Carl Gustav Jung presenta il Kundalini Yoga

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Carl Gustav Jung presenta il Kundalini Yoga

di Puran Kaur

(Solstizio d’estate 2003)

“La saggezza Indiana è la più profonda che esista e la ricerca della
psicologia conferma passo dopo passo le affermazioni in essa
contenute. L’antica scienza dell’anima degli Indiani è espressa dallo
yoga che appare come il percorso verso l’auto perfezione”.

Carl Gustav Jung ha aperto, grazie alla sua esperienza personale ed
alla sua ricerca, una possibilità di analisi comparata fra
psicoanalisi e kundalini yoga e ha dichiarato che il suo simbolismo
arriva ad interpretare la sintomatologia dei pazienti e aiuta a
localizzare i sintomi della patologia: “non parlo del significato
dello yoga per l’India, non potendolo sperimentare come se fossi nato
in India e possessore della cultura Indiana. Posso comunque parlare
del suo significato per l’occidente. La nostra mancanza di confini
mentali ci porta all’anarchia psichica: per ritrovare un ordine
mentale possiamo utilizzare lo yoga che era in origine un processo di
introversione e conduceva a processi di elaborazione della
personalità. Nel corso di migliaia di anni questa ricerca si è
gradualmente organizzata in un metodo e diffusa in vari modi.”

Ciò che interessava Jung era questo processo. Egli vedeva in esso il
processo universale e ne deduceva che il kundalini yoga, poiché
tantrico, ha un valore incalcolabile per l’interpretazione
dell’inconscio collettivo. Affermava anche che ci si deve avvicinare
con cautela a questa disciplina perché gli occidentali non sono
preparati alla profondità dello yoga. Jung invitava ad essere cauti
nel procedere nell’esperienza dello yoga, a causa dello spirito
orientale che è fondato su una storia mentale fondamentalmente diversa
da quella occidentale: gli studenti che lasciano i corsi nascondendosi
dietro molti alibi lo confermano ancora oggi quotidianamente.

L’interpretazione psicologica di Jung presuppone che il kundalini yoga
permetta una profonda esperienza che spontaneamente si realizza. Egli
afferma che: “la filosofia indiana richiede la precisa condizione di
non ego che influenza la nostra psiche, per quanto indipendente questa
possa essere e porta ad una luce di consapevolezza super personale.
L’area psichica dei fenomeni è fondamentale per gli Indiani e questi
fenomeni sono ritenuti molto più reali di quelli fisici.” L’oggetto
non viene “psicologizzato”. Quando questo avveniva animali e piante
erano pari agli uomini che erano allo stesso tempo animali, e tutto
era animato da spiriti e divinità. L’uomo civilizzato si crede mille
miglia superiore a tutte queste cose: però spesso si identifica per
tutta la vita con i suoi genitori, con i suoi affetti, pregiudizi e
giudizi e accusa senza ritegno gli altri di ciò che non vuole
riconoscere in se stesso. Conservando però una parte di quella
coscienza primitiva e originaria e non servendosi più di amuleti e
talismani, utilizza tranquillanti per portare in quiescenza nevrosi,
razionalismo, culto della volontà e così via. Il simbolismo dei chakra
permette a Jung di pensare ad un percorso degli archetipi della psiche
e di intravedere una procedura universale di individuazione e spiega
così ciò che avviene: il primo passo è afferrare, comprendere la
realtà profonda; poi il simbolo è usato per cristallizzare questa
realtà nella immaginazione e poi arriva la pratica reale della
meditazione sui chakra. Si medita su un simbolo e ci si appropria dei
contenuti in parte intellettualmente, in parte psicologicamente e
soprattutto energeticamente e si avvia lentamente un certo processo
della psiche: a volte si può arrivare ad un radicale sviluppo
dell’anima anche se questa crescita non si realizza spesso. Si può
verificare anche il caso di rimanere in una fase transitoria in questa
regione del processo psichico senza che il reale cambiamento della
struttura più profonda avvenga: un risultato che non è comunque da
sottovalutare.

