Piccoli intoppi nella memoria sono fisiologici e riconducibili a varie cause, ma ci sono alcuni
segnali che invece non vanno trascurati: ecco quali.
29 dicembre 2022 – Elisabetta Intini
Non ricordarsi di svoltare al solito incrocio, dimenticare dove si trovano le chiavi, sbagliare il
nome di quel famoso attore: piccoli intoppi di memoria sono più che naturali soprattutto con
l’avanzare dell’età, e se non troppo frequenti non dovrebbero preoccupare. Ma come distinguerli da
segnali più allarmanti, come i sintomi precoci di una demenza? Quando è il caso di approfondire?
NON PENSARE SUBITO AL PEGGIO. Anche il cervello invecchia: i neuroni si restringono, mantengono meno
connessioni attive tra di loro e trattengono meno sostanze chimiche necessarie a inviare segnali ad
altre cellule. Ciò nonostante, non tutti i buchi di memoria hanno a che fare con l’avanzare degli
anni. In molti casi sono legati allo stress, all’ansia, alla distrazione o a un tono dell’umore
negativo che rende più arduo concentrarsi.
In parte, poi, dimenticare è… sano: troppe informazioni superflue rallentano il recupero dei
ricordi “utili” e il cervello decide in autonomia che cosa vale la pena tenere e cosa no. Come
spiegato su The Conversation, il cervello ritiene più facilmente le informazioni di carattere
sociale (come i gossip) e dimentica più spesso quelle astratte (come i numeri di telefono).
QUANDO CORRERE AI RIPARI. I blackout di memoria diventano allarmanti quando sono persistenti, se
peggiorano nel tempo e quando interferiscono con le normali attività quotidiane.
Non è un problema se manchiamo una svolta; lo è se non ricordiamo come si guida e perché ci siamo
messi al volante. Lo è se continuiamo a riporre gli oggetti nei posti sbagliati o se spesso ci
mancano le parole che servirebbero in una frase. In questi casi è bene eseguire accertamenti.
UNA FASE DA MONITORARE. Lo stato di transizione tra un normale invecchiamento cerebrale e le demenze
è chiamato decadimento cognitivo lieve. Questa condizione comporta una sfumata difficoltà in una o
più funzioni cognitive, per esempio la memoria, il linguaggio o la capacità di programmazione, e
dunque maggiori problemi a completare compiti complessi come prepararsi un pasto.
Non necessariamente con il tempo peggiora o sfocia in patologie più serie: in alcuni casi rimane
stabile come gravità e in altri può persino migliorare (per esempio se era legato all’ansia o al
tono dell’umore). Ma nel 10-15% dei casi il decadimento cognitivo lieve è prodromo dell’Alzheimer:
se diagnosticato per tempo può aiutare a gestire meglio la malattia e a fare piani per il futuro.
PERDERSI NON È UN BUON SEGNO. Un altro segnale a cui prestare attenzione è la capacità di
orientamento spaziale, una delle prime funzioni perse nella malattia di Alzheimer, la più comune fra
le demenze. Le aree cerebrali che conservano il ricordo degli spazi che frequentiamo sono tra le
prime a essere colpite da questa patologia: pertanto un aumento della frequenza con cui ci si perde
è un sintomo da prendere sul serio.
theconversation.com/how-much-memory-loss-is-normal-with-ageing-193217
da focus.it
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