Bhakti Yoga: la Religione dell’Amore

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Bhakti Yoga: la Religione dell’Amore

di Swami Nirvanananda

Tratto da:”Verità Spirituali” – anno secondo – n° 5

°°°

BHAKTI YOGA
di Swami Nirvanananda
LA RELIGIONE DELL’AMORE

– Parte Prima.

D: Oh Amato, che cos’è la Religione dell’Amore?

R: La Religione dell’Amore è il fondamento di qualunque forma di
crescita spirituale e di espansione della Coscienza. La Religione
dell’Amore è l’espressione stessa di Dio e la via per raggiungerlo. E
soprattutto essa si contrappone alla religione della paura e alla
religione della prigione mentale. Solo dove c’è Amore c’è vera
Libertà.

D: Come può esistere una religione basata sulla paura se Dio è
l’essenza dell’Amore?

R: Già Lahiri Mahasaya divideva la religione in 4 forme:

1. La religione che si basa sulla paura dell’inferno;
2. La religione che si basa sul premio del paradiso;
3. La religione che si basa sui dogmi dei teologi;
4. La religione che si basa sulla ricerca interiore di Dio.
“Naturalmente – concludeva – solo l’ultima è la vera religione”.

Solo l’Amore può essere la strada che riunisce e riporta l’anima
nuovamente alla sua vera sorgente: Dio. Ecco perché in realtà esiste
una sola religione: quella dell’Amore – o Bhakti Yoga. Tutte le altre
in realtà non sono nemmeno forme religiose, ma solo metodi di
manipolazione dell’anima e quindi ostacoli sul suo cammino.

D: Come possiamo riconoscere la Bhakti?

R: La Bhakti si manifesta in 2 modi:

1. Attraverso l’aspetto esterno: con diverse forme di cerimonie;

2. Attraverso l’aspetto interno: con la meditazione e la preghiera.

D: Quanto sono importanti le cerimonie?

R: Le varie forme di cerimonie, letture, teorie e dottrine possono
essere d’aiuto, ma la religione in sé è solo la Realizzazione. La
forza e la dimostrazione delle verità di una religione sta nella
percezione diretta di Dio. Così come la prova della dolcezza del miele
sta nell’assaggiarlo direttamente, allo stesso modo nessuna
spiegazione ne potrà mai surrogare l’esperienza.

D: Personalmente amo leggere moltissimo. Mi aiuterà questo?

R: Così come dopo aver letto centinaia di libri spirituali, possiamo
non sapere assolutamente niente di Dio, così solo ciò che abbiamo
realizzato e ciò che siamo diventati, ha un valore reale. Senza una
trasformazione non c’è vera religione.

D: Quanto ci aiuterà imitare i santi?

R: Anche se imitiamo i comportamenti delle grandi anime, in realtà
ogni approccio a Dio è personale e diverso per ognuno. Dio sa trovare
un modo originale e unico di manifestarsi a ciascuno di noi, perché
infinite sono le sue vie.

D: Qual è il primo passo da compiere?

R: Il primo passo da fare è quello di diventare un bhakta, un vero
devoto che rinuncia ad inseguire le farfalle dei desideri materiali.
Bhakta è colui che rinuncia a qualunque forma di ricompensa presente o
futura e le cui azioni sono disinteressate e fatte per il beneficio
delle anime. Come Sri Krishna spiega ad Arjuna nella Bhagavad Gita:
”Bisogna agire senza desiderare il frutto del risultato della propria
azione”.

D: Come faccio ad agire senza rimanere attaccato al desiderio del
risultato? E` molto difficile agire senza concentrarsi sul frutto
dell’azione.

R: Bisogna offrirlo a Dio stesso, qualunque esso sia, ancor prima che
si manifesti. I desideri materiali s’intensificano sempre di più senza
mai appagare veramente, mentre solo la realizzazione di Dio dona una
gioia sempre nuova che può soddisfare l’infinito desiderio dell’anima.
Come potrebbe qualcosa di limitato esaurire l’Illimitato? Donando il
risultato a Dio interrompiamo sul nascere la ruota karmica che ogni
desiderio mette in moto.