Secondo Jung dunque la scoperta dell’Oriente rappresenta un punto
cruciale per il concetto dell’inconscio collettivo. La sua
interpretazione presume che il kundalini yoga rappresenti la
sistemizzazione dell’esperienza profonda spontanea che ha trasportato
la materia nell’esperienza astratta nel corso di migliaia di anni. La
base di questo lavoro è il simbolismo dei chakra che abilita Jung a
sviluppare una mappa delle regioni archetipiche e a tracciare una
topografia della psiche per arrivare ad un transito tra le regioni dei
chakra e già nel mandala vedeva l’inizio del simbolismo del tantra
intendendo per mandala anche immagini mentali (come d’altra parte le
intende anche la filosofia dello yoga) e immagini affiorate nel sogno,
così come pure vedeva come si realizza nel tantra l’unione degli
opposti: concio ed inconscio.

Nella psiche umana esiste la divisione, la discriminazione, il bisogno
di divenire una personalità: l’ego è un aspetto dell’odio, il bisogno
di essere in due per essere se stessi. Il potere di essere se stessi.
È l’urgenza dell’istinto e il meccanismo compulsivo che sono alla base
dell’esistenza. È la forma naturale e istintiva in cui compare
l’inconscio: l’energia psicologica nella sua forma più elementare. È
l’istinto dell’individuazione. Non c’è forma di vita che non sia
individuale perché ogni forma si manifesta in una differenziazione:
diversamente non sarebbe vita. L’istinto innato alla vita ci conduce a
produrre un individuo il più completo possibile e ciò che noi
chiamiamo personalità è un aspetto dell’individuazione. Anche se non
riusciremo a manifestare la nostra totalità, ciò che apparirà sarà una
immagine di unità. È questo il modo in cui crediamo di ragionare e di
pensare, è l’organismo che brucia energia nell’attività di sentire, di
volere. A questa attività, per altro normale, della psiche c’è un
lavoro interiore da sviluppare: ritrovare se stessi.

L’odio è la forza che divide e che discrimina. Quando due persone si
innamorano si innesca il meccanismo: si odiano per separarsi, si
oppone resistenza per affermare se stessi. È lo stesso meccanismo
dell’analisi: dopo un po’ si oppone resistenza. Durante il suo
soggiorno in India Jung chiese ad un Hindu: “un uomo che ama Dio avrà
bisogno di più vite o di meno vite per realizzarsi rispetto ad un uomo
che odia Dio? Rispose l’Hindu “un uomo che odia Dio si realizza prima
perché certamente penserà e tenderà a Lui molto più di chi lo ama”

Ed è vero. L’odio è un cemento tremendo.

Odio e paura sono elementi sempre presenti nella vita e gli yogi non
potevano non conoscere questo aspetto quale condizione necessaria
all’individuazione: infatti lo yoga è il percorso di riunificazione e
quando diveniamo coscienti dei fatti l’odio e la paura si spengono.

Secondo Jung le immagini archetipiche sono l’equivalente psichica del
samskara: così come il nostro inconscio è colmo di immagini così la
nostra energia è colma di precedenti semi energetici. Nell’analisi dei
simboli posti in ciascun chakra Jung presenta l’archetipo come
un’ipostasi perché suppone l’esistenza dell’immagine senza che questa
debba essere provata come l’ipotesi: sotto l’ipostasi è sottintesa
dunque un’esistenza e ogni chakra è quindi un intero mondo.

