Cannibal holocaust, mucca pazza

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Cannibal holocaust, mucca pazza

di: Alessio Mannucci – ecplanet.com

CARNE DA MACELLO

Cosa c’è dietro ad un “innocente” hamburger?
In nome del profitto e della velocizzazione della produzione, allevamenti, industrie della carne e
fast food violano sistematicamente i diritti dei consumatori e dei lavoratori, aggirando le più
elementari norme igieniche e di sicurezza. Ogni anno, negli Stati Uniti, cinquemila persone muoiono
e più di 350.000 vengono ricoverate per malattie causate dal cibo. E altre 76 milioni si ammalano.
Perché le industrie devono aumentare produzione e profitti. Chi se ne frega dei rischi per la salute
e la sicurezza. Chi se ne frega se qualche banbino ci rimette la pelle per un’ infezione contratta
da un hamburger. Anzi, sono proprio i bambini i principali obiettivi delle campagne pubblicitarie
dei fast food.

Le esigenze industriali hanno ripercussioni su tutta la catena produttiva: i piccoli rancher
indipendenti devono cedere il passo alle grandi concentrazioni industriali e così anche i mattatoi e
le fabbriche di imballaggio della carne. L’industria della macellazione è una delle più pericolose:
ogni anno avvengono migliaia di incidenti, ma ai lavoratori obbligati a firmare contratti con
clausole capestro, è preclusa la possibilità di richiedere indennizzi.

È questo il lato oscuro dell’hamburger, il “prezzo che non appare sul menù”.

FRANKSTEIN FOOD

Fin dagli albori, il rapido sviluppo delle biotecnologie è stato accompagnato da diffidenze e
timori. Ma è soprattutto a partire dal 1996, in coincidenza con l’arrivo sul mercato dei primi
prodotti transgenici destinati all’alimentazione umana, che le applicazioni della ricerca biotech
sono diventate una delle più esplosive materie di conflitto globale.

Ad accendere lo scontro attorno al cosiddetto “cibo di Frankenstein” hanno contribuito alcuni
scandali alimentari a partire dalla mucca pazza. Proprio nel 1996, infatti, mentre i primi carichi
di soia geneticamente modificata provenienti dagli Stati Uniti sbarcavano nei porti europei, le
autorità britanniche, che avevano ostinatamente negato ogni rischio per quasi un decennio, si
trovavano costrette ad ammettere che il terribile morbo che fa impazzire le mucche può trasmettersi
anche all’uomo. Anche gli scienziati si trovarono costretti a uscire dalla loro “torre d’avorio”,
talvolta persino a scendere in piazza.

CRAZY COWBOY

Nel settembre del 2000, dopo anni di autofinanziamento e fai da te, Mark Purdey, allevatore e
ricercatore del Somerset, ottiene la pubblicazione dei suoi studi sulla BSE (L’Encefalopatia
Spongiforme Bovina comunemente conosciuta come morbo della Mucca Pazza) nelle pagine di
un’autorevole rivista medica.

La BSE è una malattia infettiva che colpisce i bovini causata dall’alterazione di determinate
proteine, i prioni, che normalmente proteggono il cervello dagli effetti nocivi delle sostanze
chimiche, ma quando si alterano diventano tossiche e provocano l’inesorabile distruzione delle
cellule cerebrali, e dunque la morte. La BSE è’ stata individuata per la prima volta in Gran
Bretagna nel 1986. Da allora sono stati contati una miriade di casi, con molti altri dubbi non
rilevati fra le 4.800.000 mucche selezionate e soppresse dal 1996 nel tentativo di controllare la
malattia.

Un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature stimò che almeno 750.000 mucche infette
erano entrate nelle scorte alimentari. Molti studiosi ancora oggi ritengono che la causa della
malattia sia da attribuire a particolari farine ottenute dalle carcasse degli animali usate come
alimentazione per i bovini. Queste farine, considerate illecite, ingrassano rapidamente gli animali,
ma di fatto impongono a degli animali erbivori di trasformarsi in carnivori portandoli a rischio di
‘pazzia’.

