Biografia e Riflessioni su U.G. Krishnamurti

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Riflessioni su U.G. Krishnamurti

Uppaluri Gopala Krishnamurti – U.G.
Biografia a cura di Pierluigi Piazza

– I primi anni
– L’incontro con Ramana Maharishi
– La frequentazione con Jiddu Krishanamurti
– Il periodo di Londra
– Il periodo Svizzero
– La calamità
– Glossario e Riferimenti
– Catalogo libri di U.G. Krishnamurti

I primi anni

Uppaluri Gopala Krishnamurti (9 luglio 1918 – 22 marzo 2007) nacque
nella città di Masulipatam, in India, nella famiglia Uppaluri, da cui
acquisì il cognome. Crebbe nella vicina città di Gudivada. La madre
morì sette giorni dopo la sua nascita ed egli fu portato dal nonno
materno, un avvocato di famiglia bramina, molto interessato alla
società Teosofica.

(A U.G. è stato spesso raccontato che la madre, appena prima di
morire, aveva detto di lui che egli era nato per un destino
incommensurabilmente grande. Il nonno aveva preso molto seriamente la
cosa ed aveva lasciato il suo lavoro di avvocato per dedicarsi
all’educazione di U.G. I suoi nonni ed i loro amici erano convinti che
egli fosse uno Yoga Brashta (1), cioè uno che era venuto in contatto
con l’illuminazione nella sua vita passata).

Nella “Mistica dell’Illuminazione” U.G. racconta della sua primissima
infanzia.

– Sono cresciuto in un’atmosfera molto religiosa. Mio nonno era un
uomo di grande cultura. Lui conobbe madame Blavatsky (2a) (la
fondatrice della Società Teosofica (2b)), il colonnello Olcott, (2c) e
più tardi la seconda e la terza generazione di Teosofi. Furono molti i
teosofi che visitarono la nostra casa. Mio nonno era un grande
avvocato, molto ricco, colto ed anche molto ortodosso. In lui si
sommavano due culture l’ortodossia da una parte e la teosofia
dall’altra. Egli non riuscì mai a trovare un equilibrio tra le due
tendenze e quello fu l’inizio dei miei problemi.

Egli aveva lasciato il suo lavoro ed aveva dedicato tutto se stesso a
creare una atmosfera profonda per educarmi nel migliore dei modi,
ispirandosi alla Teosofia. Così, ogni mattina, mi trovavo tra persone
che leggevano le Upanishad, Panchadasi, Nayshkarmya Siddhi, (3) I
commentari, i commentari dei commentari e così via, dalle quattro di
mattina fino alle sei di sera e, questo bambino, di cinque, sei, sette
anni, doveva sentire tutte quelle cose. L’istruzione era così intensa
che quando raggiunsi il settimo anno di età, potevo ripetere a
memoria, molti passaggi del Panchadasi o del Nyshkarmya Siddhi, o di
altri testi.

Molti uomini ritenuti santi visitavano la nostra casa. Molti
appartenenti all’ordine di Ramakrishna, (4) ed altri vennero a
trovarci, dato che il nonno aveva voluto una specie di casa aperta a
tutte le persone pie. Così, la prima cosa che scoprii, quando ero
molto giovane, fu che erano tutti ipocriti. Loro parlavano di quelle
“cose”, credevano in quelle “cose”, ma la loro vita non rispecchiava
quello che dicevano e credevano. La loro vita era vuota. Quello fu
l’inizio della mia ricerca.

Mio nonno soleva meditare, (Egli è morto e non voglio dire nulla di
brutto su di lui), per una o due ore, in una stanza separata. Un
giorno un infante, di circa un anno e mezzo o due, scoppiò a piangere
per qualche ragione. Mio nonno uscì dalla stanza di meditazione ed
iniziò picchiarlo finché non divenne quasi blu. – E questo era un uomo
che meditava due ore al giorno – Quell’esperienza ha creato in me,
(non mi piace usare termini psicologici ma non c’è scampo ad essi),
una sorta di esperienza traumatica. Pensavo: – Ci deve essere qualche
cosa di assurdo riguardo a questa pratica della meditazione. Le vite
di chi medita sono assolutamente vuote. Quelli che meditano dicono
cose meravigliose, si esprimono in modo molto bello. Ma cosa dire
circa il loro comportamento? C’è qualche paura nevrotica nelle loro
vite: loro parlano di cose che non sono inerenti a come agiscono. Cosa
c’è di sbagliato in loro? –

Le cose andarono avanti in questo modo ed io ero ne ero coinvolto: –
C’era qualche cosa in quello che professavano che non riuscivo a
capire. – Budda, Gesù, i grandi maestri, tutti avevano parlato di
Moksha, (5) di liberazione, di libertà. Cosa significava? Volevo
scoprirlo da me stesso. Il loro insegnamento mi era inutile, eppure ci
doveva essere qualche persona in questo mondo che era un’incarnazione,
un apostolo di queste cose. – Se ce n’è io la voglio trovarla da me
stesso – mi dissi.

(Da giovane U.G. praticò ogni tipo di austerità e cercò davvero la
“liberazione”. Egli spese sette estati sull’Himalayas con Swami
Shivananda (6) studiando Yoga e praticando la meditazione).

Poi molte cose sono successe. C’era un uomo chiamato Shivananda
Saraswati in quei giorni – egli era un evangelista dell’Induismo. Tra
l’età di 14 e 20 anni, (sto saltando molti particolari), io solevo
andare ad incontrarlo e con lui praticai ogni tipo di austerità. Ero
così giovane ma ero determinato a trovare se esisteva una cosa come la
liberazione, e, se esisteva, la volevo per me stesso. Io volevo
provare a me stesso e agli altri che in una persona spirituale, non
poteva esserci nessuna ipocrisia.