Il primo chakra è quello che possiede le radici delle cose; è la
terra, il fondamento del mondo. Tutti noi abbiamo radici e non
possiamo fuggire via dal nostro mondo cosciente, siamo nel mandala
della terra e corriamo il rischio di rimanere intrappolati nelle
radici della fisicità della vita, della pesantezza della materia,
della presenza costante della mente. Questo è il luogo energetico in
cui l’essere umano è vittima dell’istinto, degli impulsi, della non
consapevolezza. Se siamo vittime delle circostanze la nostra ragione
può fare poco e spesso siamo spinti da un forza che ci costringe a
fare cose non ordinarie e non giustificabili. Questo è Muladhara e qui
troviamo kundalini. Kundalini è qualcosa di assolutamente
inconoscibile, superiore alla nostra volontà ed è lei che ci conduce
ai chakra successivi. È il diamante puro, la forza invisibile che ci
costringe a seguire il percorso fino alla fine, fino all’essenza
ultima. Se non ci fosse kundalini a spingerci alla prima difficoltà
torneremmo indietro, ma se quella forza vitale, quel bisogno, quella
necessità, ci tengono per il collo allora non possiamo voltarci
indietro; dobbiamo affrontare la vita. Da un punto di vista
psicologico è ciò che ci spinge in avanti: se ci fermiamo perdiamo il
sapore della vita, ciò che la rende affascinante. Kundalini risiede in
questo chakra e ci indica delle possibilità perché è la condensazione
di migliaia di anni di esperienza, è la forza dell’energia infinita.
L’inconscio non è ancora presente ed esiste la vita unicamente fisica;
è come se la nostra vita si svolgesse in un grembo, siamo un gene, un
embrione, una condizione iniziale, il seme del futuro e quando
risvegliamo kundalini iniziamo a vivere nell’eternità senza
identificarci con l’inconscio. Come un terremoto kundalini si
risveglia e ci trasporta in volo e dovremo imparare a non
identificarci con le esperienze perché una cosa è volare e una cosa è
essere sospinti dal vento. Se il vento cade anche noi cadiamo, ma se
sappiamo volare condurremo noi il volo e potremo sublimare le
esperienze. Il kundalini yoga è stato tenuto segreto per secoli non
perché non se ne possa parlare, ma perché non è possibile capirlo: il
suo segreto è la comprensione attraverso l’esperienza. Se contattiamo
la nostra parte più profonda, se siamo nelle tecniche, allora il
processo dell’impersonale può innescarsi. In muladhara inizia il
viaggio verso il divino, verso l’anima immortale. È una fonte di
energia, è la pienezza dell’energia.

Muladhara è il simbolo della nostra presenza terrena, è l’energia
psichica che spinge a vivere, è la radice della nostra esistenza.

Il colore rosso associato a questo chakra è il colore del sangue,
della passione oscura. La vita è qui. Contiene la shakti, una delle
due divinità che si uniranno nel settimo chakra. L’elefante, simbolo
del chakra, sostiene il peso della terra e rappresenta il tremendo
sforzo di sostenere la consapevolezza umana, il potere che ci spinge a
costruire il mondo cosciente. Per gli Hindu l’elefante è il simbolo
della libido addomesticata, parallela alla nostra immagine del
cavallo. È la forza della consapevolezza, della volontà, dell’abilità
di fare ciò che vogliamo.