D: Eppure ho trovato tante risposte nelle letture.

R: Le letture e lo studio possono stimolare l’intelletto, ma solo il
vero Maestro può accendere la spiritualità in noi. Come solo una
fiamma può accendere una candela, così nessuna semplice immagine del
fuoco, per quanto realistica, può sostituire la forza vitale della
fiamma stessa. Così solo il vero Maestro può accendere con la sua
scintilla divina il processo di trasformazione della coscienza. Il
Maestro mette il seme, ma noi dobbiamo poi coltivarlo e annaffiarlo
con la pratica.

D: Quali sono le forme che assume la Bhakti?

R: Ci sono 2 forme di Bhakti:

1. PRATIKA è quell’amore che si indirizza a una forma vicina a Dio.
P.es gli angeli, le divinità o Deva, i santi, i Mahatma o gli
antenati. Da ciò possiamo ricevere una certa conoscenza – Vidya – o
dei poteri – Siddhi – ma non la liberazione – Mukti. Solo Dio stesso
ci libera, altrimenti rimaniamo bloccati.

D: Cosa succede allora a queste anime?

R: Esse diventano adoratori di una chiesa, di una certa idea o delle
interpretazioni dei testi sacri.

2. La seconda forma di Bhakti è PRATIMA. Essa consiste nell’amare
un’immagine come fosse Dio, ma non Dio come tale immagine.

D: Come può essere ciò?

R: Dio non è un concetto astratto. Prima di conoscere Dio dobbiamo
immaginarlo come una o più qualità. P.es. come: onnipresenza,
onnipotenza, onniscienza, il Bene o Somma Bontà, la Verità, l’Amore
supremo, la Misericordia, etc. Oppure possiamo vedere queste qualità
in una forma umana: Gesù Cristo, il Buddha, oppure nella Forza Vitale,
la Natura. In questo modo l’immagine contiene il Divino, ma non è in
se stesso Dio, poiché Dio non può essere soggetto a nessuna
limitazione. Come afferma Krishna nella Bhagavad Gita: “Dio è in ogni
cosa, ma non è la cosa stessa”. Così come l’oceano è in ogni onda, ma
l’onda non è l’oceano in quanto tale.

D: Si può imitare Cristo?

R: Emulare Cristo ci aiuta ad attirare in noi quelle qualità divine
assopite. Siamo tutti indistintamente figli di Dio addormentati.
Imitare Cristo accelera il nostro risveglio divino. “Essere buoni e
fare il bene” come insegnava Shivananda, è l’eterna e universale
chiave per aprire quella porta.

D: Non riesco ancora a comprendere come Dio possa essere ovunque, ma
anche non contenibile.

R: Ti voglio raccontare questa storia accaduta ai tempi di Lahiri
Mahasaya. Lahiri era un santo molto conosciuto a Benares, però essendo
egli un capo-famiglia, non veniva tenuto nella giusta considerazione
dai Brahmini e dagli Swami del tempio di Vishwanath, dedicato al
Signore Shiva. Accadde che in città arrivò un famoso filosofo con i
suoi discepoli. Questo erudito era famoso per la sua dialettica e
anche per la sia anti-religiosità.

Appena arrivato si presentò al tempio di Shiva e sfidò i Brahmini in
una tenzone filosofica. Egli affermava che lo Shiva Lingam adorato nel
tempio fosse solo una pietra e come tale non poteva essere adorato
come Dio.

Le sue condizioni erano molto chiare: se lui e i suoi allievi avessero
perso la gara, essi si sarebbero allontanati dalla città. Invece se a
perdere fossero stati i Brahmini e gli Swami del tempio, allora essi
avrebbero rimosso lo Shiva Lingam dal tempio a dimostrazione della sua
non-sacralità.

A malincuore i Brahmini dovettero accettare le condizioni poste e
quindi si decise d’iniziare quanto prima la sfida. I Brahmini del
tempio di Vishwanath radunarono tutti i migliori eruditi e teologi
della città e quando qualcuno fece il nome di Lahiri Mahasaya, molti
si rifiutarono di coinvolgerlo, poiché era un capo-famiglia.

