Autoipnosi e terapia – parte 3
di Antonio Bufano
“Ogni ipnosi e’ essenzialmente autoipnosi”
(Cheek e LeCron,1968)
L’ Ipnosi Moderna
L’ipnosi moderna dell’ultimo decennio è rappresentata da diversi clinici come Jeffrey Zeig che si
ispirano fondamentalmente al lavoro di Milton Erickson e che hanno sottolineato alcuni aspetti
peculiari come l’evocazione e la compresenza.
L’intervento terapeutico si sostanzia attraverso piccole modifiche delle caratteristiche ipnotiche
del soggetto che gli permettono di sperimentare il cambiamento della realtà problematica portandolo
verso la scoperta delle proprie soluzioni.
L’autoipnosi del paziente
Il trattamento ipnotico deve il suo successo essenzialmente a quattro ingredienti fondamentali:
la modificazione dello stato di coscienza ordinario
lo stabilirsi di una relazione con caratteristiche peculiari
trasmissione di idee accettabili per il paziente
la modificazione della memoria procedurale
Nel processo autoipnotico svincolato dalla terapia viene a mancare tutta la ricchezza della
situazione relazionale di cura e accudimento e l’intera dimensione dello scambio interpersonale.
Per questo diventa più produttivo inserire il lavoro autoipnotico in una relazione terapeutica in
corso. In genere si può pervenire all’addestramento autoipnotico in una fase avanzata della terapia
allorquando il paziente ha già mostrato la presenza di alcune capacità ipnotiche (capacità
allucinatoria, capacità ideomotoria
).
Esiste però l’abitudine di molti ipnotisti ad avviare il paziente a un proprio lavoro autoipnotico
già dalle primissime fasi della terapia.
In molte forme terapeutiche la prima dimensione a essere investita di esperienze trasformative è
quella corporea. Secondo la Gestalt la consapevolezza corporea rappresenta la nostra esperienza
primaria di essere-al-mondo. Il soggetto impara ad accedere e riconoscere progressivamente le
proprie risposte interne e a usarle come sistema di segnalazione.
Wolberg definisce l’autoipnosi una vera e propria trance indotta dal paziente per effetto delle
suggestioni postipnotiche dell’ipnotista.
L’autoipnosi può realizzarsi con livelli di profondità variabile tra il livello ipnoide e quello
sonnambulico, ma nella maggior parte dei casi il grado di profondità è inferiore a quello raggiunto
in eteroipnosi.
Esiste un limite di approfondimento non accessibile in quanto sostanzialmente non è possibile
depotenziare deliberatamente e direttamente l’emisfero non dominante oltre un certo grado. A meno
che l’autoipnosi non sia oggetto di una istruzione al comportamento postipnotico. L’approfondimento
in autoipnosi è tecnicamente realizzabile attraverso la dissociazione.
A meno che non si prevedano istruzioni dettagliate per non accedere al sonno, è facile passare a uno
stato naturale di sonno.
Oltretutto si può verificare una confusione di livelli tra chi guida il processo ipnotico e chi
segue.
Di fatto la coscienza ha obiettive limitazioni ed è problematicamente posizionabile a un livello
meta da cui deve guidare l’intero processo.
La riemersione in genere avviene spontaneamente senza istruzioni dettagliate in merito.
Accade spesso che una persona possa riproporsi spontaneamente porzioni del lavoro ipnotico avvenuto
in seduta.
L’autoipnosi predisposta dal terapeuta in genere si colloca sulla linea della modificazione della
dimensione del controllo. A tal proposito Weitzenhoffer (1957) suggerisce al paziente:
Quando lei sarà in stato ipnotico le cederò il controllo su se stesso, in modo da farle provare che
lei riesce a controllare l’ipnosi dandosi le stesse suggestioni che le ho dato io.
Può accadere che un paziente entri in autoipnosi in modo resistente per sfuggire al lavoro
terapeutico (Erickson, Rossi, 1985).Si può trattare di soggetti precatatonici o in genere molto
diffidenti verso l’ipnosi.
Esiste un caso interessante in cui una donna chiese a Erickson di poter rimanere in macchina sotto
la sua casa e poter svolgere autonomamente la terapia. Riteneva di avere un problema troppo
terribile da raccontare.
Charles Citrenbaum (1987) nel suo lavoro con i disordini delle abitudini crede nell’uso regolare
dell’autoipnosi per prevenire significativamente le ricadute. Harold Crasilneck (1975) consiglia di
far praticare giornalmente l’autoipnosi ai propri pazienti e in particolare ai pazienti con
disordine dell’abitudine.
Rossi (1993) sottolinea la necessità di percepire i segnali del primo stadio di stress ultradiano.
Tra questi ricorre il bisogno di sperimentare ricordi positivi del passato e di fare fantasie
gradevoli e lievemente eccitanti come quelle sessuali.
Dal nostro punto di vista si può trattare di una attività autoipnotica spontanea.
Nell’ipnosi moderna la terapeuticità dell’esperienza autoipnotica smette di stare nella suggestione
verbale e si concentra nell’esperienza interna e più specificatamente nell’apprendimento della
fenomenologia interna.
L’autoipnosi del terapeuta
La mente del terapeuta è uno strumento di lavoro preziosissimo e pertanto va tenuta sempre in buona
forma. Milton Erickson ha sempre sottolineato l’importanza di allenare la mente del terapeuta e a
stimolarla creativamente. Nella formazione dei suoi studenti ha sempre posto ampio spazio all’uso
del sé in questo senso. A tal proposito era solito dire ‘Perché fare le cose in un solo modo?