TERRORISMO INDUSTRIALE

Secondo le ricerche di Mark Purdey, invece, è a causa di una situazione di squilibrio tra quantità
di rame e manganese nell’organismo che i prioni si alterano fino a provocare l’insorgenza del morbo.
A insospettire Purdey è stato il fatto che i primi casi di Mucca Pazza in Gran Bretagna risalgono
agli anni in cui, su imposizione del Ministero per l’Agricoltura, veniva somministrato agli animali
un particolare pesticida (organofosfato), il Phosmet, usato per combattere l’infestazione della
mosca parassita Hypoderma bovis. Il trattamento prevedeva che il pesticida fosse versato lungo la
colonna vertebrale dell’animale. Gli organofosfati sono presenti anche in molti funghicidi
utilizzati in agricoltura e nell’industria delle vernici si fa largo uso di manganese.

La ricerca di Purdey dimostra che il Phosmet cattura il rame, ed evidenzia che gli animali, in
quello stesso periodo, venivano alimentati con mangimi ricchi di manganese. Per questo i prioni,
poveri di rame e intossicati dal manganese, hanno reagito sviluppando il morbo. Una malattia dunque
non nata per caso, ma prodotta dall’uomo. Le ricerche di Purdey evidenziano come anche in Francia i
primi casi di BSE si siano registrati in Bretagna, la prima regione francese ad aver utilizzato il
Phosmet sui bovini. Da verifiche effettuate sul campo risulta che, ovunque si sia sviluppato un
ceppo di BSE, gli animali sono stati esposti a carenze di rame ed eccesso di manganese.

I riconoscimenti ufficiali alla teoria Purdey arriveranno in seguito anche da un’équipe di
biochimici dell’Università di Cambridge che improvvisamente “scopre” che quando al rame viene
sostituito il manganese, i prioni reagiscono comportandosi proprio come quando insorge la BSE. Se le
teorie di Purdey sono esatte, il morbo mucca pazza è stato dunque generato da un pesticida usato per
combattere una mosca che, innocua per la salute, provoca alcuni inestetismi alla pelle dei bovini,
sgraditi all’industria del pellame.

IL MORBO DI CREUTZFELDT-JACOB

“Non conosci la MCJ? Benvenuto all’inferno sulla Terra. Vieni a fare due passi con me, così ti potrò
parlare della malattia più orribile che l’umanità conosca” (Dolly Campbell, moglie di una vittima
del Morbo di Creutzfeldt-Jakob).

Il primo caso di MCJ fu scoperto nel 1923 dai due neuroscienziati da cui prende il nome. Il Morbo di
Creutzfeldt-Jakob è una malattia cerebrale letale e incurabile provocata, come la BSE,
dall’alterazione dei prioni, e può rimanere latente a lungo (anche vent’anni) in portatori sani
prima di manifestarsi. È rara e solo in pochissimi casi ereditaria. Colpisce gli adulti fra i
quaranta e i sessantacinque anni di età. I primi sintomi sono perdita della memoria, disturbi visivi
e vertigini, deficit mentali, apatia. La morte sopravviene dopo un periodo che va dai tre ai dodici
mesi.

Secondo uno studio del NIH (National Institute of Health) pubblicato nel febbraio del 2004, un
particolare tipo di ormone della crescita umano (HGH), usato massicciamente negli anni ’70, ha
causato 26 casi di MCJ. Prima del 1980, era assai diffusa tra gli scienziati la pratica di prelevare
l’HGH da cadaveri per curare bambini rachitici. Se per caso quei cadaveri erano di persone morte in
seguito alla Creutzfeldt-Jakob, la malattia veniva trasferita nei corpi vivi proprio “grazie”
all’ormone. Quando nell’aprile del 1985, si scoprì che tre giovani colpiti dalla MCJ erano stati
trattati con l’HGH, ne fu immediatamente bloccato l’uso e partirono i primi studi. È stato calcolato
che almeno 7.700 pazienti negli Stati Uniti abbiano ricevuto questo “regalino”. Per il periodo dal
1993-1995, sono stati registrati 575 pazienti deceduti per aver contratto la MCJ.

