Ayurveda. I suoi principi e concetti base 5

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Ayurveda. I suoi principi e concetti base 5

di Anonimo

(quinta parte)

Tratto dalla rivista edita a Pondicherry dall’Aurobindo Ashram
“DOMANI”, NOV 1989 PAG. 256

– Nirvana –

brani tratti da “Lettere sullo Yoga” di Sri Aurobindo vol. 1, Ed. Arka
Il raggiungimento del Nirvana mi proiettò all’ improvviso in una
condizione al di sopra, senza pensiero e non contaminata da alcun
movimento mentale o vitale; non c’era ego, né mondo reale; solo quando
“si” guardava attraverso i sensi immobili, qualcosa percepiva o portava sul
suo assoluto silenzio un mondo di forme vuote, di ombre materializzate
prive di vera sostanza. Non c’era l’Uno e neppure il Molteplice, ma solo e
assolutamente Quello, senza forma, senza relazioni, puro, indescrivibile,
impensabile, assoluto, tuttavia supremamente reale e unicamente reale.

Non si trattava di una realizzazione mentale né di qualcosa intravisto
lassù da qualche parte, non era un’astrazione, era positivo, l’unica realtà
positiva (sebbene non fosse un mondo fisico spaziale) che pervadeva,
occupava o piuttosto inondava e sommergeva questa sembianza di mondo
fisico, senza lasciar posto o spazio a qualunque realtà che non fosse se
stessa, senza permettere in alcun modo ad altro di sembrare reale, positivo
o sostanziale

Non posso dire che nell’esperienza, così come la ebbi, ci sia
stato qualcosa di esaltante o di affascinante – l’Ananda (beatitudine)
ineffabile lo ebbi anni più tardi – ma ciò che portò fu una Pace
inesprimibile, un silenzio stupendo, un’infinita liberazione e libertà. Vissi
in quel Nirvana giorno e notte prima che esso cominciasse ad accogliere in
sé altre cose o a modificarsi, e il nucleo stesso dell’esperienza,il suo ricordo
costante e il suo potere di ritornare rimasero finché alla fine essa cominciò
a scomparire in una più grande Supercoscienza più in alto. Ma, nel
frattempo,una realizzazione veniva ad aggiungersi ad un’altra
realizzazione e si fondeva con questa esperienza originale. Presto l’aspetto
di un mondo illusorio lasciò il posto ad un aspetto in cui l’illusione –
l’interpretazione sbagliata da parte della mente e dei sensi dell’esistenza
manifestata –

non era che un piccolo fenomeno di superficie con
un’immensa Realtà divina dietro, una suprema Realtà divina al di sopra, e
un’intensa Realtà divina nel cuore di tutte le cose che,all’inizio, mi erano
sembrate solo immagini od ombre cinematografiche. E questo non era un
reimprigionamento nei sensi, una diminuzione o una caduta
dall’esperienza suprema; anzi era come un’elevazione e un ampliamento
costanti della Verità; era lo spirito, non i sensi, a vedere gli oggetti, e la
Pace, il Silenzio, la libertà nell’Infinità rimanevano sempre, mentre il
mondo e tutti i mondi erano solo come un episodio ininterrotto
nell’eternità senza tempo del Divino. Che cos’ è il Nirvana?

Nel Buddhismo ortodosso significa sì disintegrazione, ma non dell’ anima –
perché ciò non esiste – bensì di un composto mentale o flusso di
associazioni o samskara che scambiamo per noi stessi. Nel Vedanta
illusionista significa non una disintegrazione ma la scomparsa di un sé
individuale falso e irreale nell’ unico Sé o Brahman; è l’idea e l’esperienza
dell’individualità che così scompare e finisce, potremmo dire una falsa luce
che si estingue (nirvana) nella vera Luce.

Nell’ esperienza spirituale è a volte la perdita di ogni senso d’individualità
in una coscienza cosmica illimitata; quello che era l’individuo resta solo
come un centro o un canale per il flusso di una coscienza cosmica e di una
forza e un’ azione cosmiche. O può essere l’ esperienza della perdita
dell’individualità in un essere e una coscienza trascendenti in cui scompare
tanto il senso del cosmo quanto l’ individuo, oppure in una trascendenza
che è cosciente dell’ azione cosmica e la sostiene. Ma che cosa intendiamo
per individuo?

