Attaccamento secondo il buddismo

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Attaccamento

(del venerabile Ajahn Brahmavamso)

© Ass. Santacittarama, 2005. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Federico Petrangeli.

Il termine più frainteso negli ambienti buddisti occidentali è probabilmente
quello che viene generalmente tradotto con “attaccamento”. Troppe persone si
sono convinte che non dovrebbero avere “attaccamento” nei confronti di
niente. E così nascono perfino delle freddure, come quella che dice: “Perché
nelle case dei buddisti c’è sporcizia negli angoli? Perché i buddisti non
permettono neanche ai loro aspirapolvere di avere alcun accessorio” [E’ un
gioco di parole intraducibile in italiano. In inglese “attachment” significa
sia “attaccamento” che “accessorio”, come appunto l’accessorio per
l’aspirapolvere
necessario a pulire negli angoli – N.d.T.] .

Alcuni pseudo-buddisti fuorviati criticano coloro che seguono una vita
morale, accusandoli di avere attaccamento verso i loro precetti, e quindi
elogiano le azioni immorali come segno di profonda saggezza. Bah! Altri, in
ambienti buddisti tradizionali, diffondono il timore della meditazione
profonda, affermando erroneamente che con essa si ottiene soltanto
attaccamento ai jhana. Così si esagera veramente. Ma forse la vetta della
disinformazione deleteria è stata raggiunta da Rajneesh, che diceva: “Sono
così distaccato, che non ho attaccamento neanche verso l’essere distaccato”,
e così poteva tranquillamente giustificare tutti i suoi eccessi.

In lingua pali la parola in questione è UPADANA, che letteralmente significa
“prendere”, “afferrare”. E’ comunemente usata per indicare un “carburante”,
che sostiene un processo, come l’olio nella lampada è il carburante/upadana
per la fiamma . E’ collegata con il desiderio (TANHA). Per esempio, il
desiderio è allungare la mano per una deliziosa tazza di caffè, upadana è
prenderla. Anche se pensiamo di poter posare di nuovo la tazza di caffè e
anche se la nostra mano non è incollata con il mastice alla tazza, questo è
sempre upadana. Abbiamo preso la tazza. L’abbiamo afferrata.

Fortunatamente non tutte le forme di upadana sono non-buddiste. Il Buddha ha
individuato quattro forme di upadana: “attaccamento” ai cinque sensi,
“attaccamento” a visioni distorte; “attaccamento” all’idea che la
liberazione può essere raggiunta semplicemente attraverso riti e formule di
iniziazione, e “attaccamento” all’idea di un sé.

Ci sono molte altre cose che si possono “prendere” o nei cui confronti si
può provare “attaccamento”, ma il punto è che solo queste quattro forme
conducono alla rinascita, solo queste quattro forme costituiscono carburante
per l’esistenza futura e per la continuazione della sofferenza, solo queste
quattro forme devono essere evitate.

Quindi “prendere” la pratica della compassione, “prendere” la pratica dei
Cinque Precetti, dei molti precetti dei monaci e delle monache, o “prendere”
la pratica della meditazione, questi comportamenti non sono contrari
all’insegnamento
buddhista ed è quindi scorretto scoraggiarli, considerandoli “attaccamenti”.
In effetti prendere i Cinque Precetti significa, al contrario, lasciar
andare i desideri grossolani come la lussuria, l’avidità e la violenza.
Praticare la compassione significa lasciar andare l’essere centrati sul
proprio sé.

Praticare la meditazione è un lasciar andare il passato, il futuro, il
pensiero e molto altro ancora. Il raggiungimento dei jhana è nulla di più
che il lasciar andare il mondo dei cinque sensi per penetrare nella mente.
Il Nibbana è il lasciar andare una volta e per sempre l’avidità, l’odio e
l’illusione,
cioè i semi della rinascita. Il Parinibbana è il lasciare andare
definitivamente il corpo e la mente (i Cinque khandha). E’ sbagliato
suggerire che queste tappe del lasciar andare non siano altro che
attaccamenti.

Il cammino è come una scala a pioli. Per salire si deve raggiungere il piolo
successivo e lasciar andare quello precedente. E non appena abbiamo
raggiunto quel piolo, è già tempo di lasciare andare anche quello e salire
su quello successivo, per andare ancora più in alto. Se non si raggiungesse
mai un gradino successivo, si rimarrebbe spiritualmente ottusi.

Alle persone prive di saggezza, il lasciar andare può spesso sembrare
attaccamento. Per esempio, un uccello sul ramo di un albero di notte può
sembrare “attaccato” fermamente al ramo, ma in realtà ha lasciato andare e
dorme profondamente. Quando un uccello lascia andare, i muscoli intorno ai
suoi artigli iniziano a rilassarsi e si stringono al ramo. Più i muscoli si
rilassano, più gli artigli si stringono. E’ per questo che non vedrete mai
un uccello cadere da un ramo, anche se dorme. Può sembrare attaccamento, ma
in realtà è un lasciar andare. Il lasciar andare spesso conduce alla quiete,
al non muoversi da dove si è, ed è per questo che viene talvolta confuso con
l’attaccamento.

Dunque non fatevi fuorviare da buddhisti alle prime armi, magari bene
intenzionati ma con scarse conoscenze, che hanno completamente frainteso il
significato di upadana e di attaccamento. Abbiate senza paura “attaccamento”
verso i vostri precetti, il vostro oggetto di meditazione e il cammino che
porta al Nibbana. E non dimenticate neanche di comprare gli accessori per il
vostro aspirapolvere!

° ° ° ° ° °

AJAHN Brahmavamso nasce a Londra nel 1951. Il suo primo contatto col
buddhismo avviene sfogliando dei libri in una libreria di Londra quando è
ancora studente. Infatti studia fisica alla Cambridge University e in quel
periodo diventa membro della locale Buddhist Society e comincia a praticare
la meditazione. Dopo essersi laureato col massimo dei voti, insegna fisica
alle scuole superiori in Devon. Il contatto con i bhikkhu thailandesi di
Londra lo ispira ad andare in Thailandia per intraprendere anche lui la vita
monastica cosicché,a 23 anni, riceve l’ordinazione al Wat Sraket con Tan
Chao Khun Prom Gunaphorn.
Dal 1975 studia e pratica con Ajahn Chah ed è uno dei primi residenti a Wat
Pah Nanachat. Nel 1983 raggiunge il venerabile Jagaro al Bodhinyana, un
monastero appena fondato a Perth, nell’Australia occidentale, dove tuttora
vive, adesso come abate. Si impegna attivamente nel programma principale di
strutturazione ed oggi insegna buddhismo a un uditorio vasto e vario, che va
dai bambini ai prigionieri della zona.
Il venerabile Brahmavamso è noto nella comunità dei monaci occidentali per
la sua erudizione nel Vinaya, il codice di condotta monastica, e il suo
lavoro in questo campo è attualmente fondamentale per l’istruzione nel
Vinaya degli occidentali presenti nei monasteri in Inghilterra, Svizzera,
Australia e Nuova Zelanda.

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