Crescendo il sesso diventò un tremendo problema per me che ero un
giovane uomo. Mi dicevo: – Il sesso è qualche cosa di normale, una
cosa biologica, un urgenza del corpo umano. Perché tutte queste
persone vogliono rinunciare al sesso e sopprimere qualche cosa di così
naturale, qualche cosa che è parte della vita, al fine di raggiungere
qualche altra cosa? Il sesso è più reale, più importante per me che la
liberazione, la Moksha e tutto il resto. Questa è la realtà –

Pensavo a dei e dee e facevo sogni erotici. Mi succedevano questo tipo
di cose e perché avrei dovuto sentirmi colpevole? Era così naturale ed
io non avevo nessun controllo – La meditazione non mi aveva aiutato,
gli studi non mi avevano aiutato, le mie discipline non mi avevano
aiutato. Mi astenevo da cibi con spezie o piccanti, ma non serviva –

Poi un giorno, trovai Shivananda che mangiava un mango nascosto dietro
una porta ed allora mi dissi: – Qui c’è un uomo che si è negato tutto
nella speranza di raggiungere qualche altra cosa, ma quell’uomo non
può controllarsi. Anche lui è un ipocrita – Non voglio dire nulla di
cattivo su di lui, ma quel tipo di vita non era per me.

Quando avevo 21 anni arrivai ad un punto in cui sentii in maniera
molto forte che – Budda, Gesù, Ramakrishna e tutti i mistici e santi,
avevano imbrogliato e deluso se stessi e deluso gli altri. Questo,
vedi, non poteva essere assolutamente il punto. – “Dov’è quello stato
di cui hanno parlato e che hanno descritto quelle persone? Quelle
descrizioni sembravano non avere nesso con me, e col modo con cui io
funzionavo. Tutti dicevano: “Non arrabbiarti” ed io ero rabbioso tutto
il tempo. Io ero pieno dentro di me di cose brutali – così quello che
dicevano doveva essere falso. Il mio pensiero era: – Quello che mi
dicono è falso, e renderà falso anche me. Io non voglio vivere una
vita di falsità. Io sono avido e loro stanno parlando di non avidità.
C’è qualche cosa di sbagliato da qualche parte. Questa avidità è un
qualche cosa di reale, qualche cosa di naturale per me. Quello di cui
stanno parlando è innaturale –

L’incontro con Ramana Maharishi
A quel punto discussi di queste cose con un mio amico. Lui disse che
io ero praticamente un ateo, scettico su tutto, ed eretico. Egli
disse: – C’è un uomo a Tiruvannamali vicino a Madras chiamato Ramana
Maharishi andiamo a vederlo. Lui è un’incarnazione vivente della
tradizione indiana.

Io non volevo vedere più nessun santo; dentro me pensavo: – Sono tutti
uguali. Se ne hai visto uno li hai visti tutti. Tutti ti dicono
impegnati di più ed otterrai la tua meta, invece per me, quelle
pratiche accrescevano solo le mie esperienze e queste esperienze
chiedevano di perpetuarsi nel tempo. Quindi i santi sono tutti
“ripetitori”. Essi ripetono solo quello che c’è nei testi sacri. Io
non voglio leggere, non voglio più esperienze. Loro stanno provando a
condividere un’esperienza con me, ma io non sono interessato
all’esperienze. Le esperienze vanno e vengono e non c’è differenza per
me tra un’esperienza religiosa ed una sessuale o qualsiasi altra
esperienza.

Tuttavia con esitazione, riluttanza e senza entusiasmo, andai a vedere
Ramana Maharishi. Quel mio amico mi condusse là. Egli mi aveva detto:
– vai là almeno una volta, qualche cosa ti succederà – Egli mi aveva
parlato di lui e mi aveva dato anche un libro – India segreta – di
Paul Brunton (7) così io lessi il capitolo relativo a questo uomo ed
alla fine acconsentii ad andare.

Ramana era seduto là, quando fui in sua presenza la prima sensazione
fu: – Come può aiutarmi quest’uomo che è seduto a leggere fumetti, che
taglia verdure per la mensa, e che fa un sacco di cose normali? Egli
non può certo aiutarmi. – Ad ogni modo mi sedetti. Non successe nulla.
Lo guardavo e lui mi guardava. Quello che avevo letto – in sua
presenza sentirai il silenzio, le tue domande scompariranno, il suo
sguardo ti cambierà – rimanevano storielle per me. Io ero seduto là ed
avevo un mucchio di domande dentro di me. Domande stupide che non
erano affatto scomparse. Ero seduto da due ore e le domande non
scomparivano. – Ok, mi dissi, lasciami fare qualche domanda –

Siccome a quei tempi ero molto interessato alla liberazione (moksha)
che era parte del mio back-ground culturale io dissi: – si suppone che
lei sia un uomo liberato – (io non feci realmente quella premessa) –
Può darmi quello che lei hai? –

Io gli feci la domanda ma lui non rispose, così dopo qualche momento
io ripetei la domanda. Sto chiedendo: – qualsiasi cosa lei abbia, può
darla anche a me? –

Egli rispose: – Io posso dartela ma tu sei pronto a riceverla?

