del Dalai Lama (introdotto ed editato dall’attore Richard Gere) – 2a. parte
(introdotto ed editato dall’attore Richard Gere)
– 2a. parte
La letteratura buddhista classica cita vari sistemi di pensie-
ro e pratica.l Tali sistemi sono detti yana, owero «veicoli».
Oltre ai veicoli buddhisti, che sono: il veicolo della libera-
zione individuale (hlnayana), il veicolo della salvezza uni-
versale (mahayana) e il veicolo del tantra (vajrayana), esisto-
no vari altri veicoli degli esseri umani e degli esseri divini.
In questo contesto, veicoli degli esseri umani e degli esseri divi-
ni si riferisce a sistemi che indicano la pratica e i metodi es-
senziali sia per realizzare le maggiori aspirazioni di questa
vita sia per ottenere una rinascita propizia come essere
umano o come essere divino. Tali sistemi sottolineano la ne-
cessità di mantenere uno stile di vita eticamente corretto –
fondato sull’astensione dal commettere azioni negative –
poiché il condurre vita retta e mantenere un buon compor-
tamento è considerato il fattore più importante per assicu-
rarsi una rinascita positiva.
Il Buddha ha parlato anche di un altro tipo di veicolo,
il veicolo brahmanico, che comprende le tecniche di me-
ditazione che mirano al raggiungimento della più elevata
forma di vita possibile all’interno del samsara (il ciclo
dell’esistenza condizionato dal karma). Tali tecniche com-
prendono, tra l’altro, il ritrarre la mente da tutti gli ogget-
ti esterni, il che conduce a uno stato di concentrazione
univoca. Gli stati meditativi esperiti come risultato
dell’aver generato concentrazione univoca costituiscono
stati di coscienza modificati che, per quanto riguarda i lo-
ro aspetti fenomenologici e anche il modo di rapporto
con gli oggetti, corrispondono strettamente a stati di esi-
stenza nei mondi della forma e senza forma.
Dal punto di vista buddhista tutti i veicoli sono degni
di rispetto, in quanto tutti hanno il potenziale per arrecare
grande beneficio a un grande numero di esseri senzienti.
Ciò non significa, tuttavia, che tutti questi siano completi
nel presentare una via che conduca alla piena liberazione
dalla sofferenza e dal ciclo dell’esistenza. Vera libertà e
vera liberazione possono essere raggiunte solo quando sia
totalmente superata la nostra fondamentale ignoranza, la
nostra abituale errata percezione della natura della realtà.
Questa ignoranza è alla base di tutti i nostri stati emotivi e
cognitivi ed è il fattore principale che ci lega al ciclo pe-
renne di vita e morte nel samsara. n sistema di pensiero e
di pratica che presenta una via completa di liberazione da
questa schiavitù è denominato veicolo del Buddha
(buddhaydna).
Il veicolo del Buddha contiene due sistemi principali di
pensiero e pratica: il Veicolo Individuale, o Hmayana, e il
Veicolo Universale, o Mahayana. Il primo include il sistema
Theravada, forma di buddhismo prevalente in molti paesi
asiatici, per esempio Sri Lanka, Thailandia, Birmania, Cam-
bogia e altri. La letteratura buddhista classica presenta due
divisioni principali del Veicolo Individuale: il Veicolo degli
Uditori e il Veicolo dei Realizzatori Solitari. Una fondamen-
tale differenza tra il Veicolo Individuale e il Veicolo Univer-
sale consiste nella diversa visione della dottrina buddhista
della non esistenza del sé e del suo raggio di applicazione.
