Battere l’ictus a tempo di musica

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Battere lictus a tempo di musica

La musicoterapia come terapia nei soggetti sofferenti di ictus

Ascoltare della buona musica, al di là di quanto affermato dalle ricerche scientifiche, ci fa del
bene o per meglio dire: ci fa sentire bene, su questo nessuno di noi ha dubbi. Un recente studio
sembra però sostenere altresì una nuova ipotesi: la musica migliora la circolazione cerebrale, in particolare nei soggetti sofferenti a causa di un ictus.

Già da tempo gli esperti in musicoterapia erano in grado di stimolare, attraverso il suono, le
funzioni cerebrali: per esempio tramite la stimolazione uditiva (RAS), una tecnica basata sulle
connessioni tra movimento e ritmo. In questa maniera si invoglia il paziente a muoversi a tempo di musica a scopo terapeutico.

Vi sono sette piccoli studi che sono stati inclusi in una nuova revisione della Cochrane (Cochrane
Systematic Review (http://www.cochrane.org/reviews/). Questi hanno coinvolto in totale 184 persone.
Solo quattro studi, però, sono stati rivolti a persone colpite da ictus e tre di questi hanno utilizzato come trattamento proprio la tecnica RAS.
Secondo tali ricerche la tecnica RAS ha migliorato notevolmente i movimenti delle braccia. «Questo
studio mostra risultati incoraggianti per gli effetti della musicoterapia nei pazienti con ictus»,
afferma Joke Bradt dellArts and Quality of Life Research Center al Temple University di Philadelphia.
«Come la maggior parte degli studi che abbiamo esaminato, anche qui sono stati utilizzati metodi
basati sul ritmo. Suggeriamo, quindi, che il ritmo può essere un fattore primario nella musicoterapia», ha aggiunto Bradt.

Per i pazienti con lesioni cerebrali sono state utilizzate anche altre tecniche di musicoterapia,
tra cui lascolto di musica dal vivo e registrazioni. Queste sembrano essere in grado di migliorare
il linguaggio, ridurre il dolore e modificare (in meglio) il comportamento. È da precisare che gran
parte dei risultati è stato positivo ma gli studi sono ancora limitati a poche persone.

«Diversi studi analizzati hanno avuto meno di 20 partecipanti. Si prevede, per il futuro, lausilio
di un numero maggiore di partecipanti per consentire valide raccomandazioni per la pratica clinica», conclude Bradt.

(lm&sdp)

da lastampa.it

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