in questo caso
l’eccezione non dico che conferma la regola, ma per lo meno non la “falsifica”.

Ammettiamo dunque che l’Universo sia in espansione. Perché si espande? Fino a pochi anni fa a scuola
insegnavano le tre ipotesi che scaturiscono dalla constatazione che l’universo è in espansione:

1) l’Universo si espande e continuerà a espandersi all’infinito, diradandosi sempre di più;
diventerà sempre più grande e vuoto

2) l’Universo si espande e negli spazi vuoti si “crea” nuova materia interstellare (ipotesi della
creazione continua)

3) l’Universo si espande, ma poi rallenterà, si fermerà e inizierà a contrarsi fino a ritornare allo
stato primordiale per poi “riscoppiare” di nuovo (teoria del Big Bang).

E’ interessante notare che ultimamente le prime due teorie sono sparite dai libri di testo e dai
documentari televisivi e che adesso la teoria imperante è quella del Big Bang, tanto che le altre
non vengono mai nemmeno accennate.

Credo che un piccolo dettaglio sia sfuggito a molti astronomi. E riguarda la Velocità della luce,
che si credeva costante ed irraggiungibile. Infatti la lettera c nell’equazione di Einstein E=mc2 è
c perché indica una costante.

Questa equazione va letta così: L’energia (E) è uguale alla massa (m) moltiplicata per la costante
(c) al quadrato. Sennonché proprio rallentando la luce si è scoperto che c non è una costante!

Questo è un dettaglio che comporta il venir meno di molte certezze scientifiche (ma non ce lo
dicono). Per esempio cade tutta la relatività di Einstein, basata sul presupposto che nell’Universo
non ci sia niente di più veloce della luce (nemmeno Superman!) e che nessun oggetto dotato di massa
può nemmeno lontanamente avvicinarsi alla velocità della luce. Anzi, se ciò avvenisse, dice
Einstein, questo oggetto si gonfierebbe aumentando la propria massa a dismisura proprio per
“frenare” ed evitare di raggiungere la velocità della luce.

Ma per quello che interessa noi, non è detto che lo spostamento verso il rosso delle linee scure
delle stelle sia veramente causato dal movimento della fonte luminosa. Per esempio potrebbe essere
causato dal fatto che più l’oggetto è lontano, più strada percorre la luce fino a giungere a noi, e
magari incontra qualche ostacolo (polveri cosmiche, nubi ionizzate, campi gravitazionali…) che ne
modificano la lunghezza d’onda. E poi non è detto che la luce si comporti come un’onda sonora, e che
l’effetto Doppler sia applicabile anche alle radiazioni luminose.

Insomma, per questi motivi mi permetto di avanzare un lievissimo dubbio sul fatto che l’Universo sia
davvero in espansione. Ma per carità, che la cosa rimanga tra noi!

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