Quello che in genere chiamiamo con questo nome è un ego
naturale, un espediente con cui la Natura agisce contemporaneamente
nella mente e nel corpo. Quest’ego deve estinguersi, altrimenti non è
possibile alcuna liberazione completa; ma il sé individuale o anima non è
questo ego. L’anima individuale è l’essere individuale che a volte viene
descritto come una particella eterna del Divino, ma può anche essere
descritto come il Divino stesso che sostiene la propria manifestazione
quale Molteplice. Questo è il vero individuo spirituale che appare nella sua
verità completa quando ci sbarazziamo dell’ ego e del nostro falso senso
separatore dell’individualità e realizziamo la nostra unità con il Divino
cosmico e trascendente e con tutti gli esseri.

LE UPANISHAD

Le Upanishad sono l’opera suprema del pensiero indiano, e che sia
effettivamente così, che l’altissima espressione della personalità del
proprio genio la loro sublime capacità poetica, la loro enorme capacità
creativa in pensiero e in parola, non siano un capolavoro letterario o
poetico della mente ordinaria, ma un ampio flusso di rivelazione spirituale
per questo carattere profondo e diretto, è un fatto significativo, prova di
una mentalità unica e di non comune inclinazione dello spirito.

Le Upanishad sono nello stesso tempo profonda scrittura religiosa, in quanto
testimonianza delle più assolute esperienze spirituali, documenti di una
filosofia rivelatrice e intuitiva di luce, potere e ampiezza inesauribili e, sia
in prosa che in metrica, poemi spirituali di una assoluta, infallibile
ispirazione costante nel linguaggio, straordinaria per ritmo ed
espressione.

E’ la manifestazione di una mente nella quale filosofia e
religione e poesia sono diventate una cosa sola, perché questa religione
non termina in un culto ne è limitata ad un aspirazione di tipo eticoreligioso,
ma si innalza verso una scoperta infinita di Dio, del Sé, della
nostra più alta e totale realtà spirituale e di esseri viventi e descrive
un’estasi di luminosa conoscenza e un’estasi di partecipe compiuta
esperienza; questa filosofia non è un’astratta speculazione intellettuale
intorno alla Verità o una delle strutture dell’intelligenza logica, ma una
verità vista, esperita, vissuta, posseduta dalla mente e dall’anima più
profonda nella gioia di esprimere una sicura scoperta di possesso, e questa
poesia è opera di una concezione estetica innalzata oltre l’ambito ordinario
per esprimere la meraviglia e la bellezza della più rara autocoscienza
spirituale e della più profonda, ispirata Verità del Sé e di Dio e
dell’Universo.

Qui lo spirito intuitivo e l’intima esperienza psicologica dei
veggenti vedici perviene ad un culmine supremo in cui lo Spirito, come è
detto in un passaggio della Katha Upanishad, svela la sua più vera
essenza, rivela la parola esatta della sua auto espressione e apre alla mente
la vibrazione dei ritmi che, ripetuti all’ascolto spirituale sembrano
sostanziare l’anima e porla, ricolma e compiuta, sulle sommità dell’
autoconoscenza

Le Upanishad sono state la sorgente riconosciuta di varie e profonde
filosofie e religioni che da esse sono poi scorse in India come i suoi grandi
fiumi dalla culla himalayana rendendo fertili la mente e la vita degli
uomini e hanno mantenuto viva la sua anima lungo il grande procedere
dei secoli ritornando costantemente ad esse per la rivelazione, mai
mancando di dare nuova illuminazione, fontana di inesauribili acque di
vita

Il Buddismo con tutti i suoi sviluppi fu solo una riaffermazione,
sebbene da un nuovo punto di vista e con nuovi termini di definizione di
ragionamento intellettuale, di un aspetto di questa esperienza e la portò
così modificata nella forma, ma appena nella sostanza, attraverso tutta
l’Asia e a Occidente verso l’Europa. Le idee contenute nelle Upanishad
possono essere ritrovate in molto nel pensiero di Pitagora e Platone e
costituiscono la parte più profonda del Neo-Platonismo e dello
Gnosticismo con tutte le loro importanti conseguenze sul pensiero
filosofico occidentale, e il Sufismo le ripete in un altro linguaggio
religioso