Oh ragazzi, per la prima volta un uomo stava dicendo che lui aveva
qualche cosa che io no potevo ricevere. Nessuno prima di allora aveva
detto: – Io posso dartela – ma quest’uomo non solo diceva: – io posso
dartela, ma dubitava pure che io potessi riceverla –

Io dissi a me stesso: – se c’è un individuo in questo mondo che può
riceverla, quello sono io, visto che ho fatto così tanto cammino
spirituale, (Sette anni di Sadhana (8)). Lui può pensare che io non
posso prenderla, ma io posso prenderla. Se non posso riceverla io chi
altri può riceverla? – Quello era il mio pensiero a quel tempo, sai,
(ridendo), avevo molta auto stima.

Io non rimasi con lui, non lessi nessuno dei suoi libri, gli chiesi
solo poche altre domande: – Si può essere liberi in maniera
intermittente? –

Egli disse: – O sei libro o non lo sei affatto – Ci fu un’altra
domanda che ora non ricordo a cui lui rispose: – non ci sono gradini
che ti conducono là – Ma io ignoravo tutte queste cose e quella
risposta non significò nulla per me.

Andandomene pensai: – quanto è arrogante mi chiede se io posso
riceverla. Perché non dovrei poter riceverla, qualsiasi cosa sia? –
Quella divenne la mia domanda, una domanda naturale. In quel modo la
domanda formulava se stessa – Cos’era quello stato che tutta questa
gente: Budda, Gesù ecc. avevano conseguito? Ramana è in quello stato?
Si pensa di si, io non lo so, ma quell’uomo è un essere umano come me.
In cosa differisce da me? –

Quello che gli altri dicevano, o quello che lui diceva non aveva peso
per me. Io pensavo: – Tutti possono fare quello che lui fa. Cose c’è
dunque di altro? Egli non può essere molto diverso da me. Anche lui è
nato da genitori. Lui ha le sue idee particolari su queste cose. La
gente dice che gli è successo qualche cosa, ma in che modo è diverso
da me? Cose c’è in lui? Cos’è quello stato? – Quella era diventata la
mia domanda fondamentale.

Quella domanda andò avanti e avanti dentro di me. – Io devo trovare
quello stato. Nessuno me lo può dare, sta solo nelle mie mani. Devo
andare in questo “mare sconosciuto” senza un compasso, senza una
barca, senza neppure una zattera di salvataggio. Io devo trovare da
solo qual è lo stato in cui quell’uomo è – “Volevo così intensamente
questa cosa che avrei dato la mia vita per essa”.

(Verso i vent’anni U.G. si iscrisse all’Università di Madras dove
studiò psicologia, filosofia, misticismo e scienze, ma non completò
mai gli studi. Nel 1941 all’età di 23 anni iniziò a lavorare per la
Società Teosofica e visitò la Norvegia, il Belgio, La Germania e gli
Stati Uniti. Tornato in India sposò Kusuma Fumari, una donna di
origine bramina).

La frequentazione con Jiddu Krishanamurti
Io fui coinvolto con lui. L’ho ascoltato per quasi sette anni, ogni
volta che veniva. In quei sette anni, non lo incontrai mai
personalmente. Quel concetto del “maestro del mondo” creava in me
qualche tipo di diffidenza. – Come si può definire a priori un
“maestro del mondo”? Maestri del mondo si nasce non si diventa –
Quello era il mio pensiero. Conosco tutti i retroscena su di lui ma io
non facevo parte del suo circolo di intimi, sono sempre rimasto alla
periferia, non ho mai voluto lasciarmi coinvolgere completamente.
Sentivo lo stesso tipo di ipocrisia delle altre esperienze, nel senso
che non c’era niente nelle loro vite. – Gli eruditi, la gente
importante, i maestri della mente. cos’era? Cosa c’era dietro? –

Poi Krishnamurti si staccò dalla società Teosofica e dopo sette anni,
le circostanze ci fecero incontrare personalmente. Lo vedevo
quotidianamente e discutevamo di tutte queste cose. Io non ero
interessato nelle sue astrazioni ne nel suo insegnamento. Una volta
gli dissi: – Tu hai preso il linguaggio psicologico e stai provando ad
esprimere qualche cosa attraverso quel linguaggio. Fai un processo di
analisi per arrivare, alla fine, a vanificare il processo stesso.
Questo tipo di analisi può solo paralizzare le persone. Non le può
aiutare. Io mi sto paralizzando – La mia domanda era sempre quella: –
cos’è che tu hai che io non ho? – Pensavo: – Io non sono interessato
alle astrazioni che mi racconti. C’è qualche cosa oltre quelle
astrazioni? Se si cos’è quella cosa? – In qualche modo avevo una
sensazione, non posso dire perché, ma la mia sensazione era che c’era
altro oltre le astrazioni è quello, era ciò che mi interessava. Questa
sensazione poteva essere una mia proiezione ma avevo l’impressione,
per usare un’immagine famigliare, che lui non avesse mai assaggiato lo
zucchero ma probabilmente lo aveva visto. Il modo con cui diceva le
cose mi dava la sensazione che lui lo conoscesse, ma non ero sicuro
che lo avesse assaggiato.

Siamo andati avanti così per anni, c’era qualche tipo di differenza
tra noi. Io volevo delle risposte chiare ed oneste da lui e per
qualche ragione lui non voleva darmele. Era molto sulle difensive,
stava difendendo qualche cosa. Gli chiesi: – Cose c’è lì da difendere?
Perché vuoi difendere te stesso? – Volevo delle risposte dirette ma
egli non me le diede mai in modo soddisfacente. Verso la fine io mi
feci insistente. – C’è qualche cosa oltre tutte queste astrazioni? – E
lui rispose: – Non hai modo di saperlo da te stesso –

Finito! Quella fu la fine della nostra relazione. – Se io non ho modo
di conoscerlo, e tu non hai modo di comunicarmelo, cosa diavolo stiamo
facendo? Ho gettato via sette anni. Addio, non voglio più vederti – e
me ne andai.