Il Veicolo Individuale interpreta la visione della non esisten-
za del sé solo in rapporto alla persona o all’identità perso-
nale, e non in rapporto alle cose e agli eventi in generale;
mentrè nel Veicolo Universale tale principio non è confina-
to a quell’ambito limitato, ma abbraccia l’intero spettro
dell’esistenza, tutti i fenomeni. In altre parole, il sistema del
Veicolo Universale considera la non esistenza del sé un
principio universale. Interpretato in questo modo, quel
concetto acquista maggiore profondità. Secondo gli inse-
gnamenti del Veicolo Universale, solo quando l’esperienza
di non esistenza del sé è radicata dal praticante nell’inter-
pretazione universale, l’esperienza stessa porterà all’elimi-
nazione delle afflizioni mentali e degli stati di ignoranza ad
esse sottesi. Eliminando tali stati di ignoranza possiamo ta-
gliare la radice del samsara. Inoltre, una profonda esperien-
za di non esistenza del sé può anche condurre, in ultima
analisi, alla piena illuminazione: uno stato di totale libertà
dai condizionamenti sottili e dalle tendenze abituali ostrut-
tive create dalla nostra errata interpretazione della natura
della realtà. Il sistema di pensiero e pratica che presenta tale
visione del sé viene denominato Mahayana, cioè Veicolo
Universale.
Il Veicolo Tantrico, o Vajrayana, che la tradizione tibeta-
na considera il veicolo più alto, è incluso nel Veicolo Uni-
versale. Oltre a pratiche meditative volte a potenziare la
comprensione della vacuità e di bodhicitta,3 questo sistema
comprende anche particolari tecniche avanzate per utiliz-
zare i vari elementi del corpo fisico nella pratica meditati-
va, sulla base di sofisticate tecniche yoga che comportano
il penetrare mentalmente i punti all’interno del corpo do-
ve sono localizzati i cakra, o centri dell’energia. Grazie a
questa sottile, raffinata coordinazione di mente e corpo, il
praticante è in grado di accelerare il processo per arrivare
alla radice dell’ignoranza e superare completamente i
suoi effetti e condizionamenti, processo che culmina, infi-
ne, nel raggiungimento della piena illuminazione. L’im-
pegnarsi in pratiche di meditazione che comportano la
sottile coordinazione di elementi fisiologici e mentali del
praticante è una caratteristica particolare e unica del Vei-
colo Tantrico.
Spiegherò ora brevemente il quadro storico del buddhi-
smo quale noi lo conosciamo. Secondo il pandit kashmiro
gakya grl, che giunse in Tibet all’inizio del secolo XIII, il
Buddha nacque in India circa 2500 anni fa. Ciò concorda
con la posizione generalmente accettata dalla tradizione
Theravada, ma, secondo alcuni studiosi tibetani, il Buddha
apparve nel mondo più di 3000 anni fa. C’è poi una terza
opinione che fa risalire la nascita del Buddha all’VIII secolo
avanti Cristo. Riflettendo su queste contrastanti opinioni
riguardo alla data forse più importante della storia del
buddhismo, trovo a volte piuttosto imbarazzante che non
si sia ancora raggiunta l’unanimità su quando effettiva-
mente visse il maestro Buddha gakyamuni! Penso seria-
mente che sarebbe utile se, con tutto il rispetto necessario, si
conducessero test scientifici sulle reliquie del Buddha rite-
nute autentiche. Oueste reliquie si trovano in diversi paesi
come l’India, il Nepal e il Tibet. Forse esperimenti scientifici
che si awalessero delle risorse sofisticate della tecnologia e
della chimica moderna sarebbero in grado di stabilire con
un maggior grado di precisione le date dell’esistenza stori-
ca del Buddha. Ciò sarebbe utilissimo. Gli eruditi buddhisti
del passato si sono valsi soprattutto di strumenti logici e
dialettici per dimostrare la veridicità della loro versione dei
fatti relativi alla vita storica del Buddha. Data la natura del-
la questione, tuttavia, ritengo che tale genere di prove non
possa mai essere definitivo.