La parte più consistente della metafisica tedesca è in sostanza
poco più che uno sviluppo intellettuale e di grandi realtà meglio
spiritualmente comprese da questo antico sapere, e il pensiero moderno le
sta rapidamente assorbendo con una ricettività sempre più essenziale, viva
ed intensa che promette una rivoluzione tanto nel pensiero, quanto in
quello religioso; ora esse filtrano grazie a varie influenze indirette, ora si
esprimono in modi aperti e diretti.

Quasi non esiste una grande idea filosofica che non possa trovare forza o
una nuova origine o indicazioni in queste antiche scritture, le speculazioni,
secondo un certo punto di vista, di pensatori che non avevano migliore
passato o migliore base culturale al loro pensiero di una rozza primitiva,
naturalistica ed animistica ignoranza. E persino le più ampie
generalizzazioni della scienza si ritrovano costantemente applicabili alla
verità delle formule della natura fisica già scoperta dai saggi indiani nel
loro originale, nel loro più vasto significato, nella più profonda verità
dello spirito.

E tuttavia queste opere non sono speculazioni filosofiche di genere
intellettuale, analisi di tipo metafisico che cercano di definire nozioni, di
selezionare idee e di distinguere quante tra di loro sono vere, di logificare
la verità o aiutare altrimenti la mente nelle sue inclinazioni intellettuali
per mezzo del ragionamento dialettico e nel suo concetto di proporre una
soluzione definitiva dell’esistenza nella luce di questa o di quella idea della
ragione e di osservare tutte le cose da quel solo punto di vista, in quel
fuoco e in quella determinata prospettiva.

Le Upanishad non avrebbero
potuto avere una vitalità così perenne, esercitare una influenza così sicura,
produrre tali risultati o vedere oggi le loro asserzioni autonomamente
confermate in altri ambiti di ricerca e attraverso metodi completamente
diversi, se fossero state opere del genere. E’ perché questi veggenti videro
la Verità piuttosto che semplicemente pensarla, la rivestirono anzi di una
forte sostanza di intuizione e di immagine rivelatrice, ma una sostanza di
trasparenza ideale attraverso la quale noi guardiamo verso l’illimitato, e
perché esse compresero in profondità le cose nella luce del Sé e le videro
con la visione dell’infinito, che le loro parole rimangono sempre vive e
immortali, di un significato inesauribile, di una immancabile autenticità,
un fine convincente che è nello stesso tempo infinito inizio della Verità,
alle quali tutte le nostre ricerche quando terminano di nuovo approdano e
alle quali l’umanità costantemente ritorna nelle sue menti e nelle sue
epoche di più profonda visione.

Le Upanishad sono il Vedanta, un libro di
conoscenza ad un più alto grado persino dei Veda, conoscenza nel più
profondo senso indiano del termine, Jnana. Non un semplice pensare e
considerare attraverso l’intelligenza, non il ricercare e il cogliere una
forma mentale della verità con la mente razionale, ma un vederla
nell’anima ed un vivere totale in essa grazie al potere dell’essere interiore,
un possesso spirituale attravesro una sorta di identificazione con l’oggetto
della conoscenza è Jnana. E poiché è solo attraverso una conoscenza
integrale del Sé che questo genere di conoscenza diretta può essere resa
completa, fu questo che i saggi vedantini cercarono di conoscere, di
penetrare e di vivere nell’identità.

E attraverso questo sforzo essi giunsero facilmente a comprendere che il
Sé in noi è una cosa sola con il Sé universale di tutte le cose e ancora che
questo Sé non è che Dio e il Brahman, un Essere o una Esistenza
trascendenti, ed essi videro, sentirono, vissero nella più totale intima
verità di tutte le cose dell’universo e nella più intima verità dell’esistenza
interiore ed esteriore dell’uomo grazie alla luce di questa sola e unificante
visione. Le Upanishad sono inni della conoscenza del Sé dell’universo e di
Dio.