Prima del mio quarantanovesimo anno io avevo molti poteri e molte
esperienze, ma non gli prestavo grande attenzione. Quando incontravo
qualcuno potevo vederne passato, presente e futuro senza che lui mi
avesse detto nulla. Io ero stupito e mi chiedevo come mai avessi quei
poteri? Qualche volta dicevo qualche cosa e quella cosa si avverava.
Io non capivo il meccanismo di quella cosa. Mi chiedevo com’era
possibile per me dire quelle cose. Questo fatto aveva, a volte,
spiacevoli conseguenze e creava sofferenza nelle persone.

Il periodo di Londra
(Nel contempo U.G. viaggiava per tutto il mondo come conferenziere.
Nel 1955 lui e sua moglie ed i 4 figli andarono negli Stati Uniti alla
ricerca di una cura per il figlio più grande malato di “polio”. Nel
1961 i suoi soldi finirono ed egli sentì un tremendo sollievo che non
poteva e non voleva controllare, la cosa durò per 6 anni e finì con la
calamità, (come egli chiama il suo ingresso nello stato naturale). Il
suo matrimonio si incrinò. Lui mise la sua famiglia su un aereo per
l’India ed andò in Inghilterra. Arrivò là col cuore leggero ed iniziò
a girare per la città. Per tre anni visse come un barbone vagabondando
per le strade. I suoi amici lo vedevano andare in giro col capo basso,
ma lui dice che a quei tempi la sua vita gli sembrava perfettamente
naturale. Coloro che hanno una visione mistica di questi eventi hanno
voluto descrivere quegli anni come: – l’oscura notte dell’anima – ma
nel modo di vedere di U.G. non c’era nessuna lotta eroica contro la
tentazione, nessun anima che lottasse contro gli istinti, nessun
culmine poetico, ma semplicemente agiva in accordo al suo sentire).

Un giorno ero seduto in Hyde Park. Un poliziotto venne e mi disse: –
Tu non puoi rimanere qui. Devi andare via – Dove sarei andato? Cosa
avrei fatto? Non avevo soldi – pensai ho solo 5 penny nelle tasche ed
un idea mi balenò nella testa: – vai alla missione di Ramakrishna –
Era giusto un pensiero che nasceva dal nulla o dalle mie proiezioni,
ma non avevo altra meta che vagabondare e quel pensiero era comparso
spontaneamente, così presi la metropolitana fino al capolinea. Da lì
procedetti a piedi fino alla missione per incontrare lo Swami. Chi mi
ricevette mi disse che non potevo vederlo subito, erano le dieci di
notte. Io dissi al segretario che dovevo vederlo in ogni caso. In
qualche modo lui arrivò ed io gli diedi un album che conteneva
informazioni sul mio passato. Le mie conferenze, i commenti del New
York Times sulle mie conferenze e tutto il mio back ground. Per
qualche motivo avevo tenuto quell’album che il mio manager aveva fatto
fare per me in America. “Questo ero io e questo sono io ora”. Allora
lui disse: – Cosa cerchi? – Io dissi: – vorrei andare nella sala di
meditazione e rimanere là per tutta la notte. Egli disse: – quello non
è possibile. Noi abbiamo una regola che non permette a nessuno di
usare la sala di meditazione dopo le otto di sera – Risposi che allora
non avevo nessun posto dove andare. Lui disse: – ti riserverò una
stanza in albergo, stai in hotel per questa notte e domani torna qui –
Così passai la notte in albergo.

Il giorno successivo tornai verso mezzogiorno. I monaci stavano
mangiando e diedero il pranzo anche a me. Per la prima volta da tanto
tempo facevo un pasto reale. Avevo persino perso l’appetito non sapevo
più cosa fossero la fame o la sete.

Dopo pranzo lo Swami mi chiamò e mi disse: – Stavo cercando una
persona esattamente come te. Il mio assistente, che faceva il lavoro
editoriale, si è ammalato ed è in ospedale. Io devo redigere il numero
che celebra il centenario di Vivekananda (9). Tu sei l’uomo giusto per
raggiungere questo obbiettivo. Tu puoi aiutarmi. Gli risposi che non
potevo più scrivere nulla. Magari ai tempi sapevo farlo ma ora ero un
uomo finito. – Non posso esserle di aiuto in quel senso – Dissi e lui
rispose: – no, no, no assieme possiamo fare qualche cosa –

Aveva disperatamente bisogno di qualcuno che ne capisse di filosofia
indiana. Avrebbe potuto avere qualsiasi aiutante avesse voluto, ma
egli disse: “no, no, no vai bene tu”. Riposati un po’; rimani qui, io
mi prenderò cura di te – Gli risposi che non volevo un lavoro
intellettuale. Gli dissi: – dammi una stanza ed io laverò i piatti, o
farò qualche altra cosa ma non quel tipo di lavoro – Egli rispose:
“no, no, no, ho bisogno di quello”, così io provai a fare qualche
cosa, non per mia soddisfazione, non per soddisfare lui, ma in qualche
modo, insieme, riuscimmo a completare il numero col centenario.