Nonostante le contrastanti asserzioni sulla data di na-
scita del Buddha, la letteratura mostra generale accordo
riguardo agli eventi principali della sua vita. Sappiamo
che egli era in origine una persona normale, come noi, con
tutti i difetti e le debolezze dell’essere umano. Nacque da
una famiglia reale, si sposò ed ebbe un figlio. In seguito,
tuttavia, la insoddisfacente natura di sofferenza della vita
gli si rivelò nella forma di inaspettati incontri con persone
afflitte da malattia, vecchiaia e morte. Profondamente tur-
bato da ciò che vedeva, il principe finì per abbandonare il
palazzo paterno e rinunciare alla vita agiata e protetta che
aveva coI~dotto fino a quel momento. Inizialmente la sua
reazione fu quella di adottare l’austero stile di vita
dell’asceta, impegnandosi in una via spirituale che com-
portava grandi penitenze fisiche. In seguito, scoprì che la
vera via che allontana dalla sofferenza si trova in una via
di mezzo tra gli estremi del severo ascetismo e del lusso
indulgente con se stesso. La sua risoluta ricerca spirituale
sboccò infine nel pieno risveglio, o illuminazione: lo stato
di buddhità.
Sento che la storia della vita del Buddha ha grande si-
gnificato per noi. Essa esemplifica le immense potenzia-
lità e capacità che sono intrinseche alla natura umana. Mi
pare che gli awenimenti che portarono alla piena illumi-
nazione del Buddha costituiscano un esempio degno e
ispiratore per i suoi seguaci. In breve, la sua vita ci tra-
smette questo messaggio: «Ouesto è il modo in cui dovre-
ste percorrere il cammino spirituale. Tenete a mente che il
raggiungimento dell’illuminazione non è compito facile.
Esso richiede tempo, volontà e perseveranza». Perciò, fin
dall’inizio, è fondamentale non illudersi che il cammino
sia semplice e rapido. In quanto apprendisti spirituali do-
vete essere preparati ad affrontare le difficoltà connesse a
una vera ricerca spirituale, ed essere decisi a rispettare il
vostro impegno e a mantenere salda la volontà. Dovete
aspettarvi i molteplici ostacoli che necessariamente incon-
trerete sul cammino, e comprendere che la chiave di una
pratica coronata da successo sta nel non perdere mai la
determinazione. Tale fermo atteggiamento è molto impor-
tante. La storia della vita del Buddha, come abbiamo vi-
sto, è la storia di una persona giunta all’illuminazione at-
traverso un duro lavoro e una inflessibile dedizione. E un
po’ ridicolo che noi, che seguiamo i passi del Buddha,
possiamo a volte pensare di poter raggiungere la piena il-
luminazione con maggiore facilità e minore fatica!
Il primo giro della ruota del Dharma
Le Quattro Nobili Verità
Secondo la leggenda, raggiunta la piena illuminazione, il
Buddha restò in silenzio per quarantanove giorni, senza
predicare. Il suo primo insegnamento pubblico fu diretto ai
cinque asceti che erano stati suoi compagni quando condu-
ceva vita di mendicante. Avendo compreso che l’ascetismo
non porta alla libertà dalla sofferenza, il Buddha – allora
chiamato Siddharta Gautama – aveva abbandonato le pra-
tiche ascetiche e si era separato dai cinque compagni. Offesi
per quello che ritenevano un tradimento, essi avevano giu-
rato di non avere più nulla a che fare con lui. Credevano, in-
fatti, che il mutamento di Siddharta indicasse la sua incapa-
cità di perseguire la via dell’ascetismo. Ma, quando lo
incontrarono dopo l’illuminazione, si sentirono spontanea-
mente attratti verso di lui. Ai cinque antichi compagni il
Buddha impartì il primo insegnamento pubblico, nel Parco
delle Gazzelle di Sarnath.
In quel discorso, divenuto famoso come primo giro del-
la ruota del Dharma,2 il Buddha espresse i principi delle
Quattro Nobili Verità. Come la maggior parte di voi sa-
prà, queste Quattro Verità sono: la verità della sofferenza,
la verità dell’origine della sofferenza, la verità della estin-
zione della sofferenza, la verità del sentiero che conduce
alla estinzione della sofferenza.
