Astuzie del consumismo

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Astuzie del consumismo

di Ing. Rodolfo Roselli

intervento su Radio Gamma 5 del 23.11.2011

Il consumismo è un termine per promettere la felicità personale con l’acquisto o il possesso
continuo di beni materiali, non su base volontaristica, ma attraverso la subdola coercizione di
mezzi visivi, materiali e psicologici.
Non è un fenomeno di oggi, perché già Carlo Marx aveva definito come ”feticismo della merce” il
desiderio indotto al possesso anche di beni praticamente inutili.
La promozione lecita delle merci prodotte dal lavoro umano, in questo modo, diventa la misura del
rapporto sociale, e per contro i rapporti sociali si misurano in funzione del possesso di beni, in
questo modo scompare la valutazione della persona per i suoi valori morali, ma solo perché possiede
certi valori materiali.

Negli anni sessanta nell’occidente si verificò un processo d’espansione del benessere con un
arricchimento generale e un conseguente aumento della domanda di beni, ma il mantenimento di tutto
questo era strettamente legato alla crescita della domanda e quindi al consumo.
Un consumo non di necessità, sostenuto da una pubblicità ossessiva, e neppure scoraggiato dalla
carenza di denaro, che viene aggirato promovendo l’uso di rate, cambiali, crediti al consumo,carte
di credito cioè aumentando l’indebitamento. E di questo fenomeno ha preso consapevolezza anche la
fiscalità, che oggi sposta gradualmente la tassazione dai redditi agli scambi commerciali ,per il
semplice motivo che si è constatato che il valore degli scambi commerciali, basati
sull’indebitamento, supera addirittura le risorse corrispondenti ai redditi.

E così molte persone, anche se non benestanti, acquistano beni che non servono più a soddisfare
bisogni precisi e reali, ma il cui possesso li fa sentire al passo con i tempi.
Tutto questo è perfettamente in linea con la volontà del potere di mantenere sotto controllo le
masse, in quanto se queste sono indebitate, è molto più facile mantenerle sotto controllo e privarle
della libertà di scelta prima, e di pensiero dopo.
E allora, se vogliamo conservare la nostra libertà dobbiamo analizzare molto attentamente cosa
significa manipolare, chi manipola, perché lo fa e che mezzi utilizza per farlo e soprattutto
domandarsi, in ogni messaggio accattivante, dove si nasconde l’inganno che, quasi sempre esiste.

Ricordiamo sempre che manipolare è trattare una persona,o gruppi di persone, come se fossero un
oggetto, al fine di dominarli facilmente per i propri fini. Questa è la tecnica dello svilimento
personale, che impedisce alle persone di unirsi per resistere.
Manipola colui che vuole vincerci senza convincerci, o chi tenta di farci accettare ciò che vuole
offrire, senza darci valide motivazioni per fare questo. In questo modo non si rispetta la nostra
intelligenza e la nostra libertà, anzi si cerca di catturarla per favorire altri propositi.

Un’ automobile presentata in televisione acquista prestigio non perché migliore delle altre, ma
perché viene affiancata da una donna bellissima, che non dice una parola, ma in questo modo la
figura femminile e le immagini attraenti, avvolte da frasi piene di allusioni ormonali,fanno sì che
la scatola di latta rappresentata dal veicolo, acquisisca una luce di prestigio.Si sa benissimo che
non venderanno l’auto insieme alla giovane donna, ma facendo leva sul desiderio di sensazioni
gratificanti, si cerca di forzare la volontà verso un acquisto irriflessivo perché sei considerato
un mero cliente, incapace d’intendere e di volere.

La pubblicità, in questo modo, non è più un utile mezzo informativo per risolvere problemi, ma per
promuove un atteggiamento consumistico, dando l’illusione che l’uso di un determinato prodotto è
segno di un’elevata posizione sociale e di progresso, e il tuo giusto desiderio di miglioramento
sociale si trasforma in una cosa non realizzabile, perché è una semplice finzione.
E’ esattamente la stessa tecnica usata dalle ideologie politiche che producono idee sclerotizzate,
che non suscitano adesione per mancanza di condivisione e di forza persuasiva, ma che riescono a
convincere solo perché presentate come delle favole travestite di realtà.