Spesso solevo sedermi nella sala di meditazione, sorprendendomi per
quelle persone che meditavano. – Perché stanno tutti facendo cose così
sciocche? – In quel periodo tutte le idee spirituali erano uscite dal
mio pensiero. Ma io ebbi un’esperienza molto strana in quel centro di
meditazione. Qualsiasi cosa fosse una mia proiezione o altro, i fatti
sono questi: – per la prima volta io sentì una cosa particolare. Ero
seduto, senza fare nulla, guardando, quasi con compatimento, gli altri
che meditavano, quando sentii qualche cosa di molto strano. C’era
qualche tipo di movimento dentro il mio corpo. All’improvviso sentii
una specie di energia che si sprigionava dalla zone del pene ed usciva
dalla testa come se ci fosse un buco. Si muoveva in circolo, in senso
orario e quindi in senso anti-orario. Fu una cosa molto divertente ed
io non la collegai a nulla di particolare. Mi consideravo finito.
Qualcuno mi nutriva, qualcuno mi curava, non avevo nessun pensiero per
il futuro, eppure dentro di me c’era ancora qualche cosa. Dopo tre
mesi mi dissi: – devo partire, non posso fare questo tipo di cose –
Per commiato lo Swami mi diede del denaro, 40 o 50 sterline ed io partii.

Avevo ancora il mio biglietto di ritorno in India, così andai a
Parigi, e lo vendetti guadagnando un po’ di soldi perché era stato
pagato in dollari. In tutto avevo circa 150 sterline. Rimasi a Parigi
per tre mesi, girando per le strade come avevo fatto a Londra. L’unica
differenza era che ora avevo qualche soldo in tasca. Ma lentamente i
soldi finirono. Dopo tre mesi pensai che dovevo andare ma non volevo
tornare in India. Per qualche motivo non ci volevo tornare. Per via
della famiglia, dei bambini, mi spaventava l’idea di tornare in India,
quello complicava la situazione, perché se tornavo loro sarebbero
venuti da me. Finalmente mi ricordai di un vecchio conto che avevo in
una banca Svizzera a Zurigo, e pensai che magari c’era ancora qualche
soldo depositato. L’ultima risorsa era andare in Svizzera, prendere i
soldi e vedere cosa sarebbe successo. Uscii dall’albergo, presi un
taxi e dissi al conducente: – portami alla stazione di Lyon – Ma il
treno da Parigi a Zurigo, partiva dalla stazione dell’Est, e non so
perché gli avevo chiesto di portarmi alla stazione di Lyon, ma da lì
presi un treno per Ginevra.

Il periodo Svizzero
Arrivai a Ginevra con 150 Franchi da spendere e rimasi in albergo
sebbene non avessi più soldi. Quando arrivò il conto dissi che non
potevo pagare così la sola cosa che mi rimaneva da fare era andare al
Consolato Indiano e chiedere che mi rimandassero in India. Capisci: –
ero finito – Anche le mie resistenze a tornare in India erano finite
così mi presentai al consolato con il mio Album con le mie referenze.
C’era scritto: – uno dei migliori relatori che l’India avesse prodotto
– con le opinioni di Norman Cousins (10) e di Radhakrishna sul mio
talento. Il vice console disse: – Non possiamo mandarti in India a
spese del governo indiano. Cerca di farti mandare dei soldi dall’India
e nel frattempo vieni a stare da me. Così feci e fu al consolato che
conobbi Valentie de Kerven (11). Lei faceva la traduttrice, ma quel
giorno mancava l’addetta al ricevimento, e lei la sostituiva.
Iniziammo a parlare e da lì diventammo molto amici. Lei disse: – se
vuoi rimanere io posso trovarti una sistemazione. Non devi tornare in
India se non ci vuoi andare – Dopo un mese il console mi mandò via, ma
lei riuscì a sistemarmi in Svizzera. Lasciò il suo lavoro. Lei non è
ricca, aveva solo pochi soldi di pensione, ma per noi erano
sufficienti per vivere.

Quindi andammo a Saanen: Quel luogo aveva un significato per me. Io
ero stato lì nel 1953 mentre stavo attraversando quelle zone con mia
moglie. Ricordo che quando avevo visto questo posto, qualche cosa
dentro di me disse: – scendi dal treno e rimani per un po’ qui – Così
rimanemmo una settimana e ricordo che dissi a me stesso: – Questo è il
luogo dove mi piacerebbe trascorrere il resto della mia vita – A quei
tempi ero pieno di soldi, ma mia moglie non voleva stare in Svizzera,
per via del clima e per via di molte altre cose che ci erano successe,
così andammo in America. Ora quel sogno si stava realizzando. Andammo
a Gstaad perché io avevo sempre voluto vivere lì. Poi J. Krishnamurti,
per qualche motivo, scelse Saanen, per i suoi incontri estivi. Io
vivevo là, non ero più interessato a lui e non ero più interessato a
quel tipo di ricerca. Valentie, che era già con me prima del mio
quarantanovesimo compleanno, può confermarti che non parlavo mai con
lei di queste cose. –

Durante quel periodo (che io chiamo l’incubazione), dentro di me
succedevano un mucchio di cose. – Avevo continui mal di testa, dolori
terribili qui nel cervello. Non so quante migliaia di aspirine presi
in quei tempi. Niente mi dava sollievo. Non era un’emicrania, un mal
di testa comune. Era terribile. Pigliavo decine di aspirine e 15, 20
caffè ogni giorno per liberarmi dal dolore. Un giorno Valentie disse:
– Ma come? prendi 20 caffè al giorno, sai che significa in termini di
soldi? Sono tre o quattrocento franchi al mese. Non possiamo
permetterceli – Ma era una cosa veramente terribile per me.