Il secondo chakra è il luogo energetico in cui è possibile fare tutto;
ci tuffiamo nel flusso della vita e ci lasciamo trasportare,
galleggiando su tutto ciò che accade. Questo chakra possiede tutte le
caratteristiche dell’inconscio e possiamo affermare che muladhara
finisce nell’acqua. Svadhisthana è un chakra legato al tattva acqua,
al mare dove vive un enorme mostro. Nessuna meraviglia che esista in
questo chakra una mezzaluna simbolo del femminile; ogni mistero della
vita ha inizio nell’acqua, elemento dell’energia femminile; ogni
ricerca di crescita ci riporta all’acqua, al pericolo di essere
inghiottito dal mostro, così come anche il battesimo e tutti gli altri
riti di iniziazione hanno un significato di passaggio e quindi di
crescita: dopo quel passaggio non saremo più gli stessi. Rappresenta
una morte simbolica che porta ad una nuova vita, ad una rinascita.
Oggi al posto del leviatano abbiamo l’analisi che è ugualmente
rischiosa perché ci mette di fronte a noi stessi. Andiamo sott’acqua
conosciamo il mostro e quella prova diviene la fonte della
rigenerazione. Abbiamo qui l’approccio ad un tipo di vita diverso da
quella passionale del primo chakra: l’inconscio. Il colore arancio
associato all’energia di svadhisthana è una sfumatura più chiara del
rosso, contiene più luce, così come la rinascita ci conduce al giallo
di manipura. Il leviatano simbolo di questo chakra è un simbolo
parallelo all’elefante: makara è negli abissi ciò che l’elefante è
sulla terra. Rappresenta ancora una forza tremenda e qui troviamo il
nostro peggiore nemico da affrontare: noi stessi. La grande
benedizione sulla terra, la consapevolezza, diviene la più grande
sfida: l’inconscio. Makara dunque è l’altra faccia dell’elefante; il
dragone che ci divora è lo stesso che ci sostiene e ci nutre perché se
esiste il conscio esiste anche l’inconscio. Non essere coscienti delle
proprie pulsioni è molto peggio che soffrire a causa loro.È la madre
che ci ha nutrito da bambini e ci divora da adulti se non ci
allontaniamo nel momento giusto; se non la abbandoniamo diviene un
fattore negativo. Svadhisthana rappresenta il fattore psichico in cui
ci perdiamo quando viviamo senza uno scopo preciso, quando
semplicemente vogliamo vivere. La possibilità che ci offre è di
raccogliere questa forza tremenda, la forza della vita ed utilizzarla
per arrivare al nostro inconscio.

Nel terzo chakra risiede il fuoco della vita, della passione: un
essere umano senza passione è solo ridicolo. Questo chakra è la spia
del nostro stato: spesso chi soffre di diarrea è spaventato e chi
soffre di costipazione è particolarmente ostinato. Pensare nei termini
dell’addome significa agire come quando la coscienza era così
offuscata che si faceva riferimento solo a ciò che lo influenzava ed
esistono ancora tracce di questi comportamenti quando siamo resi
ciechi dalla passione. È il centro energetico in cui la materia è
digerita, trasformata e il fuoco, che è il suo tattva, è un elemento
mobile, visibile, perfettamente definito e tangibile ed è tanto fisico
da bruciare provocando dolore. Siamo preda della passione e questo
provoca infiniti problemi di relazione. La prima fase di coscienza
fisica è l’addome, non conosciamo niente di più profondo. Il colore
giallo associato a questo chakra rappresenta la combustione del sole.
Il simbolo che troviamo è l’ariete, Ram, sacro ad Agni Dio del fuoco.
Astrologicamente l’ariete è legato a Marte, pianeta della passione,
dell’impulsività, della violenza. È un animale che esprime ancora
l’elefante, ma in una nuova forma: più piccolo, sia l’animale sia la
sfida; rinunciare alla passione è più facile che rinunciare alla
coscienza della materia, comunque quando siamo coscienti della
passione il pericolo peggiore è passato.

Dall’intestino dove tutto è fuoco, sangue, muscoli, ossa, dove siamo
come vermi senza testa, saliamo verso l’aria, il cuore, la superficie.
Finché siamo in manipura siamo nel fuoco della terra; quel fuoco di
cui parla il Buddha nel sermone di Benares ” Il mondo intero è in
fiamme, le vostre orecchie, i vostri occhi. Ovunque accendete il fuoco
del desiderio, il fuoco dell’illusione perché desiderate cose futili.”
C’è però anche il grande tesoro della realizzazione. Quando iniziamo a
percepire l’inconscio con il cuore entriamo in uno stato
straordinario: le emozioni esplodono e iniziamo a piangere per cose
accadute quaranta anni prima. Le emozioni tornano da manipura spinte
fuori dal fuoco che le ha risvegliate dalle ceneri sotto cui le
avevamo sepolte. In manipura è avvenuta la combustione e sopra il
diaframma, in anahata, l’aria le riporta in vita, ridona il respiro.
Anahata è il centro del cuore, dell’aria. Cosa accade dopo l’inferno
di manipura? Dopo essere stati nella spirale della passione, degli
istinti dei desideri, cosa avviene? Non si arriva al quarto chakra
senza essere passati nella tempesta dei primi tre chakra, nel caos,
nel brodo primordiale.