Secondo il sutra relativo al primo giro, il Buddha espose
le Quattro Nobili Verità sulla base di tre fattori: la natura
delle verità stesse, la loro specifica funzione, il loro effetto o
completo conseguimento. n primo fattore riguarda la natu-
ra di ogni singola verità. n secondo spiega la necessità che il
praticante comprenda il significato specifico di ciascuna
verità – e cioè: riconoscimento della sofferenza ed elimina-
zione della sua origine; attuazione dell’estinzione della sof-
ferenza; realizzazione del sentiero che porta all’estinzione.
Nell’ottica del terzo fattore, il Buddha spiegò il risultato ul-
timo, o completo conseguimento, delle Quattro Nobili Ve-
rità – e cioè: completo riconoscimento della sofferenza,
completo abbandono dell’origine della sofferenza, comple-
to conseguimento dell’estinzione della sofferenza, comple-
ta attuazione della via che porta all’estinzione della soffe-
renza. Personalmente reputo l’insegnamento delle Quattro
Nobili Verità molto profondo. Esso espone in sintesi il pro-
getto dell’intero corpus del pensiero e della pratica buddhi-
sti, delineando così la struttura base del cammino dell’indi-
viduo verso l’illurninazione. Tornerò su questo più avanti.
Ciò che desideriamo e cerchiamo è il conseguimento
della felicità e l’eliminazione della sofferenza. n desiderio
di conseguire la felicità e eliminare dolore e sofferenza è
innato in ciascuno di noi e non ha bisogno di giustificazio-
ne per la sua esistenza e validità. Tuttavia felicità e soffe-
renza non sorgono dal nulla. Esse sono conseguenza di
cause e condizioni. In breve, la dottrina delle Quattro Ve-
rità stabilisce il principio di causalità. Tenendo presente
questo punto fondamentale, mi trovo a volte a considera-
re come tutto il pensiero e la pratica buddhisti si possano
condensare in due principi: 1) adottare una visione del
mondo che percepisca la natura interdipendente dei feno-
meni, ossia la natura di origine dipendente di tutte le cose
e di tut~i gli eventi; 2) su questa base, adottare uno stile di
vita non violento e che non rechi danno.
Il buddhismo sollecita la condotta non violenta sulla
base di due semplici e owie premesse: 1) in quanto esseri
senzienti, nessuno di noi desidera la sofferenza; 2) la sof-
ferenza ha origine da sue determinate cause e condizioni.
Il primo giro della ruota del Dharma.
Gli insegnamenti buddhisti asseriscono inoltre che la cau-
sa principale del dolore e della sofferenza sta nella nostra
ignoranza e confusione mentale. Perciò, se non vogliamo
la sofferenza, il passo logico da fare è astenersi da azioni
negative, le quali conducono naturalmente a conseguenti
esperienze di dolore e sofferenza. Dolore e sofferenza da
soli non esistono; si verificano come risultato di cause e
condizioni. Qui, nella comprensione della natura della
sofferenza e del suo rapporto con cause e condizioni, il
principio di origine dipendente gioca un ruolo fondamen-
tale. In sostanza, il principio di origine dipendente asseri-
sce che un effetto dipende dalla sua causa. Dunque, se
non volete il risultato, dovreste impegnarvi per eliminare
la sua causa.
All’interno delle Quattro Verità troviamo in atto due di-
stinti binomi causa-risultato: la sofferenza è il risultato e
l’origine della sofferenza è la causa; parimenti, la vera
estinzione della sofferenza è pace (risultato) e il sentiero
che ad essa conduce è la causa di quella pace.