Il 26 gennaio 1994, una televisione nazionale trasmise una videocassetta della discesa in campo di
un individuo che, astutamente, si presentò non come un candidato esordiente, ma come un capo avente
la forza di guidare una nazione. Ma importante non era l’individuo, ma la scenografia che lo
accompagnava, alle spalle una libreria finta, tra le mani fogli bianchi di un discorso facendo finta
di conoscerlo a memoria, mentre invece lo leggeva su un rullo mobile, la cinepresa con un filtro
colore per rendere la scena più calda, la scrivania con gli argenti lucidati, le foto dei familiari
stranamente girate verso la cinepresa, per dare una falsa impressione rassicurante di padre di
famiglia. E poi un discorso caramelloso fino alla nausea, per offrire ovvietà indiscutibili,
un’Italia prospera e serena, moderna, efficiente, un appello a lavorare per i figli (argomento
incontestabile e redditizio), insomma una perfetta televendita di un sogno al quale molti italiani
giustamente hanno creduto in buona fede per mancanza di alternative, ma anche perché di tutte le
cose promesse nulla si era precisato di come e quando farle realmente.

Un esempio luminoso e perfetto di astuzia consumistica che riuscì a vendere il prodotto che non solo
poi si rivelò inutile, ma che oggi tutti sanno quanto fosse velenoso.
Abbiamo dunque vissuto come un gruppo sociale sia capace di assumere e d’imporre un suo programma
in modo risoluto, e potendolo fare in due modi o con la violenza o con l’astuzia, usando individui
che sono astuti professionisti della strategia, ha scelto la seconda via.
E così la manipolazione commerciale vuole convertirci in clienti con il semplice obiettivo di farci
acquistare determinati prodotti, mentre la manipolazione ideologica tenta invece di modellare lo
spirito delle persone, al fine di acquisire dominio su di esse in modo rapido, schiacciante,
massiccio e facile. Le due cose sono assolutamente identiche perché entrambe trasformano una
comunità in una massa docile, uniforme, redditizia.

Anche questa è una minaccia alla sovranità individuale, perché si perde la capacità creativa, si
perdono i vincoli affettivi, e la massificazione riduce tutti ad un insieme amorfo d’individui.
In questo modo la massa è facilmente dominabile per privarla della propria creatività, della propria
capacità di raziocinio, di critica, d’indagine, di dubbio continuo.
Siamo ogni giorno testimoni dei progressi nelle varie tecnologie che permettono la produzione di
beni di sempre migliore qualità, durata, sicurezza e costi, ma sembra che tutto questo non sia
applicabile a coloro che devono promuovere il consumismo.

E’ evidente che un prodotto migliore, non solo fornisce prestazioni superiori ma dovrebbe avere una
durata di vita maggiore. E tutto questo andrebbe a vantaggio dei costi per due ragioni, la prima
perché le nuove tecnologie permetterebbero riduzione del costo iniziale, la seconda perché il
prodotto avendo una vita maggiore non costringerebbe ad essere sostituito frequentemente e quindi il
costo iniziale d’investimento si spalmerebbe su tempi più lunghi. Tutto questo è incontestabile, ma
diventa un grave difetto ed è contestato da chi vuol fare quattrini lanciando la moda del
consumismo. E allora con ogni astuzia si tenta di svalutare l’immagine di ciò che si è prodotto
ieri, per convincere tutti a comperare il prodotto di domani, non importa se ciò che si è comperato
sia ancora perfettamente in grado di assolvere la sua funzione. Le parole magiche che dovrebbero
convincere tutti sarebbero: “non è più di moda”, “è obsoleto”, “deve essere rottamato”

Altre trovate simili sono, aggiungere ad un prodotto funzioni che raramente siano indispensabili, e
alle quali quasi sempre nessuno aveva mai pensato e desiderato ,e farle diventare talmente
fondamentali da annullare l’utilità del prodotto precedentemente acquistato.
Ma non basta perché sembra sia molto efficace come strumento di convincimento la cosiddetta “firma
sul prodotto”. Un oggetto eguale ad un altro, solo perché firmato, è migliore, e allora la firma si
pone su tutto e… volete forse mettere in dubbio il piacere di usare la carta igienica firmata ?
Ma tutti questi discutibili tentativi di vendita operano più agendo sulla debolezza psichica del
cliente che non sulla efficienza del prodotto e, sebbene abbiano discreto successo, non bastano a
soddisfare l’avidità di guadagno del venditore,anche perché in maggioranza la gente non è composta
di persone psicolabili, e allora occorre che anche la gente sana, cada nella trappola.