In ogni caso ricordo che in quel periodo mi succedevano un mucchio di
stranezze. Ricordo che toccandomi il corpo si formava come una
luminosità fosforescente. Valentie a volte usciva dalla stanza a
vedere perché pensava che ci fossero i fari delle macchine che
illuminavano la stanza. Ogni volta che andavo a letto c’erano queste
scintille di luce, (ridendo), ed era così divertente per me. –
Cos’era? – Era elettricità, per questo dico che il corpo umano è un
campo elettromagnetico. All’inizio pensai che ciò dipendesse da ciò
che indossavo che generava elettricità statica, ma poi smisi di usare
indumenti sintetici. Ero un vero scettico ed eretico dalla testa ai
piedi. Non credevo in nulla e anche se avessi visto un miracolo
accadere davanti a me, non l’avrei accettato – questo era il mio sentire.

Nell’aprile del 1967 mi capitò di essere a Parigi, mentre anche J.
Krishnamurti era là. Alcuni dei miei amici mi suggerirono di andare ad
ascoltare il mio vecchio amico che era qui e stava tenendo i suoi
discorsi. Pensai: – Ok – sono tanti anni che non lo sento, quasi venti
anni, proviamo ad andare a sentirlo. Quando andai là mi chiesero due
franchi per entrare. Io dissi: – non sono pronto a pagare due franchi
per sentire J. Krishnamurti – Dissi ai miei amici, – andiamo a fare
qualche cosa di più divertente – Così andammo alle ‘Folies Bergere’ a
vedere uno spogliarello. In quel posto ebbi delle strane esperienze: –
guardavo lo spettacolo e non sapevo se ero io che stavo danzando o se
c’era la danzatrice fuori di me che danzava – Era una cosa molto
strana, sentivo il movimento dentro di me (questa ora è diventata una
cosa naturale). Non c’era divisione, non c’era nessuno che guardava la
danzatrice. Questa esperienza particolare di assenza di divisione tra
me e le danzatrici andò avanti per un po’ – poi noi uscimmo dal teatro.

La domanda “cos’è quello stato?” continuava ad avere un’intensità
tremenda per me – non un’intensità emotiva. Più io mi sforzavo di
trovare una risposta, più i miei tentativi erano frustrati e più
l’intensità cresceva. Io uso spesso la similitudine della “paglia nel
riso”. Se si da fuoco alla paglia presente nel riso, il fuoco continua
ad andare avanti all’interno; dall’esterno non si vede nessun fuoco,
ma se lo tocchi ti brucia. Esattamente allo stesso modo quella domanda
stava andando avanti dentro di me. – Cos’è quello stato? Io devo
raggiungerlo. – Krishnamurti aveva detto: – tu non hai possibilità –
ma io continuavo a voler conoscere quella risposta. Volevo conoscere
quello stato in cui furono Budda, Shankara (12) e tutti gli altri maestri.

Poi, nel Luglio del 1967 subentrò un’altra fase. Krishnamurti era
ancora in Saanen a tenere i suoi discorsi. I miei amici mi condussero
là dicendo: – Ora l’ingresso è libero, perché non andare a sentirlo? –
Acconsentii. Mentre lo ascoltavo ebbi la netta sensazione che lui
stava descrivendo il mio stato e non il suo. Mi dissi: – Perché voglio
conoscere il suo stato? Egli sta descrivendo qualche cosa, un
movimento, una consapevolezza, un silenzio, affermando che in quel
silenzio non c’è la mente, ma c’è solo azione. “Io sono in quello
stato”. Cosa diavolo ho fatto in questi trenta, quaranta anni, stando
a sentire tutte queste persone e struggendomi nel tentativo di capire
il suo stato o lo stato di qualcun altro, fosse esso Budda o Gesù? Io
sono in quello stato – Così uscii dalla tenda senza voltarmi più indietro.

Poi, molto stranamente, la domanda – “cos’è quello stato?” – si
trasformo in un altra domanda: – Come faccio a sapere che sono in
quello stato? Lo stato di Budda, quello stato che avevo voluto così
tanto e di cui avevo chiesto a tutti? – mi dicevo: – io sono in quello
stato. Ma come faccio a saperlo? –

La calamità
Il giorno successivo, (era il quarantanovesimo compleanno di U.G.) ero
seduto su di una panchina, sotto un albero e stavo guardando uno dei
posti più belli di tutto il mondo, “i sette monti e le sette valli del
Saanenland”. Ero seduto e non è esatto dire che avevo quella domanda,
è più giusto dire che l’intero mio essere era quella domanda: – Come
faccio a sapere che sono in quello stato? C’è qualche divisione dentro
di me, come se ci fosse qualcuno che conosce di essere in quello
stato. La conoscenza di quello stato. Quello che ho letto, quello che
ho sperimentato, quello che ho sentito – E’ la stessa conoscenza che
sta guardando quello stato ed è solo questa conoscenza che sta
proiettando quello stato. Io dissi a me stesso. Guarda, vecchio mio,
dopo 40 anni non ti sei mosso di un passo, sei sempre al punto di
partenza. E’ la stessa conoscenza che hai delle cose che proietta la
tua mente là quando tu chiedi queste domande. Sei nella stessa
situazione e stai facendo le stesse domande: – Come faccio a saperlo?
– Perché è la conoscenza della descrizione dello stato di quelle
persone che ha creato questo stato per te. Stai imbrogliando te
stesso. Sei un maledetto folle. Ma c’era ancora qualche sensazione che
quello fosse realmente “lo stato”.