La felicità che cerchiamo – autentica e durevole pace e
felicità – si può ottenere solo attraverso la purificazione
della mente. Questo è possibile se eliminiamo la causa
principale di ogni sofferenza e infelicità – la nostra fonda-
mentale ignoranza. La libertà dalla sofferenza, la vera
estinzione della sofferenza, può prodursi solo dopo che
siamo riusciti a smascherare l’illusione creata dalla nostra
abituale tendenza a percepire i fenomeni come dotati di
esistenza intrinseca e, di conseguenza, abbiamo realizzato
la profonda visione intuitiva che penetra la natura definiti-
va della realtà. Per giungere a questo, tuttavia, l’individuo
deve perfezionare i tre addestramenti superiori.3 La prati-
ca della visione profonda, o saggezza, agisce quale effetti-
vo antidoto all’ignoranza e alle illusioni che da essa deriva-
no. Tuttavia, soltanto quando essa venga unita a una
capacità di concentrazione univoca, tutta l’energia e l’at-
tenzione della nostra mente possono essere focalizzate
senza distrazione sull’oggetto di meditazione prescelto.
Perciò, l’addestramento nella concentrazione superiore è
un fattore indispensabile negli stadi avanzati di applica-
zione della saggezza ottenuta attraverso la profonda visio-
ne intuitiva. Tuttavia, perché la pratica della concentrazio-
ne superiore e la pratica della visione profonda superiore
siano coronate da successo, il praticante deve innanzi tutto
stabilire una solida base di moralità adottando uno stile di
vita eticamente valido.
I tre addestramenti superiori
Come vi sono tre tipi di addestramento superiore –
nell’etica, nella concentrazione e nella saggezza – così le
scritture buddhiste si dividono in tre grandi branche: disci-
plina, serie di discorsi, conoscenza metafisica. Si può affer-
mare che una persona sia un detentore del Buddhadharma
quando è in grado di intraprendere un autentico esercizio
di queste tre discipline, fondato sullo studio dei tre gruppi
di scritture, nonché di trasmettere tale conoscenza ad altri.
La necessità di impegnarsi nei tre addestramenti superiori
è identica per gli uomini e per le donne. Per quanto concer-
ne l’importanza dello studio e della pratica, non si può fare
alcuna distinzione tra i praticanti sulla base del loro sesso.
Tuttavia, nelle regole monastiche di disciplina etica vi sono
alcune differenze, a seconda del sesso del praticante.
Il principale fondamento della pratica della moralità
consiste nell’astenersi dalle dieci azioni negative: tre atti-
nenh al corpo, quattro attinenti alla parola, tre attinenti al
penslero.
Le tre non-virtù fisiche sono: 1) uccidere: privare inten-
zionalmente della vita un essere vivente, sia esso persona
o animaie, anche se insetto; 2) rubare: impadronirsi di una
proprietà altrui senza il consenso dell’altra persona, indi-
pendentemente dal valore di detta proprietà; 3) impropria
condotta sessuale: commettere adulterio. Le quattro non-
virtù verbali sono: 4) mentire: ingannare gli altri con paro-
le o gesti; 5) disunire: creare discordia, facendo in modo
che coloro che sono d’accordo entrino in disaccordo o co-
loro che sono in disaccordo lo siano ulteriormente; 6) par-
lare violento: maltrattare gli altri con le parole; 7) fare di-
scorsi vani: parlare di cose futili perché motivati dal
desiderio, e così via. Le tre non-virtù mentali sono: 8) cu-
pidigia: desiderare di possedere qualche cosa che appar-
tiene ad altri; 9) intenzione malevola: desiderare di fare
del male ad altri, sia in piccola sia in grande misura; 10)
visione errata: sostenere per esempio che la rinascita, la
legge di causa e effetto o i Tre Gioielli4 non esistono. La
moralità praticata da un apprendista spirituale in termini
di esplicita adozione di una particolare condotta etica sot-
to forma di precetti è conosciuta come disciplina della li-
berazione individuale, o pratimoksa.