Tutto questo si può realizzare in molti modi, sfruttando al massimo il limite di garanzia
obbligatorio di ogni prodotto di uno o due anni. Basta costruire il prodotto in modo tale che duri
solo un giorno di più della sua garanzia. Tutto questo è possibile perché ad esempio ogni componente
elettronico prodotto, statisticamente è costituito di pezzi di prima, seconda e terza scelta. E’
noto che i componenti di prima scelta vengono usati (e pagati) per prodotti militari, la seconda
scelta per i prodotti scientifici e la terza per il pubblico di massa. E quindi il gioco è fatto.
Inoltre, se il prodotto successivamente si guasta ,occorre fare in modo che non sia riparabile se
non a costi talmente alti da consigliare di prenderne un altro. Tutto questo significa produrre
prodotti scadenti “a tempo” e quindi sfruttare i benefici dei progressi tecnologici alla rovescia.
Nel mercato internazionale sono stati citati casi plateali di vendita di prodotti scadenti dal campo
alimentare, a quello dell’abbigliamento e quello dell’ elettronica.
La catena dei magazzini WAL MART ha venduto carne di maiale biologica, che non era tale. La casa
produttrice delle scarpe NIKE ha ammesso di aver venduto scarpe scadenti. Sono stati venduti
pesticidi usati sulle verdure proibiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Ma anche in Italia nell’ambito alimentare non siamo secondi a nessuno. La sfrenata corsa al
consumismo tocca ad esempio anche il settore del latte, creando non poche perplessità.
Ad esempio per quanto riguarda il latte UHT è difficilmente spiegabile la diversità di prezzo che
varia da 0,49 cent./litro a 2 euro litro, cioè ben quattro volte.
Questo prezzo, quando è molto basso viene usato come prodotto “civetta” nelle campagne promozionali,
quando è troppo alto si giustifica dal fatto che il prodotto arriva da paesi sconosciuti molto
lontani e per questo include il costo dei numerosi trattamenti termici ad alte temperature per
consentire il trasporto e mantenimento in stock fin da noi. E questo avviene all’insaputa del
consumatore perché l’obbligo d’indicare in etichetta l’origine del latte è previsto solo per il
latte fresco e non per il latte UHT.

Quindi non conoscendo la provenienza questo latte può essere non solo venduto sottocosto dalle
imprese estere, ma anche manipolato in vari modi, ad esempio può essere aggiunto latte in polvere e
addirittura anche quello destinato agli animali e anche avariato, e trattandolo poi con ammoniaca,
sale, panna e altre sostanze, come è stato accertato dalle forze dell’ordine per alcune imprese del
mantovano, per ottenere un latte UHT a basso costo.
Inoltre corre voce, ma tutto questo deve essere ancora dimostrato, e sarebbe bene che qualcuno lo
facesse in modo credibile, che sul latte ancora da distribuire, ma secondo legge scaduto a causa del
tempo trascorso, il produttore può effettuare un nuovo il processo di pastorizzazione a 190 gradi e
metterlo sul mercato. E questo processo, può essere effettuato fino a 5 volte. Qui si parla non di
latte già messo in vendita, ma da distribuire e quindi prima del consumo.

Sembra che il produttore sia solo obbligato a indicare sulla confezione quante volte è stato
effettuato il processo, e in effetti lo indica, ma in modo molto particolare e “riservato”, nel
senso che sotto la confezione del tetrapak vi sono dei numerini cioè 12345, il numero che manca
indica quante volte il latte è scaduto ed è stato ribollito. Ad esempio se leggete 1, 2 , , 4, 5 e
manca il tre vuol dire che quel latte che bevete è scaduto e ribollito 3 volte.
Alcuni produttori non solo sostengono che non lo fanno, ma che i numerini indicano cose diverse,
cioè una procedura di confezionamento, che tuttavia non si capisce a chi questa indicazione possa
essere utile, per quale fine, e perché non è resa chiaramente nota a tutti per evitare legittimi
dubbi, anche perché una tale indicazione se collocata su prodotti destinati al pubblico, non solo
non può essere una indicazione interna per l’azienda, ma dovrebbe essere un messaggio chiaro proprio
per il pubblico che acquista la confezione. Dunque non sarebbe male evitare dubbi con la chiarezza e
spiegando il significato di questo strano messaggio a disposizione del pubblico.

