Ayurveda: arte di vivere, arte di guarire

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Ayurveda: arte di vivere, arte di guarire

di Valerio Pignatta

Pan Nalin, un grande regista indiano, ha raccontato in un documentario, ora disponibile anche in
Italia, l’approccio che la medicina tradizionale indiana, l’ayurveda, ha nei confronti della
malattia.

da scienzaeconoscenza.it

L’ayurveda è una medicina millenaria, che ha alla sua base conoscenze filosofiche ed erboristiche
molto sofisticate che affondano nei Veda, i testi della cultura religiosa di base dell’induismo.
Il medico ayurvedico in effetti è un maestro di vita, uno yogi che affronta e ascolta il paziente
come individuo nella sua totalità, nella sua esistenza, nei suoi rapporti col mondo e con le persone
che ha intorno. Non esiste la malattia. Esiste la persona.
Questo tipo di maestri, che si tramandano direttamente, di generazione in generazione, gli
insegnamenti, sta scomparendo anche nell’India più marginale, quella dei villaggi.
Il viaggio di Pan Nalin è in un certo senso un viaggio nostalgico e di denuncia che mette in bella
mostra quanta conoscenza medica e umana stia svanendo con l’avanzare dell’occidentalizzazione del
mondo e dei sistemi medici allopatici che l’accompagnano.

Nella maggior parte dei casi, quello che in Occidente abbiamo importato dell’ayurveda non ha nulla a
che fare con la capacità semplice – talvolta quasi primitiva, ma altrettanto efficace in quanto
veramente primordiale – che, in India, questi medici della “scienza della vita” hanno di ridare la
salute e la fiducia a pazienti di ogni sorta.
Niente guru praticoni e posticci, induismo e mantra magici per manager in carriera, raffigurazioni
del dio Ganesh in pseudopalestre patinate o gocce d’olio versate sul capo di splendide ragazze
abbronzate e seminude che giacciono lascive su lettini spaziali: immagini che da noi siamo abituati
solitamente ad associare a tale terapia. L’ayurveda millenario che qui viene ripreso è quello che
cura i bimbi con malformazioni fisiche che la medicina ufficiale ha abbandonato, i casi di cancro
ormai disperati, le patologie croniche degli anziani, il diabete e molte altre malattie degenerative
considerate normalmente incurabili.

Quello che balza agli occhi è la vastità e la profondità delle conoscenze di questi umili
“personaggi”: erbe, minerali, tecniche yoga, tecniche psicologiche, manipolazioni, stimolazione dei
punti vitali e delle correnti energetiche, massaggi ecc. Un bagaglio che è stato possibile
accumulare solo in secoli di studio e trasmissione fidata da maestro ad allievo. E fa tristezza
sentire la testimonianza di alcuni dei pochi maestri ayurvedici rimasti rimpiangere il fatto che non
esiste quasi più nessuno che sia in grado di conoscere, ad esempio, l’uso delle pietre per la cura
di determinate malattie o quello dei marma, i punti vitali del corpo, con cui si può addirittura
giungere a immobilizzare un uomo, oltre che a farlo muovere se in difficoltà motoria (o anche a
fargli perdere conoscenza con semplici pressioni mirate delle dita).
Le immagini e i dialoghi scorrono lenti in questo documentario che disvela una fotografia e una
colonna sonora decisamente coinvolgenti. Il risultato è che si respira una calma e un’atmosfera di
fiduciosa serenità. La malattia, nemmeno la più grave, non è vissuta da nessuno delle controparti
(medici e pazienti) come un evento tragico o come un incidente di percorso che distrugge
l’esistenza.

Tutto fa parte della vita e della natura e in essa è possibile trovare le soluzioni appropriate. Non
esistono problemi insormontabili se c’è fede, pratica costante e vita semplice. Potrebbe sembrare
tutto falsamente idilliaco, ma dopo la visione di questa testimonianza è abbastanza palese e
incontrovertibile che si possa dire che abbiamo perso molto in questa “evoluzione” tecnologica che
ha caratterizzato l’uomo occidentale. Quell’uomo che ha rinunciato alla natura per costruirsi il suo
regno tra plastica e cemento dove ogni giorno corre sempre più veloce per riuscire a fare ancora più
cose. “Vita da bianchi” come dicono con felice sintesi in Burkina Faso.

Ma la natura è ancora il regno sconosciuto che ci può nutrire e guarire. La perdita della
riflessione quotidiana sul senso dell’esistenza e sui valori per cui vale la pena viverla, che
caratterizza l’uomo moderno, impedisce nel concreto il superamento della sofferenza e reprime
l’apprezzamento della propria vita generando un senso di devastazione psicologica che credo sia la
malattia che maggiormente assilla gli umani oggi. L’ayurveda non è semplicemente una scienza medica
ma un’arte di vivere, uno stile di vita che ci permette di sentirci inseriti in un continuum con
tutti gli elementi della natura, facendo scomparire la nostra solitudine e ridandoci speranza. E
questo è di importanza vitale perché come dice la citazione che chiude il documentario: «La speranza
è il mezzo attraverso cui la natura ci permette di sopravvivere affinché possiamo scoprire la natura
stessa». Ossia il senso dell’esistere e l’infinità della conoscenza. Perché, dice sempre l’ayurveda,
i maggiori fattori che possono generare la malattia sono connessi con l’intelligenza umana e i suoi
errori. Lo stress psichico è oggi una delle maggiori cause di malattie. E ricordiamo che i medici,
che sarebbero coloro che dovrebbero ovviare a questa epidemia di stress, sono anche coloro che ne
soffrono di più dato che sono il secondo gruppo in Occidente con il tasso di alcolismo e suicidio
più alti: un dato spiega abbastanza bene come siamo messi. Altro che maestri di vita.

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