Per quanto concerne la natura e l’elenco specifico dei
precetti, emersero nell’India antica quattro tradizioni
principali, poi suddivise in diciotto sottoscuole.5 Ognuna
delle quattro tradizioni principali aveva la propria versio-
ne del Sutra della liberazione individuale (Pratimoksasutra) –
tradizionale resoconto delle raccomandazioni disciplinari
del Buddha, che elenca i precetti etici ed enuncia gli orien-
tamenti fondamentali della vita monastica. Nella tradizio-
ne tibetana il sistema monastico e le regole etiche ad esso
connesse sono quelli della scuola Mulasarvastivadin. Se-
condo il Sutra della Liberazione individuale di questa scuola,
scritto in sanscrito, ci sono 253 regole da seguire per il mo-
naco che abbia preso l’ordinazione completa, e 364 per la
monaca completamente ordinata. In questo la tradizione
tibetana differisce dalla tradizione Theravada, che accetta
la versione del sutra in lingua pali, dove sono elencati 277
precetti per il monaco e 311 per la monaca.
La pratica della moralità – impedire alle tre porte (corpo,
parola, mente) di indulgere in azioni nocive – ci arma di
consapevolezza e coscienziosità. Oueste due facoltà ci aiu-
tano a evitare gravi forme di azioni negative fisiche e ver-
bali, che sono distruttive per sé e per gli altri. Per questo
motivo la moralità è il fondamento della via buddhista.
20 Caratteri generali del buddhismo
La seconda fase è la meditazione, ossia l’addestramento
nella concentrazione superiore. In generale, parlando di
meditazione in senso buddhista, distinguiamo due tipi
principali: la meditazione concentrativa e la meditazione
analitica. La prima si riferisce soprattutto agli stati medita-
tivi della calma dimorante e alle varie pratiche meditative
intimamente connesse a questo stato.6 Le caratteristiche
principali di questo tipo di meditazione sono il carattere di
univocità della concentrazione e la qualità di assorbimento
meditativo che esso genera. Meditazione analitica, invece,
si riferisce a stati che, entrando in contatto con l’oggetto di
meditazione, sono principalmente rivolti a esaminare e ad
analizzare l’oggetto in questione. Essa comprende anche
pratiche non caratterizzate solo dalla concentrazione uni-
voca, ma associate a una analisi più profonda. Tuttavia, in
entrambi i casi, è essenziale possedere un solido fondamen-
to di consapevolezza e vigilanza – facoltà che hanno origi-
ne, come abbiamo visto, in una salda pratica di disciplina
etica. Anche sul piano ordinario, nella vita di ogni giorno,
l’importanza della consapevolezza e della vigilanza non
dovrebbe essere sottovalutata.
Per riassumere: quando ci impegniamo nella pratica
della moralità, gettiamo le fondamenta dello sviluppo
mentale e spirituale. Quando ci impegniamo nella pratica
complementare della concentrazione, rendiamo la mente
disponibile e ricettiva a questo scopo più elevato, e la pre-
pariamo alla successiva pratica superiore della visione
profonda, o saggezza. Mediante la facoltà della concentra-
zione univoca, frutto del fissare la mente su un unico og-
getto, siamo in grado di incanalare tutta la nostra atten-
zione e la nostra energia mentale verso un dato oggetto. A
questo punto, grazie a uno stato mentale assai stabile, è
possibile generare una reale e profonda visione della na-
tura ultima della realtà. Questa penetrante visione intuiti-
va della non esistenza del sé è l’unico antidoto diretto
all’ignoranza, giacché essa sola è in grado di sradicare le
nostre fondamentali percezioni errate, ovvero la nostra
ignoranza, insieme con i vari stati illusori cognitivi ed
emotivi che da essa derivano.
I trentasette aspetti del sentiero verso l’illuminazione
La struttura generale della via buddhista è descritta nel
primo giro della ruota del Dharma mediante i trentasette
aspetti del sentiero verso l’illuminazione. Questi sono di-
visi in sette categorie. La prima categoria comprende le
quattro consapevolezze, e cioè consapevolezza del corpo,
delle sensazioni, della mente e dei fenomeni.7 Consapevo-
lezza si riferisce qui a pratiche contemplative che riguar-
dano la natura fondamentalmente insoddisfacente del
samsara e la transitorietà di questa esistenza condiziona-
ta, del ciclo perenne dei nostri schemi abituali di pensiero
e di comportamento. Grazie a tali riflessioni il praticante
sviluppa un’autentica determinazione di liberarsi dal ci-
clo dell’esistenza condizionata.