Per la seconda domanda “Come so che sono in questo stato?” non avevo
nessuna risposta: era come un “loop” che continuava ininterrotto. Poi
all’improvviso la domanda scomparve. Non successe nulla semplicemente
la domanda scomparve. Io non dissi a me stesso: – mio dio ora ho
trovato la risposta – Anche quello stato scomparve. L’idea di essere
nello stato di Budda o di Gesù – era scomparsa. L’intera faccenda era
finita per me e quello è tutto. Da quel punto in vanti io non dissi
mai a me stesso: – ora ho la risposta a quelle domande – Tutto era
finito. E non era il vuoto, il nulla, la vacuità, nessuna di queste
cose. La domanda scomparve e quello è tutto.

(Secondo U.G. la sparizione della sua domanda fondamentale con la
scoperta che non c’erano risposte, fu un fenomeno fisiologico, lui
dice: – un’improvvisa esplosione interiore che fece esplodere ogni
cellula, ogni nervo, ogni ghiandola nel suo corpo. E con
quell’esplosione l’illusione che vi fosse continuità nel pensiero e
che ci fosse un centro che coordinava il tutto e collegava i pensieri,
scomparve.)

A quel punto il pensiero non poteva più essere collegato. I
collegamenti erano rotti per sempre. La continuità era finita ed il
pensiero aveva ripreso il suo ritmo naturale. Ora non ho più domande
perché non c’è più posto per le domande dentro di me. Le domande che
ho ora sono molto semplici. Ad esempio: – Qual’è la strada per
Hyderabad? – cioè le domande per funzionare in questo mondo. E le
persone hanno le risposte per questo tipo di domande. Per quell’altro
tipo di domande nessuno ha le risposte e siccome non esistono le
risposte, non esistono neppure le domande.

Nel mio cervello non c’è più spazio per nulla. Per la prima volta
diventai cosciente della mia testa con tutte le cose ammassate in
essa. Queste “vasana”, (13) (le impressioni passate), o comunque
vogliate chiamarle, provano a mostrarsi qualche volta, ma le cellule
cerebrali sono così “ammassate” che non gli danno l’opportunità di
mostrarsi. La dualità, la divisione, non può più esistere. E’
un’impossibilità fisica, non c’è nulla da fare riguardo a questo.
Questo è il perché io affermo che quando quell’esplosione avviene,
(uso la parola esplosione perché è come un’esplosione nucleare),
produce una reazione a catena. Ogni cellula nel vostro corpo, le
cellule nel centro stesso delle vostre ossa, devono subire questo
“cambiamento”. Non vorrei usare la parola cambiamento, ma è un cambio
irreversibile. Non esiste il dubbio di tornare indietro. Non c’è il
dubbio di ri-cadere, è un qualche tipo di alchimia assolutamente
irreversibile.

E’ come un’esplosione nucleare, vedi – Frantuma il corpo intero. Non è
una cosa facile; è la fine dell’uomo – Un “distruzione” che fa saltare
ogni cellula, ogni nervo, ogni atomo, nel vostro corpo.

Brani stralciati da: www.well.com/user/jct/mystiq1.htm e tradotti da
Pierluigi Piazza

Nota del curatore:
Queste note Biografiche nascono da stralci presi da “The Mystique of
Enlightenment”, d’altro canto era quasi inevitabile, dovendo parlare
della vita di U.G. non attingere a questa fonte che raccoglie proprio
il suo racconto della sua storia

