CARTESIO
Università Statale di Milano
Nato a La Haye, in Touraine, nel 1596, dopo aver studiato dai gesuiti, nel prestigioso collegio di
La Flèche, e conseguita la licenza in diritto a Poitiers, perde ogni fiducia nello studio della
filosofia tradizionale. Si arruola quindi per conoscere il mondo viaggiando, e per avere più
disponibilità di cadaveri da studiare; per potersi cioè occupare più liberamente di necromanzia e
occultismo.
Sarà l’amicizia col celebre matematico fiammingo Beeckman, d’ispirazione galileiana, a rendergli
avversa la magia rinascimentale e a ravvivargli l’aspirazione, comune a tanti filosofi dell’epoca,
di fondare un sapere sul modello della matematica.
È in questi stessi anni di gioventù (1618-1619), caratterizzati da una vita dedita a tutte le
disordinate passioni tipiche dei militari, che, una notte di esaltato entusiasmo, Descartes ha un
sogno in cui crede gli siano rivelati i fondamenti di una scienza «mirabile».
Abbandonata la vita militare, e sistemata la situazione patrimoniale, si dedica unicamente a
ricerche di fisica, matematica e geometria conseguendo risultati eccezionali tra i quali occorre
ricordare almeno l’elaborazione della geometria analitica.
Dal 1629 lavora ad una grande opera di fisica, Il mondo, o Trattato della luce, che rinuncia
pavidamente a pubblicare essendogli giunta notizia della condanna di Galilei (1633). Anche il suo
libro conteneva infatti l’incriminata dottrina del movimento della terra.
Nel 1637 si decide a pubblicare, a Leida, alcuni risultati della sua ricerca. Nascono così i tre
saggi Diottrica, Meteore e Geometria, ai quali Descartes aggiunge una prefazione intitolata Discorso
sul metodo.
Entrato in rapporti stretti con padre Mersenne (il segretario dell’Europa dotta), lavora alle
Meditazioni sulla filosofia prima intorno all’esistenza di Dio e all’immortalità dell’anima, opera
che prima della pubblicazione invia a Mersenne per permettergli di farla conoscere ai maggiori
filosofi e teologi del tempo e rilevarne le obiezioni. Nel 1641 vengono così pubblicate le
Meditazioni, seguite dalle Obiezioni, e, in appendice, dalle Risposte redatte da Descartes stesso.
Rielabora quindi il suo trattato Il Mondo per pubblicarlo nei Principi di filosofia (1644).
A questo punto la fama di Descartes ha raggiunto le più importanti corti d’Europa. Decisiva è la
corrispondenza che intrattiene con Elisabetta del Palatinato che gli suggersce la pubblicazione, nel
1649 di un trattato di psicologia, Le passioni dell’anima. Quello stesso anno, invitato dalla regina
di Svezia a stabilirsi a corte, giunge nella fredda Stoccolma, dove muore di polmonite nel 1650.
La costruzione di Descartes, regolata dai principi della chiarezza e dell’evidenza e procedente per
deduzione, parte dal dubbio metodico. Dapprima occorre dubitare di tutto il dubitabile. I sensi
c’ingannano e potrebbe persino darsi che le peraltro indubitabili verità matematiche, ci appaiano
vere solo perché un genio maligno e ingannatore, nostro creatore, ci induce a credervi. Esteso a
tale radicalità il dubbio diviene iperbolico.
È tuttavia proprio nella radicalità di questo dubbio che si trova la prima indubitabile verità. Se
dubito (o se il genio m’inganna) allora so per certo che esisto (Ego dubito, cogito, ergo sum), e
che esisto come una cosa dubitante, cioè pensante (res cogitans). Per Descartes, questa certezza del
proprio pensiero fonda il fatto che innanzitutto «Io-sono», fonda cioè la sostanza soggettiva, e,
solo di conseguenza, ogni altra conoscenza.
Oggetto del mio pensare sono delle idee che tuttavia potrebbero anche non aver corrispondenza
esterna ed essere solo sogni, delle allucinazioni da me prodotte. Tra queste idee però, ce n’è una,
quella dell’infinito (o di Dio), che non posso aver causato io che sono finito e mortale. Esiste
dunque un’idea non creata da me: l’idea infinita di Dio. Questa prova dell’esistenza di Dio è
rafforzata dalla tradizionale prova ontologica: l’idea della perfetta infinità non può mancare di
nulla, quindi non le può mancare l’esistenza. Dio esiste.
Ora, questo Dio perfetto non può ingannarmi: tutto ciò che appare chiaro ed evidente non può che
essere vero, ed io ho la garanzia del fondamento della verità delle idee.
Assumendo come fondamento l’io-penso Descartes dà inizio al soggettivismo della filosofia moderna:
la filosofia antica basata sul primato dell’essere, viene sormontata dal pensiero moderno incentrato
sull’individuo umano. Accanto alla cosa pensante (inestesa, consapevole e libera), costitutiva solo
dell’anima umana, Descartes pone una seconda sostanza: l’estensione (res extensa o cosa estesa –
spaziale, inconsapevole e meccanicamente determinata) costitutiva di tutta la materia corporea.
Anche questa seconda sostanza è creata da Dio che le attribuisce una determinata quantità di moto
indistruttibile.
La realtà è così spezzata in un dualismo che, per risolvere il rapporto tra anima e corpo, Descartes
dovrà risolvere con la teoria della ghiandola pineale, la sola parte del cervello che apparendogli
(sotto al bisturi) non essere doppia, potesse essere luogo anatomico del contatto tra le due
sostanze.
Risolvendo il mondo corporeo (e perfino le passioni dell’anima) ad una meccanica determinista,
Descartes concepì l’universo come un’unica macchina messa in moto da Dio.
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