Seguono i quattro abbandoni completi. Sono chiamati così
perché il praticante, quando sviluppa una sincera deter-
minazione a liberarsi attraverso la pratica delle quattro
consapevolezze, si impegna in una condotta che evita le
cause di futura sofferenza e coltiva quelle di futura feli-
cità. Perciò i quattro abbandoni sono: 1) abbandono di
pensieri e azioni nocivi già generati; 2) non generazione di
pensieri e azioni nocivi; 3) sviluppo di pensieri e azioni
positivi già generati; 4) generazione di pensieri e azioni
positivi non ancora generati.
Benché, nella vostra mente, voi possiate superare le
azioni negative e le emozioni afflittive che le motivano e
incrementare i fattori positivi – tecnicamente detti classe di
fenomeni puri -, i cosiddetti quattrofattori di poteri miracolo-
si si manifestano solo quando la mente è molto concentra-
ta. Questi quattro fattori sono collegati alla pratica dello
sviluppo della facoltà di concentrazione univoca. Vengono
definiti anche le quattro «gambe», perché sono i requisiti
indispensabili che consentono al praticante di conseguire
22 Caratteri generali del buddhismo
gli stati mentali di concentrazione univoca che servono co-
me base per le manifestazioni soprannaturali. Questi sono
i quattro poteri miracolosi dell’aspirazione, dello sforzo,
dell’intenzione e dell’analisi.
La quarta categoria comprende le cinque facoltà; la quin-
ta categoria i cinque poteri. L’elenco è lo stesso nelle due
categorie: fiducia, impegno gioioso, consapevolezza, con-
centrazione univoca e intelligenza. In questo contesto, la
distinzione tra facoltà e potere dipende dal livello di com-
petenza del praticante in quella particolare capacità: a
uno stadio sufficientemente avanzato di competenza nella
pratica, la facoltà diventa potere.
Vengono poi le sette diramazioni del sentiero verso l’illumi-
nazione: perfetta consapevolezza, perfetta analisi, perfetto
impegno, perfetta gioia, perfetta flessibilità, perfetta stabi-
lità meditativa, perfetta equanimità.
La settima e ultima categoria è il nobile ottuplice sentiero:
retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione,
retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta consapevolez-
za, retta stabilità meditativa.
Questa, dunque, è la struttura generale della via
buddhista proposta dal Buddha nel primo giro della ruota
del Dharma. Il buddhismo praticato nella tradizione tibe-
tana incorpora in modo completo tutti questi aspetti della
dottrina buddhista.
III
Ancora: nel secondo giro acquista ulteriore profondità e
complessità la trattazione della terza Nobile Verità, la vera
estinzione della sofferenza. A differenza dei sutra del pri-
mo giro, gli insegnamenti del secondo giro esaminano nei
dettagli la natura della estinzione della sofferenza in ge-
nerale, le sue caratteristiche specifiche, e così via.
Maggiore profondità e precisione si riscontrano anche
nella presentazione della quarta Nobile Verità, i veri sen-
tieri. Per quanto riguarda il sentiero effettivo verso l’illu-
minazione, nei sutra della saggezza il Buddha presenta
una via unica nel suo genere, fondata sulla generazione di
una profonda visione della vacuità, o non esistenza del sé,
che è il vero modo di essere di tutti i fenomeni. Tale visio-
ne viene coltivata attraverso la compassione universale e
il bodhicitta (la vera aspirazione altruistica a raggiungere
la piena illuminazione per il benessere di tutti gli esseri),
atteggiamenti che caratterizzano il praticante del
Mahayana o Veicolo Universale. La combinazione di vi-
sione profonda della vacuità e di realizzazione del bodhi-
citta costituisce la perfetta unione di saggezza e mezzi
abili. In questo contesto, l’aspetto della saggezza si riferi-
sce principalmente all’esperienza della vacuità, mentre
l’aspetto del metodo, cioè l’abilità nei mezzi, si riferisce
principalmente alla motivazione altruistica che indirizza
la saggezza alla realizzazione degli ideali di compassione.