La sfida iniziò e proseguì per molti giorni. Il tema che doveva essere
dimostrato era: come Dio, essere supremo ed infinito, potesse essere
confinato in una pietra alquanto limitata. Dopo qualche giorno di
dibattiti purtroppo però il filosofo ebbe la meglio, battendo nel
confronto dialettico tutti i rappresentanti del tempio di Benares. I
Brahmini si guardavano pieni di timore, poiché sapevano che se fosse
stata sancita la loro sconfitta, ciò avrebbe significato la chiusura
del tempio di Vishwanath, con conseguenze spirituali incalcolabili.

Qualcuno rifece il nome di Lahiri Mahasaya e alla fine i Brahmini
decisero di farlo partecipare, poiché ormai non avevano più nulla da
perdere. Un discepolo di Lahiri si precipitò a casa sua per informarlo
dell’accaduto. Comprendendo la gravità della situazione Lahiri
acconsentì e seguì il discepolo sul luogo dell’incontro.

Appena Lahiri si presentò i discepoli del filosofo iniziarono a
dileggiarlo, ma Lahiri non rimase turbato. E iniziò così a parlare:

“Se prendiamo un pezzo di ghiaccio e lo riscaldiamo in una pentola,
allora la sostanza solida ci apparirà liquida. Se continuiamo a
riscaldare, la stessa acqua si trasformerà in vapore. Vediamo così
come la stessa sostanza – l’acqua – possa assumere forme diverse pur
rimanendo sempre acqua. Allo stesso modo, Dio si cela in tutte le
cose, anche se queste sono diverse da Lui!”

Tutti rimasero ammutoliti davanti a questa semplice spiegazione. I
discepoli del filosofo si guardavano imbarazzati non sapendo come
controbattere.

Allora il filosofo si alzò in piedi e pieno di arroganza affermò:

“Ma che dimostrazione è mai questa? Solo uno stupido può parlare
portando esempi così banali”. E continuò ad insultare Lahiri senza in
realtà riuscire a controbattere.

Successe però che nel suo vaniloquio gli si bloccasse la mascella e
con la bocca tutta contratta cominciò a inveire e sputare veleno come
un serpente. Tutti naturalmente ridevano della comicità della scena e
questo faceva imbestialire ancora di più il filosofo che si sentiva
ormai preso dal panico. Un suo discepolo pregò allora Lahiri di
liberare il suo maestro da quella situazione insostenibile.

Lahiri non aveva fretta e naturalmente pose le sue condizioni: il
filosofo doveva riconoscere la propria sconfitta. Ma questo non voleva
cedere e così la mascella gli si contraeva sempre di più. Alla fine,
non riuscendo più a sopportare né il dolore né la vergogna, il
filosofo capitolò ormai in lacrime.

Allora Lahiri diede le istruzioni al suo discepolo di recarsi al
tempio di Shiva e di farsi dare una bottiglietta contenente l’acqua
del Lingam. Così fu fatto e quando il discepolo ritornò con la
bottiglietta, Lahiri ne fece versare il contenuto nella bocca del
filosofo ormai esausto. Appena il liquido toccò le sue labbra, subito
la mascella ritornò nella sua posizione naturale e anche il dolore
cessò istantaneamente.

In tutta la sala ci fu un grande silenzio. Con emozione tutti poterono
assistere alla scena del filosofo che si chinava a toccare i piedi di
Lahiri, con uno sguardo di grande umiliazione. Poi anche tutti i suoi
allievi s’inchinarono ai piedi di Lahiri. I Brahmini gridarono al
miracolo: il tempio di Shiva era stato salvato.

Allo stesso tempo Lahiri riconobbe le doti e le capacità del filosofo
e quindi accettò lui e tutti i suoi allievi come suoi discepoli,
felice di poter, come tutti giorni, recarsi nel tempio di Vishwanath a
portare la sua offerta assieme ad altre migliaia di devoti. La
tradizione di Benares era salva.

D: Grazie, ora ho capito!

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