La responsività del terapeuta deve potersi improntare su una adeguata elasticità nel modo di
prendere contatto con il proprio modo di conoscere e con il modo di conoscere del paziente. In
relazione al primo contatto con il paziente, Erickson sottolinea:
Quando i pazienti entrano nel mio studio li accolgo a mente sgombra e li esamino per vedere chi e
cosa sono, e perché sono venuti, senza dare nulla per scontato. Per esempio, guardo una paziente e
noto che ha due occhi e che uno dei due non è di vetro; è ovvio, quindi che li usa entrambi. Le
guardo le mani perché, sai , mi sono trovato di fronte una ragazza che teneva i guanti perché aveva
un braccio di legno. Le guardo i piedi e vedo che ha due piedi e i tacchi piuttosto larghi. Cerco di
vedere quanti seni ha, come muova i gomiti e il braccio. Poi ascolto la sua voce per capirne il tono
– il tutto per accertarmi che si tratti di un essere femminile. Perché dovrei partire dal
presupposto che lo sia solo perché ha un nome da donna?
(Haley, 1987, pag 79)
Lo stesso conoscere terapeutico rappresenta una dimensione ricca di molte funzioni. Diventa pertanto
importante operare una modificazione di stati di coscienza in modo autoindotto per sviluppare la
mente dell’ipnotista finalizzato all’affinamento delle funzioni terapeutiche:
per raffinare la capacità di osservazione dei segnali minimi
per preparare le induzioni e acuire le intuizioni nel corso del percorso terapeutico
per sviluppare un approfondimento diagnostico
per approntare un addestramento strutturato di autoipnosi per il paziente
Prima di sviluppare la consapevolezza dello stile personale con cui il terapeuta accede alla trance
senza perdere terreno nel processo terapeutico della seduta, è ancora più utile prendere
consapevolezza delle modalità di comunicazione interiore (Simpkins, 2000).
Può far parte attiva della formazione del terapeuta incrementare una ricca consapevolezza delle
suggestioni spontanee personali e dei modelli di risposta individuali.
Ad esempio la percezione di alcuni odori determina automaticamente in ogni individuo stati di un
certo tipo.
Per avviare e mantenere utilmente l’acutezza nell’osservare il paziente deve potersi attivare uno
stato di concentrazione peculiare ed esclusiva sul paziente dato che il repertorio comportamentale
del soggetto in ipnosi tende generalmente a ridursi. Per Erickson e Rossi (1979) devono potersi
sviluppare nell’allievo in formazione quattro livelli di capacità osservative:
Relazioni di ruolo
Strutture di riferimento
Comportamenti di trance quotidiana
Risposte di attenzione
Nel primo livello si tratta di percepire la qualità di congruenza nella persona tra gli aspetti del
comportamento verbale e non verbale in rapporto alla copertura di un ruolo.
Nel secondo livello si tratta di identificare le strutture di riferimento dominanti che guidano i
comportamenti di una persona.
Nel terzo livello si tratta di decifrare i momenti e le modalità con cui una persona attiva una
ricerca interna.
Nell’ultimo livello si tratta di percepire i momenti in cui la persona è in grado di offrire la
migliore attenzione possibile.
Erickson propone l’uso della tecnica del mio amico John per autoaddestrarsi raffinatamente e
facilmente alla distorsione temporale (Erickson, 1987). In ‘La ristrutturazione della vita con
l’ipnosi’ (1987) Erickson asserisce:
‘In trance penso più velocemente e più chiaramente che nel comune stato di veglia’
(pag.55-56)
A tal proposito precisa la sua abitudine a riflettere sui casi in trattamento mediante l’uso della
trance. Erickson consigliava l’uso di una stanza insonorizzata per addestrare l’allievo al
riconoscimento di segnali non verbali. Un paziente in merito al modo di fare terapia di Erickson
disse:
‘Mio fratello mi aveva scritto per chiedermi se il dottor Erickson mi aveva fatto entrare in trance.
Gli ho risposto di no, ma poi gli ho anche detto: ‘La risposta è si e no. Ma se vuoi sapere la
verità, il dottor Erickson entra lui stesso in trance e io con lui’
(Haley, 1987, pag.247)
Nel corso dell’esperienza clinica la mente del terapeuta è destinata a evolvere verso usi strategici
sempre più complessi del proprio sé e dell’uso accorto delle mosse.
Dan Short (1999) sottolinea l’importanza per il terapeuta di coltivare una apertura mentale tale da
non finalizzare l’intervento terapeutico a risultati predeterminati, ma di lasciare che il paziente
scelga di percorrere di volta in volta le proprie strade per realizzare la propria crescita.
L’assunto di base è che per ogni problema esiste più di una soluzione.
L’Autore sottolinea anche che non tutto può essere sotto il controllo del terapeuta e un buon
servizio per l’ipnotista è rendere possibile al paziente l’accesso a un risultato significativo per
questi.
Loriedo (2002) individua il colloquio responsivo come contesto ideale di scambio dove sviluppare al
massimo grado la responsività del terapeuta aderente a quella del paziente.
La PNL ha sottolineato l’importanza di saper distinguere uno stato mentale da un altro sulla base
dell’accesso ai diversi sistemi sensoriali (Dilts, 1980). Descrive, pertanto, lo stato up-time
differenziandolo dallo stato down-time come uno stato di coscienza utile all’osservazione fine di
segnali minimi.
(dal sito www.vertici.com)
continua…
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