Glossario e Riferimenti
(1) Yoga brashta: Termine indiano usato per una persona che si è
avvicinata all’illuminazione nella sua vita precedente senza potere
conseguirla.
(2a) Blavatsky: Helena Petrovna von Hahn (1831 – 1891) fu la
fondatrice della Società Teosofica (1875). Fu una donna molto forte,
dalla personalità affascinante ed avventurosa, di nobile famiglia russa.
(2b) Olcott colonnello Henry Stee, (1832-1907), avvocato di successo
appassionato di spiritismo fondatore con Helena Petrovna Blavatsky,
della Società Teosofica.
(2c) Società Teosofica, Fondata a New York Il 17 novembre 1875, da
Helena P. Blavatsky, Henry S. Olcott, William Q. Judge, e parecchi
altri, è un’associazione mondiale di uomini e donne dedicata allo
studio dell’unità della vita ed all’applicazione pratica di questo
principio. Secondo i Teosofi tutte le religioni deriverebbero da
un’unica verità divina. Tale verità sarebbe stata tramandata nel corso
dalla storia attraverso una strettissima cerchia di iniziati, i quali
avrebbero rivelato solo gli aspetti conformi al periodo storico in cui
si sono venuti a trovare La sede è ad Adyar, nel sud dell’India vicino
a Madras. Alle pareti delle sedi, si vedevano le foto di una donna e
di due uomini dall’aria vagamente tolstoiana – la fondatrice, il
colonnello Olcott ed il “vescovo” Leadbeater.
(3) Upanishad – Panchadasi – Naishkarmya Naishkarmya: Tesi sacri indiani:
– Upanishad: scritture sacre nelle quali vengono insegnate sia la
meditazione che la filosofia e fanno parte delle Shruti, o scritture
post-vediche. Il termine Upanishad deriva dal Sanscrito: upa (vicino),
ni (sotto) e shad, (sedersi), ossia “sedersi vicino”, (ad un guru o
maestro spirituale) suggerendo l’azione di ascolto di insegnamenti
spirituali. Le Upanishad sono i commentari ai Veda, la loro fine
putativa ed essenza, conosciuti anche come Vedanta o (“Fine dei Veda”).
– Panchadasi: Uno dei primi esempi di testi Vedanta in cui si vuole
dare spazio allo Yoga classico, ma senza perdere di vista la
prospettiva insegnata da Shankara.
– Naishkarmya Siddhi: Testo di Suresvaracarya che contiene un sunto
delle principali dottrine upanishadiche su una base strettamente
razionale.
(4) Ramakrishna Paramahansa: Al secolo Gadadhar Chatterjee, nacque nel
1836 nel villaggio di Kámarpukur, a circa 100 Km. da Calcutta. Fu un
grande maestro di spiritualità che spese la vita meditando ed
insegnando in un tempio sulle rive del Gange. Alla sua morte i suoi
discepoli portarono per il mondo il suo messaggio.
(5) Moksha: Liberazione dall’ignoranza e dalla dualità, mediante la
realizzazione della propria identità col se universale.
(6) Swami Shivananda Sarasvati: (1887-1963) Famoso maestro spirituale
conosciuto anche in occidente, fu uno dei primi precursori del
sincretismo tra le verità vediche e le moderne dottrine scientifiche.
Fondò un’associazione spirituale dal nome Divine Life Society con
centro a Rishikesh, (la città dei Rishi, cioè dei saggi), ai piedi
dell’Himalaya.
(7) Paul Brunton: giornalista londinese autore, fra l’altro, del libro
“India segreta” che fece conoscere Ramana Maharishi in occidente.
(8) Sadhana: Sentiero spirituale. L’insieme delle pratiche e delle
austerità che si eseguono al fine di cogliere la propria meta spirituale.
(9) Swámi Vivekànanda, (1863-1902) al secolo Narendranáth Dutta, dopo
un primo periodo di diffidenza divenne discepolo di Sri Ramakrishna
Paramahansa. Alla morte del maestro iniziò a girare l’India e rimase
colpito dallo stato di ignoranza e di superstizione della popolazione
rurale al punto che si fece promotore del rinascimento spirituale
dell’India. Fu il primo grande saggio-yogi ad andare in America come
ambasciatore spirituale dell’India ed a portare il misticismo indiano
in occidente.
(10) Norman Cousins (1915-1990), era un quotato giornalista americano
che diventò famoso negli anni 60 per essersi curato dalla
sponylarthrite ankylosante, malattia degenerativa che non lascia
scampo, con l’uso di vitamina C e con la terapia del buon umore. La
sua guarigione suscitò perplessità nella comunità scientifica,
qualcuno arrivò a dire che non era mai stato malato, ma i fatti erano
incontrovertibili, tantè che si iniziò a parlare di Psiconeuroimmunologia.
(11) Valentine de Kerven è nata in Svizzera nell’agosto del 1901, era
la figlia del famoso neurochirurgo scopritore della “sindrome di
Kerven”. Il nonno era un sacerdote. Valentie lasciò la Svizzera per
Parigi all’età di diciotto anni per condurre una vita indipendente.
Non credette mai in nessuna fede e fu in molti sensi una
rivoluzionaria. Si associò ad un gruppo di artisti e di scrittori
interessati alla fotografia e all’arte moderna e fu un membro attivo
del teatro sperimentale francese. Fu legata ad Antonin Artaud,
direttore e sceneggiatore teatrale oltre che scrittore ed anarchico.
Assieme a Dullin fece una rappresentazione di una canzone di Artaud.
Era anche disegnatrice di costume ed un’infermiera professionale che
lavorò con la croce rossa durante e dopo la guerra. Era molto libera
di costumi. Convisse con un amico francese cosa considerata offensiva
per quei tempi. Assieme ad un’amica fu la prima donna a fare la
traversata del Sahara su una motocicletta. Fu anche la prima donna a
girare per Parigi coi pantaloni. Fece un documentario sui “gypsies” e
fu la prima donna produttrice di Film in Francia. La sua compagnia di
produzione fu chiamata “de Kerven Films” e produsse anche un
documentario sulle ricerche mediche di suo padre. Tentò, senza
successo, di unirsi alla lotta contro i fascisti e Franco in Spagna.
Nel 1950 ha guidato un viaggio dalla Svizzera all’India che fu il
primo di molti viaggi che avrebbe fatto. A 85 anni, Valentie fu
colpita dal morbo di Alzheimer ed iniziò il suo declino. La sua
memoria divenne fallace ma i suoi occhi conservarono la lucentezza che
ebbero sempre. Verso la fine visse in Bangalore, nel sud dell’India,
presso una famiglia di amici che aveva conosciuto nel 1969. Il 20
gennaio del 1991 all’età di novanta anni, mentre le forze alleate
bombardavano l’Iraq, si spense pacificamente.
da “U.G. Krishnamurti – a life” di Mahesh Bhatt
www.well.com/…/ugbio6.htm
(12) Shankara, (fine 700 inizio 800 d.C.) anche denominato
Sankaracarya, fu il più noto esponente della scuola filosofica Advaita
Vedanta, (dottrina della non dualità o monismo metafisico).
(13) Vasana Le tendenze latenti generate dal passato e che regolano le
azioni presenti dell’individuo.

Catalogo libri di U.G. Krishnamurti

Jubal editore
– L’inganno dell’illuminazione – leggi recensione
– Il coraggio di essere liberi dal passato – leggi recensione – leggi
un brano del libro
– L’anarchia spirituale di U.G. Krishnamurti – Vita parole e silenzi
di un uomo chiamato U.G. e-book

Link consigliati
– Un altro modo di raccontare U.G. di Pierluigi Piazza
– Non occorre fare nulla – Dialoghi in Amsterdam tra U.G. e alcuni amici.

www.riflessioni.it/enciclopedia/u-g-krishnamurti.htm

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