Le grandi formule di verità filosofiche di cui esse abbondano non
sono astratte generalizzazioni intellettuali, realtà che possono rischiarare
ed illuminare la mente ma che non vivono e non spingono l’anima ad
ascendere, ma sono ardori e luci di un illuminazione intuitiva e rivelatrice,
raggiungimento e comprensione della sola Esistenza, della Divinità
trascendente, del divino e universale Sé, scoperta della sua ruvelazione
con le cose e le creature di questa grande manifestazione cosmica. Canti di
un ispirato sapere, essi emanano come tutti gli inni un tono di aspirazione
ed estasi religiose, non del genere scarsamente profondo proprio a un
sentimento religioso minore, ma innalzato al di là del culto e di forme
particolari di devozione, verso l’universale Ananda del Divino che ci
raggiunge attraverso l’avvicinamento e l’identità con l’autocosciente
Spirito universale.

E sebbene principalmente concernenti la visione
interiore e non direttamente l’agire umano esteriore, tutte le più
importanti etiche del Buddismo e dell’Induismo posteriore sono tuttavia
ancora della stessa vita e del significato delle verità alle quali essi danno
forma espressiva e forza e tuttavia esiste qualcosa di più grande di
qualunque precetto etico e norma di virtù mentale, l’ideale supremo di una
azione spirituale fondata sull’identità con Dio e con tutti gli esseri viventi.
Perciò anche quando sono morte le forme del culto vedico, le Upanishad
sono rimaste viventi e creative ed hanno potuto generare le grandi
religioni devozionali e sostenere la duratura concezione indiana del
Dharma.

Le Upanishad sono la creazione di una mente rivelatrice e intuitiva e della
sua illimitata esperienza; la loro sostanza, la struttura, l’espressione, il
linguaggio figurato e le dinamiche sono determinanti e contrassegnati da
questo carattere originale

Queste verità supreme e onnipervadenti visioni di unità, del Sé e di un
essere divino universale sono proiettate in frasi concise e monumentali
che le portano immediatamente di fronte alla visione dell’anima e le
rendono presenti e imperative per la sua aspirazione e la sua esperienza e
sono espresse in brani poetici pieni di potere rivelatore e di una
concezione suggestiva che scopre l’intero infinito attraverso un’immagine
finita.

L’Uno è la rivelato ma ha anche dischiuso i suoi innumerevoli
aspetti, e ciascuno guadagna pieno significato attraverso l’ampiezza
dell’espressione e trova, come in una spontanea autoscoperta, il suo posto
e la sua coordinazione attraverso l’illuminante esattezza di ogni parola e
dell’intera frase.

Le più vaste verità metafisiche e le più sottili distinzioni
dell’esperienza psicologica sono raccolte all’interno del movimento
ispirato e rese immediatamente chiare per la mente che osserva e colmate
di infinite suggestioni per lo spirito che conosce. Esistono frasi particolari,
singoli distici, brevi passaggi che contengono in se stessi l’essenza di una
vasta filosofia e tuttavia ciascuno di essi viene pronunciato come un lato,
un aspetto, una parte dell’infinita autoconoscenza. Tutto è di una
concisione raccolta e ricca di idee e tuttavia perfettamente lucida e
luminosa, tutto di una infinita compiutezza. Un pensiero di questo genere
non può seguire il lento, prudente e prolisso sviluppo dell’intelligenza
logica.

Il brano, la frase, il distico, il verso e persino il mezzo verso segue
quello che procede con un significato inespresso, un silenzio che echeggia
tra loro, un pensiero che viene trasmesso in una suggestione totale ed è
implicito alla cadenza stessa ma che la mente è lasciata libera di elaborare
a proprio vantaggio, e questi intervalli di silenzio significante sono ampi,
la cadenza di questo pensiero come i passi di un Titano che cammina tra
rocce distanti su acque infinite. Si trova una perfetta totalità, una estesa
correlazione di parti tra loro armoniche nella struttura di ogni Upanishad;
ma il tutto è trattato al modo di una mente che vede in uno sguardo messe
di verità e si arresta per estrarre solo la parola necessaria da un silenzio
compiuto. Il ritmo ne verso o la cadenza della prosa scolpiscono l’idea e
l’espressione.

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