Questo sentiero di unificazione è insegnato nel secondo
giro della ruota del Dharma.
Perché la presentazione delle Quattro Nobili Verità, che
si trova nel secondo giro della ruota del Dharma, è più
profonda di quella che si trova nel primo giro? Non si
tratta solo del fatto che nei sutra della saggezza compaio-
no elementi che non compaiono nei sutra del primo giro.
Questa non è la ragione. Il punto è il seguente: i sutra del-
la saggezza non solo trattano alcuni aspetti non affrontati
nei sutra del primo giro, ma elaborano e sviluppano le più
ampie ramificazioni del principio di causalità che è alla
radice delle Quattro Verità, conducendo così la discussio-
ne a un livello più profondo. Questo ulteriore sviluppo
della dottrina delle Quattro Verità ha luogo all’interno
della struttura basilare della via enunciata nel primo giro.
Queste sono le ragioni per cui sostengo che la spiegazione
della dottrina delle Quattro Nobili Verità che appare nei
sutra della saggezza è più profonda e più completa. A
motivo della estensiva trattazione del tema della vacuità –
la mancanza di realtà intrinseca owero di identità intrin-
seca di tutti i fenomeni – il secondo giro della ruota è co-
nosciuto come «la ruota del Dharma attinente all’assenza
di caratteri intrinseci».
Inoltre nei discorsi del secondo giro, che si trovano nei
sutra della saggezza, vi sono affermazioni che sembrano
contraddire la struttura generale della via annunciata nel
primo giro della ruota. Per questo motivo il buddhismo
Mahayana distingue due categorie di scritture: le scritture
interpretabili, ossia quelle il cui significato può essere consi-
derato prowisorio e che richiedono ulteriore interpretazio-
ne al di là del significato letterale; e le scritture definitive, os-
sia quelle che possono essere intese come letteralmente
vere. Fondamentale, in questo approccio ermeneutico, è il
principio Mahayana dei quattro affidamenti. Questi sono:
1) affidarsi all’insegnamento, non all’insegnante; 2) affidar-
si al significato, non alle parole che lo esprimono; 3) affidar-
si al significato definitivo, non al significato prowisorio; 4)
affidarsi alla saggezza trascendente dell’esperienza
profonda, non alla semplice conoscenza.
Il primo punto del principio dei quattro affidamenti af-
ferma che quando si ascolta un insegnamento o si legge
un testo, non si deve giudicare la validità di ciò che viene
detto sulla base della fama, della ricchezza, della posizio-
ne o del potere di colui che parla, ma sulla base del valo-
re dell’insegnamento stesso. Il secondo punto afferma che
non si deve giudicare un’opera sulla base dello stile lette-
rario, ma sulla base dell’argomento trattato. Il terzo pun-
to prescrive che nel riflettere sulla validità di una tesi si
tenga presente non il significato prowisorio, ma la posi-
zione definitiva. Infine, il quarto punto afferma che, an-
che quando ci si attiene al significato definitivo, ciò va
fatto in forza di saggezza e comprensione ottenute attra-
verso l’esperienza e non in base alla semplice conoscenza
intellettuale dell’argomento. In effetti, questo modo di
procedere trova un riscontro nelle parole stesse del
Buddha. Dice il Buddha:
O bhiksu e uomini saggi,
come l’orefice saggia l’oro
ponendolo sulla fiamma, tagliandolo, strofinandolo
così voi dovete esaminare le mie parole per accettarle.
Ma non per la riverenza che nutrite nei miei confronti.
(continua)
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