Nel corso dell’inchiesta anti-doping condotta in questi giorni Italia, che ha fatto luce su una
ampia rete di spaccio di sostanze dopanti illegali vendute sottobanco sia a professionisti che a
giovani dilettanti, è stato scoperto che tra tali sostanze ve ne erano anche alcune contenenti HGH
estratto da cadaveri vendute ad atleti italiani da un ciclista ungherese, arrivato in Italia per
partecipare a una corsa amatoriale.

Oggi gli scienziati usano quasi esclusivamente ormoni ottenuti mediante ricombinazione genetica
(OGM), in teoria sicuri. Eppure, alla fine di maggio del 2003, nel Regno Unito sono risultati 54
casi certi e 13 casi probabili, identificati dalla National CJD Surveillance Unit (NCJDSU),
istituita nel 1990, di una nuova variante del Morbo di Creutzfeldt-Jakob (nvMCJ), la cosiddetta
“versione umana della mucca pazza”, descritta per la prima volta in Gran Bretagna nel 1996, dopo che
si erano manifestati 10 casi atipici di MCJ in pazienti sotto i 40 anni, tra i quali 9 sotto i 30
anni. Oltre alla loro giovane età, tutti questi pazienti avevano delle caratteristiche in comune:
sintomi inusuali al momento dell’insorgenza e durata anormalmente lunga (in media 14 mesi), in
confronto alla durata dei casi classici di MCJ. Si suppone che sia stata trasmessa all’uomo dalla
carne dei bovini (intestino tenue, midollo spinale, linfonodi, tonsille, occhi e cervello) infetti
da BSE.

Dei due principali ceppi del virus nvMCJ trovati in Gran Bretagna, uno, nel Kent, si trova nel pieno
di un’area con coltivazioni nelle quali vengono usate ingenti quantità di funghicidi a base di
organofosfati e manganese. L’altro ceppo è a Queniborough, nel Leicestershire, dove una fabbrica di
vernici (distrutta da un incendio alcuni anni fa, con grave inquinamento chimico sul paese) ha per
anni riversato parte degli scarti di lavorazione nel sistema di canalizzazioni usate per irrigare i
campi. Purdey è andando a verificare sul campo la propria teoria anche in Islanda, Colorado,
Slovacchia e Sardegna. Ovunque vi siano ceppi di BSE o nvMCJ, ha riscontrato esposizione degli
animali e degli esseri umani a carenze di rame e eccessi di manganese. La maggioranza dei ceppi,
inoltre, si trovano in aree montane, nelle quali i livelli di luce ultravioletta (alla quale i
prioni risultano particolarmente sensibili) sono alti.

La sorveglianza di tutti i tipi oggi conosciuti di MCJ è complicata dalla rarità della malattia e
dalla mancanza di un unico esame diagnostico specifico.Gli studi intrapresi dopo la descrizione
della nvMCJ hanno permesso di confermare l’ipotesi della trasmissione dell’agente bovino all’uomo e
indicano che tale agente possiede proprietà biologiche particolari ancora non ben identificate. E’
un vero e proprio psycho-killer.

TRASMISSIONI NEURO-CHIRURGICHE

Nel 1997, fu riportato un possibile caso di trasmissione del MCJ nell’ambito di un intervento
neuro-chirurgico: una paziente di 59 anni subisce una biopsia cerebrale che conduce ad una diagnosi
di MCJ. Tre giorni più tardi, si procede a un intervento neuro-chirurgico su un paziente di 46 anni
con una contusione cerebrale. Ventisei mesi più tardi, si osservano dei segni clinici tipici di una
MCJ anche sul secondo paziente, poi confermata da un esame istologico. Utilizzando delle tecniche di
biologia molecolare sul tessuto cerebrale, è stato possibile dimostrare che la malattia era
probabilmente stata acquisita nell’ambito dell’intervento chirurgico. Bisogna dunque considerare
anche il rischio di riciclaggio dell’agente infettivo tra portatori sani attraverso le operazioni
chirurgiche.