Del resto i controlli di routine non vanno oltre l’analisi per accertare se il latte sia stato
allungato o meno con l’acqua, quindi nessuna possibilità per rilevare trattamenti strani o peggio
l’utilizzo di sostanze poco ortodosse. Ci hanno spiegato che il latte “rigenerato”, manco fosse
olio per le automobili, non causa particolari problemi se bevuto in modica quantità, e se la
quantità non fosse modica provocherebbe al massimo un mal di pancia. Sarà anche vero, ma non credo
che nessuno ambisca avere mal di pancia pagati di tasca sua e tuttavia sempre più spesso si sente
parlare di “intolleranze alimentari”, e il dubbio è che anche questo latte faccia la sua parte.

Nei prodotti elettronici sono usate schede di terza scelta, l’assemblaggio dei pezzi è spesso
suggellato in modo che non si possa aprire perché mancano le viti e i bulloni necessari.
I nuovi prodotti hardware e software si tenta in tutti modi di renderli incompatibili con i
precedenti, anche dello stesso fornitore, usando connessioni non standard, inserendo la necessità di
convertitori, offrendo funzioni aggiuntive inutili che servono per aumentare la complessità del
prodotto e quindi con maggiore probabilità di guasto.
I manuali d’istruzione per l’uso sono carenti, poco chiari, volutamente complessi.

Alcuni prodotti venduti per perdere il peso corporeo, si è verificato anche recentemente a Roma,
potevano contenere sostanze stupefacenti illegali ,o anche lassativi, diuretici che possono condurre
ad una malnutrizione, una mutazione delle cellule con aumento di probabilità di presenza di cellule
cancerogene, mentre più semplicemente l’uso di prodotti vegetali naturali avrebbero potuto produrre
il medesimo effetto senza rischi.
Non parliamo poi della decantata assistenza ai clienti, che si rivela spesso un’ autentica bugia.
Alcune case che producono televisori invitano i clienti, in caso di guasto, di rivolgersi a centri
di assistenza locali che, dopo settimane di attesa, spesso non restituiscono l’apparecchio riparato.
Se ci si rivolge ad un numero verde, nessuno risponde, stessa cosa se si manda una e-mail sia alle
sedi nazionali che internazionali, e il tutto serve a scoraggiare il cliente che per non affrontare
lunghe e costose spese legali è costretto a rinunciare e comperare un altro prodotto.

Altra astuzia è quella di rilasciare scontrini dei registratori di cassa scritti su carta chimica,
così la scrittura dopo poco scompare completamente, e con essa il termine di garanzia..
Ma la tecnica più odiosa del consumismo è applicata dalla miriade di organizzazioni che
quotidianamente,sollecitando i nostri buoni sentimenti, cercano di raccogliere fondi per gli scopi
benefici più disparati, ma facendo in modo che nessuno possa poi facilmente verificare di fatto i
risultati. Anche perché la maggior parte dei fondi va a beneficio proprio di chi li promuove.

Uno dei casi più recenti e sconcertanti è stato ad esempio quello di Amnesty International che ha
erogato una buonuscita di mezzo milione di sterline (circa 600 mila euro) alla segretaria generale
di questa organizzazione (Irene Khan) come riportato dal Daily Mail, che si è fatta pagare per gli
otto anni passati a dirigere l’organizzazione 132 mila sterline anno, con il patto che la
liquidazione sarebbe stata quattro volte tanto. Ma non basta perché anche la sua vice, Kate Gilmore,
ha incassato la bellezza di 300 mila sterline (360 mila euro) quando ha lasciato l’organizzazione
nel 2009.
Sarei curioso di sapere cosa ne pensano i circa tre milioni di sostenitori che versano denaro nelle
casse di Amnesty, astutamente convinti che il loro denaro serva per difendere i diritti umani nel
mondo.
Ecco dunque la prova che usando le astuzie consumistiche in qualunque campo, i risultati benefici
non vanno mai a vantaggio della gente, ma di individui che sapendole usare bene, catturano per sé
tutti i benefici possibili, e tutto alla faccia nostra!

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