Impariamo lentamente che non ci identifichiamo più con i desideri: nel
cuore nasce il Purusha e iniziamo a pensare, a divenire coscienti di
qualcosa che non è più personale e anziché seguire gli impulsi in modo
selvaggio iniziamo a creare delle sequenze, delle cerimonie che ci
permettono di non identificarci con le nostre emozioni e a superarle.
Superiamo il nostro umore selvaggio e ci chiediamo “perché mi comporto
così?”, ci possiamo innalzare oltre le nostre emozioni e osservarle.
In anahata risiede Shiva nella forma del lingam (l’aspetto creativo) e
una piccola fiammella simboleggia il SÈ che appare. Si compie il
processo di identificazione psicologica. Quando vediamo la differenza
fra noi e l’esplosione delle passioni inizia l’individuo: l’ego che
risiede in muladhara sale, cresce e si guarda, si distacca e diviene
il SÈ. Il SÈ è qualcosa di assolutamente impersonale, oggettivo. La
nostra vita diviene Purusha, il primo legame con la nostra psiche;
comprendiamo che il nostro SÈ esiste mentre siamo ancora nel mondo
materiale, che non siamo la mente e che possiamo osservarla. In questo
spazio energico avviene la sublimazione dei chakra inferiori. Troviamo
qui il mondo dell’intangibile: sentimenti, mente. Esiste qui qualcosa
che unisce la mente, l’immaginazione, il prodotto dei sentimenti e del
nostro intelletto e che li esprime.

L’aria, il tattva di anahata, possiede le caratteristiche del pensiero
e dell’anima.

Nel quarto chakra abbiamo la conoscenza attraverso il cuore “lo sai
con la testa, ma non lo conosci con il cuore”. Possiamo sapere una
cosa con la testa senza che questa arrivi al cuore; ma quando si
realizza nel cuore, solo allora è nostra. Soltanto quando sentiamo con
il cuore siamo nella vera natura delle cose. Come esprime Lao Tzu “il
significato che puoi ottenere con la ragione, che puoi elaborare, non
è significato”. Nel genere umano il quarto chakra è ancora molto
flebile e manipura molto presente; infatti dobbiamo essere sempre
molto attenti e gentili gli uni con gli altri per evitare le
esplosioni di manipura. Il colore è verde e il suo simbolo è la
gazzella. Insieme all’energia anche il simbolo che la rappresenta si
trasforma. La gazzella è un animale tenero e aggraziato, del tutto
inoffensivo, esageratamente timido ed elusivo: un attimo lo vediamo e
l’attimo dopo è saltato via. Salta via con un grande balzo, come se
avesse le ali; tocca appena terra e il minimo alito di vento è
sufficiente ad insospettirla e a farla fuggire. È un animale della
terra ma sembra non avvertire la forza di gravità. Ha già perso una
parte della pesantezza della terra e denota che in anahata esiste un
elemento elusivo, difficile da cogliere. È ciò che il medico definisce
l’elemento psicogeno in una malattia. Il pericolo che corriamo è
quello di agire come una gazzella impazzita e di incominciare a
saltare in ogni direzione. Ma ciò che possiamo conquistare è la forza,
l’efficienza e la leggerezza della sostanza psichica, del pensiero e
del sentimento.