I PRIONI

I prioni sono stati scoperti nel 1982 da Stanley Prusiner. Finora, non si è mai riusciti a sapere
molto del loro funzionamento. Queste proteine sono dei trasmettitori che in determinate condizioni
possono trasferire ad altre proteine la loro capacità di far degenerare i tessuti cerebrali secondo
modalità che in passato si ritenevano esclusive del DNA. Quando un prione si corrompe, le proteine
circostanti lo seguono. Le cellule impazzite creano quindi delle specie di “buchi neri cerebrali”,
in una progressione infinita che porta inevitabilmente al decesso.

Gli scienziati credevano che prima o poi si sarebbe scoperto che il DNA giocasse un ruolo cruciale
anche in questo processo. Invece, le ricerche condotte in questo senso, alcune delle quali
pubblicate sulla rivista Nature, hanno dimostrato che in realtà queste proteine agiscono da sole,
trasformandosi in prioni killer e innescando un’analoga mutazione nelle proteine vicine.

La proteina prionica normale è una proteina contenuta nelle cellule nervose e nelle cellule del
sistema linfatico di tutti noi. La malattia di Creutzfeldt-Jakob, così come è conosciuta da decenni,
è limitata al sistema nervoso centrale. La nuova variante invece, è rintracciabile negli organi
linforeticolari, e quindi nella milza, nei linfonodi, nelle tonsille, nell’appendice, nel sistema
linfatico diffuso associato alle mucose.

L’istituzione di un regime terapeutico in una persona che ha dei sintomi conclamati nella nuova
variante di Creutzfeldt-Jakob è al momento irrealizzabile, poiché quando i sintomi della malattia
sono presenti le cellule nervose danneggiate sono talmente numerose che giunti a quello stadio è
impossibile intervenire. Bisogna intervenire nel momento in cui il prione entra nel cervello e
provoca danni. Il prione percorre la periferia del cervello e si sposta verso il centro. Durante
questo cammino, deve percorrere dei passaggi difficili che sono veri e propri colli di bottiglia.
L’individuazione di questi punti può permettere di bloccare il percorso del prione dalla periferia
al centro del cervello.

Nel frattempo, si stà lavorando alla sperimentazione di prioni artificiali. Si stà cercando cioè di
curare la malattia con altre malattie. Perché inserire nell’organismo dei prioni geneticamente
modificati, provocherà sicuramente altri effetti collaterali, incontrollabili. E allora si cercherà
di produrre altre cure geneticamente modificate, e così via, fino alla totale distruzione degli
organismi naturalmente modificati.

IL VIRUS LENTO

La “scoperta” dei prioni risale agli inizi degli anni 60 quando il neurologo americano Stanley B.
Prusiner, tra lo scetticismo generale, ipotizzò che alcuni agenti infettivi, in grado di provocare
malattie degenerative del sistema nervoso centrale negli animali e, più raramente, anche nell’uomo,
potessero essere costituiti solamente da semplice materiale proteico, privo cioè degli acidi
nucleici DNA e RNA, e che riuscissero a moltiplicarsi andando a sostituire le proteine nelle cellule
dell’organismo ospite.

L’attenzione di Prusiner si concentrò su alcune proteine presenti spesso in diversi mammiferi (quali
pecore, mucche, visoni, cervi, gatti, uomini). Prusiner ricorse ad un modello teorico sul quale è
bene soffermarsi: il “virus lento”, un concetto che presuppone, a sua volta, un “periodo di latenza”
di mesi o di anni tra il momento in cui il virus invade l’organismo e quello in cui comincia ad
agire. Alcuni germi, come i virus erpetici, ad esempio, possono rimanere nascosti in qualche recesso
del corpo e riaccendersi ogni volta che il sistema immunitario è indebolito. Anche molti virus
informatici sono di questo tipo, si nascondono da qualche parte nei meandri del sistema, e poi
agiscono quando meno te lo aspetti. In entrambi i casi, è la debolezza del sistema immunitario
dell’ospite che permette all’infezione di covare sotto la cenere e di “svegliarsi” di tanto in
tanto.

IL VIRUS INVENTATO

Peter Duesberg, autore del libro “AIDS: il virus inventato”, scrive: “Nel 1957, il dottor Carleton
Gajdusek fu inviato in Nuova Guinea con una sovvenzione del NIH (National Institute of Healt).
Laggiù, un medico del servizio sanitario locale gli fece conoscere una malattia chiamata “kuru”, una
misteriosa patologia che colpiva il cervello, provocando nelle vittime spasmi o paralisi fino alla
morte nel giro di qualche mese. La sindrome era stata segnalata solo fra le tribù che abitavano in
una serie di valli, soprattutto la tribù dei Fore, in tutto 35.000 persone. Prima dell’arrivo di
Gajdusek, nessuno straniero aveva mai descritto il kuru, anche se i Fore gli dissero che la malattia
aveva cominciato ad apparire qualche decennio prima.

Il primo studio di Gajdusek partì dal presupposto che la malattia fosse infettiva. Il medico riferì
che gli indigeni usavano mangiare il cervello dei parenti morti per fini ritualistici secondo una
pratica cannibalistica che “esprimeva amore per il parente defunto” e allo stesso tempo “costituiva
una buona fonte di proteine per una comunità che non aveva carne da mangiare”. L’infettologo decise
che la via di trasmissione del kuru era l’ingestione del cervello dei malati defunti. Però, quando
si mise a cercare il virus, stranamente non ne trovò tracce.

Nei pazienti non si riscontrava nessuno dei tipici sintomi di infezione: non c’era febbre né
infiammazione, nessuna alterazione, il sistema immunitario non reagiva come se un agente infettivo
avesse invaso l’organismo, e nelle persone immunodepresse il rischio di malattia non era maggiore
che nelle altre. Di lì a poco un altro gruppo di scienziati arrivò dall’Australia e concluse che il
kuru poteva essere una malattia genetica ereditaria. Tornato negli Stati Uniti, Gaidusek fu assunto
dal NIH per lavorare nel reparto malattie neurologiche. Continuando a tenere sotto controllo
l’incidenza del kuru, lo scienziato si dedicò allo studio della sindrome in laboratorio. Nel
frattempo, la notizia della sua scoperta riguardo al kuru era giunta in Inghilterra, dove un altro
cacciatore di virus stava studiando la “scrapie”, una malattia che colpiva le pecore e che
presentava sintomi di degenerazione cerebrale.

Il ricercatore inglese suggerì a Gajdusek che il kuru poteva essere provocato da un virus lento,
cioè con un lungo periodo di latenza. Gajdusek fu subito conquistato da questa teoria, nonostante
contraddicesse le sue varie ipotesi secondo le quali nel kuru potevano essere in gioco geni, tossine
o carenze nutritive. Deciso a scoprire un virus così sfuggente, cercò di trasmettere la malattia
agli scimpanzé. Ma nessun animale si ammalò quando gli fu iniettato sangue, urina e altri fluidi
corporei prelevati a persone affette da kuru. Neanche il liquido cerebrospinale che circonda il
cervello, e che avrebbe dovuto essere pieno di virus, provocò effetti negli animali da laboratorio.
Anzi, le scimmie non contrassero la malattia neanche mangiando il cervello di individui morti per il
kuru. Funzionò solo un esperimento piuttosto bizzarro, in cui il cervello di morti di kuru fu
ridotto in poltiglia e iniettato direttamente nel cervello delle scimmie vive attraverso fori
praticati nella scatola cranica. Dopo un pò, alcuni di questi poveri scimpanzé “sperimentali”
presentarono anomalie nella coordinazione e nel movimento. Stranamente, però, anche questo metodo
drastico non riuscì a infettare decine di altre specie animali. E nessun virus fu trovato nel
tessuto cerebrale, anche usando i più sofisticati microscopi elettronici.