In Vishuddha chakra siamo oltre i quattro elementi necessari alla
sopravvivenza umana: è un nuovo stato, più cosciente. Siamo nel
pensiero astratto. Secondo la filosofia tantrica, che è tanto antica
da perdersi nel buio dell’inizio del genere umano, il quinto chakra è
l’idea della trasformazione della materia grossolana nella materia
sottile: è la sublimazione dell’uomo. Qui superiamo la concezione del
mondo e saliamo nella regione dell’etere. Ora Purusha è il centro
delle cose, è l’essenza psichica, la sostanza delle cose, non una
speculazione mentale ma un’esperienza. Qui comprendiamo che ciò che
non ci piace del nostro nemico è identico a noi e iniziamo a vivere la
vita nella percezione del karma: gli altri sono visti come una
condizione del nostro stato psichico e per empatia tutto diviene una
esperienza soggettiva e personale. Il colore è il blu e il simbolo è
nuovamente l’elefante che al di la’ delle piccole differenze che
presenta rispetto a quello presente in muladhara, è ancora espressione
di forza e la presta alla realtà psichica che non ha evidenza fisica.
Noi, ad esempio, sappiamo che Dio è un concetto che non ha evidenza
fisica e non ha nulla a che vedere con il tempo e lo spazio, ma se si
verifica l’esperienza di Dio allora lo comprendiamo e “possediamo”.
L’astrazione di Dio diviene esperienza non un concetto metafisico.
Questa esperienza appartiene a Vishuddha; l’insormontabile forza della
realtà non è più sostenuta dall’esperienza della materia ma da quella
psichica. Qui raggiungiamo il luogo remoto dell’essere umano e di noi
stessi perché ogni uomo ha almeno una esperienza che è quella maturata
dal genere umano in migliaia e migliaia di anni. Ciò che affrontiamo
noi oggi non immaginiamo nemmeno quante volte è già stato vissuto in
milioni di anni, mentre noi anticipiamo l’esperienza migliaia di anni
a venire che non possediamo ancora.

A questo punto parlare del sesto chakra diviene una sfida. Nel mandala
di questo chakra non esiste nessun animale e questo significa che non
esiste un fattore psichico. Comprendiamo che ogni albero, ogni pietra,
ogni respiro, ogni coda di topo è il nostro SÈ; non esiste niente che
non sia in noi. Il nostro sesto chakra è un raggio di luce catturato e
imprigionato nel mondo. Il distacco dalle passioni è la liberazione da
tamas e rajas, è un’esperienza psichica. Ciò che prima era dolore non
lo è più e si osserva la tensione degli opposti senza agitazione. Non
si diventa apatici ma liberi. È il Buddha che osserva Mara. Troviamo
invece il lingam bianco; una condizione in cui non germina nulla ma
nella piena coscienza. Il Dio che dormiva in muladhara ora è
pienamente manifesto. Ajna chakra è Dio; è espressione piena e
manifesta del non-ego. In questo stato di energia riconosciamo di
essere solo psiche e il non-ego in cui ci annulliamo. Ajna chakra è
oltre ogni soglia. Si può immaginare di essere parola, verbo e
divenirlo veramente; come il Cristo. Si è distaccato da Dio ed è
volato nel mondo visibile, luminoso come una luce. Si raggiunge un
tale distacco che non si calpesta più la terra. È un essere umano che
crea una nuova forma di se stesso.

In sahasrara chakra avviene l’unione di Shakti e Shiva, gli opposti si
uniscono secondo la filosofia tantrica e si realizza il viaggio di
kundalini. È una trascendenza ed è avvicinabile soltanto come concetto
filosofico o come esperienza energetica per la quale non esiste
modalità di approccio ed è oltre ogni immaginabile descrizione perché
comprendiamo che tra il SÈ e Dio non esiste alcuna differenza. Non c’è
più nulla, neanche Dio: solo Brahman. È il samadi, il nirvana.

” I chakra sono simboli del livello della coscienza umana ed io credo
che lo studio di questi simboli dello yoga tantrico può aiutarci nello
studio della psiche umana se lavoriamo unendo differenti mondi.
Lasciatemi dire che lo yoga arriva dall’alto.”

approfondimento e CD:

www.amadeux.net/sublimen/dossier/kundalini.html

www.amadeux.net/sublimen/catalogo/cd-audio.html#KA01

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