Se non si trovavano prove di questo virus invisibile, se non provocava reazioni da parte delle
difese immunitarie e non si riusciva a trasmetterlo in forma pura agli animali, era logico
concludere che il virus non esisteva. Dato che non riusciva a isolarlo se non nel tessuto cerebrale,
Gajdusek decise di studiare il virus e la sua struttura con un esperimento standard: avrebbe
determinato quale trattamento chimico e fisico era in grado di distruggere il virus, e da questo
avrebbe raccolto dati sulla sua natura. Ma con sua grande sorpresa, il germe misterioso non sembrava
sensibile a nulla. Provò di tutto – sostanze chimiche potenti, acidi e basi nucleiche, alte
temperature, radiazioni ultraviolette e ionizzanti, ultrasuoni – ma anche dopo questi trattamenti il
tessuto cerebrale non provocava il kuru nei suoi animali da laboratorio. Ulteriori esami accertarono
che nei cervelli affetti da kuru non si trovava alcun materiale genetico estraneo.

Questi risultati si prestavano a un’unica ovvia interpretazione: in primo luogo non esisteva alcun
virus, e quindi non si poteva combattere ciò che non esisteva. Ma Gajdusek restò attaccato alla sua
ipotesi virale. Nonostante gli esperimenti fossero stati deludenti, capovolse i risultati
argomentando che il “virus del kuru” era in realtà un nuovo tipo di supermicrobo o, come lo definì
lui, un “virus non convenzionale”. Questo nuovo virus doveva anche essere lento, dato che passavano
lunghi periodi di tempo fra l’atto di cannibalismo e il manifestarsi del kuru. Gajdusek offrì questa
ipotesi a una generazione di scienziati dominata da cacciatori di virus. La poliomielite era ormai
scomparsa da anni, e i virologi finanziati dal NIH vedevano di buon occhio qualsiasi nuova linea di
ricerca su cui esercitare la loro specifica abilità. Così abbracciarono con entusiasmo l’ipotesi del
virus lento. Non sollevarono obiezioni neanche quando il collega sostenne che un altro virus non
convenzionale, simile a quello del kuru, provocava la sindrome di Creutzfeld-Jakob, una rara
malattia neurologica che sembra colpire soprattutto persone che hanno subito in precedenza un
intervento al cervello (simili operazioni chirurgiche potevano ben essere sospettate di essere la
vera causa della sindrome).

Gajdusek ritenne virus lenti, o anche non convenzionali, responsabili di una lunga serie di malanni
a carico dei nervi e del cervello, dalla scrapie nelle pecore alla sclerosi multipla e l’Alzheimer
nell’uomo, e le sue ipotesi furono accolte seriamente, anche se non sostanziate da prove. Nel 1976
ricevette anche il Nobel per la medicina, in particolare per lo studio del virus del kuru e di
Creutzfeld-Jakob, che scoprirà in seguito. Il NIH gli affidò la carica di direttore del Laboratory
of Central Nervous System Studies”.

CANNIBAL HOLOCAUST

Nel frattempo emerge un’altra “informazione”, piuttosto imbarazzante, che getta dubbi sull’ipotesi
virale di Gajdusek per il kuru. In un numero del 1977 di “Science” fu pubblicato il suo discorso di
accettazione del Nobel, corredato da una foto in cui si vedevano degli indigeni intenti al loro
pasto cannibalistico. Non era un’immagine molto chiara. Quando dei colleghi chiesero a Gajdusek se
la foto riprendesse davvero un atto di cannibalismo, lui ammise che i poveretti stavano solo
mangiando carne di maiale. Secondo la rivista, “non si pubblicano mai le vere foto del cannibalismo
perché sono troppo ripugnanti”. Poco convinto, l’antropologo Lyle Steadman, dell’Arizona State
University, ha compiuto delle ricerche e ha direttamente sfidato Gajdusek affermando che “non ci
sono prove di cannibalismo in Nuova Guinea”. Steadman, che ha trascorso due anni in Nuova Guinea, ha
detto di aver spesso sentito racconti di cannibalismo ma, quando ha cercato di andare a fondo della
cosa, le prove sono svanite. Gajdusek ha insistito nel dire di possedere fotografie di vero
cannibalismo, ma di non essere disposto a pubblicarle perché “offendono i parenti delle persone
dedite a questa pratica”.

Come prova del cannibalismo, Gajdusek citò anche l’arresto di indigeni per questo crimine, ma poi
risultò che gli arresti si erano basati su dei “si dice “. Inoltre, poca gente al di fuori
dell’équipe inviata inizialmente con Gajdusek ha mai visto personalmente delle vittime di kuru.
Questo significa che la nostra conoscenza della malattia dipende dalle sue descrizioni e
statistiche, soprattutto perché lui sostiene che sia il cannibalismo sia il kuru sono cessati pochi
anni dopo la sua visita del 1957. Morale della favola: virus fantomatici, trasmessi tramite
fantomatici atti di cannibalismo, causano malattie fantomatiche.

MUCCA PAZZA PER TUTTI

Il primo caso italiano di variante umana di “Mucca Pazza” viene registrato nel 2002. Ad essere
colpita è una giovane agrigentina di 25 anni. In un paese in cui, a fine maggio 2002, erano stati
identificati solo 64 casi di BSE su animali indigeni e 2 su bovini importati dalla Gran Bretagna. I
medici hanno confermato la presenza della malattia nella donna con l’ausilio di risonanze magnetiche
del cervello e una biopsia delle tonsille. La donna, che aveva partecipato ad una sperimentazione
clinica con un farmaco anti-malaria, è stata ricoverata in ospedale a novembre. La Bella ha
sostenuto di avere appurato che la giovane non ha ricevuto sangue o subito trapianti di organi o
tessuti, né ha mai lavorato in Gran Bretagna o in altri Paesi messi in relazione con la BSE. Gli
scienziati sospettano, piuttosto, che la variante della Cretzfeldt-Jacob, identificata nel 1996, sia
stata contratta mangiando carne contaminata con BSE.

Il 22 maggio 2004 è morto a Ragusa un uomo di 53 anni affetto dalla sindrome di Creutzfeldt-Jakob,
un altro caso di variante umana di Mucca Pazza. Poche ore dopo è morta, di infarto, anche la cugina
che lo assisteva. Tutti quelli che hanno avuto la sfortuna di mangiarsi una bistecca di mucca pazza
possono essersi beccati in tutta probabilità una variante umana di Mucca Pazza. Che nella sola Gran
Bretagna ha ucciso 153 persone almeno da quando è stata scoperta, nel 1995. L’epidemia mucca-pazza
ha infettato circa 36 milioni di vacche nel solo Regno Unito, alla fine degli anni ’80, mentre i
primi casi di nvMCJ sono emersi solo a metà degli anni ’90.

Un’altra variante ancora, denominata Creutzfeldt-Jakob sporadico, può invece colpire a prescindere
dal fatto che si sia o meno ingerita carne infetta: si tratta di una malattia sempre letale che
uccide circa 200 americani ogni anno.

SCIENZA E INCOSCIENZA

Ecco come operano gli scienziati senza coscienza: fanno esperimenti abominevoli, sezionano cadaveri,
riciclano cervelli, infettano animali, piante e esseri umani, senza interrogarsi sulle possibili
conseguenze del loro operato, e quando vengono fuori i misfatti, cercano di riparare facendo nuovi
studi e nuovi abominevoli esperimenti.

E le vite di quei poveri innocenti? E di quelli che seguiranno? E la vita di Gaia? Perché nessuno li
ferma? Perché nessuno li manda su un patibolo? E cosa succederà quando si verrà a scoprire che il
virus dell’HIV, il virus Ebola, il virus della SARS, il virus della Mucca Pazza, il virus dei Polli
e tutti i fottutisimi virus che da un po’ di tempo a questa parte infestano la biosfera e mietono
vittime su vittime sono tutti prodotti “inventati” dalla scienza senza coscienza? E che dietro in
realtà c’è una coscienza: un progetto ben preciso di “terminazione di massa”?

Alessio Mannucci
E-mail: hugofolk@ecplanet.com

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