Cervello: dove nasce l’impulso ad aiutare?

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Cervello: dove nasce l’impulso ad aiutare?

La capacità di visualizzare scene di soccorso verso i propri simili motiva le persone a mettere in
atto comportamenti di aiuto verso chi è in difficoltà.

30 LUGLIO 2019 | LETIZIA ALLEVI

L’attitudine ad aiutare qualcuno che si trova in difficoltà ha una precisa collocazione nel
cervello: dipende dal lobo temporale mediale (MTL), un’area che coincide con le tempie e la regione
che circonda l’orecchio. È proprio qui, secondo una ricerca congiunta dell’Università di Albany (NY)
e del Boston College, negli Stati Uniti, che si troverebbe il centro nervoso responsabile della
prosocialità, ossia la tendenza a mettere in atto comportamenti positivi e altruistici senza secondi
fini (senza cercare una qualunque ricompensa).

Da molto tempo i neuroscienziati e gli psicologi si interrogavano su quali fossero i processi e i
circuiti neurali che si attivano quando abbiamo di fronte una persona in difficoltà e decidiamo di
aiutarla. Studi precedenti si erano già focalizzati sull’MTL, che si attiva quando una persona
ricorda episodi passati (memoria episodica) o costruisce e immagina possibili eventi futuri
(simulazione episodica); ma era stata presa in considerazione anche una regione adiacente, la
giunzione temporoparietale destra (RTPJ, da cui – secondo la teoria della mente – dipende la
capacità di comprendere che gli altri hanno stati mentali diversi dai nostri.

Non era però mai stato chiarito del tutto il peso delle due regioni del cervello nei comportamenti
prosociali. Da precedenti ricerche era infatti emerso che pazienti con danni nell’MTL tali da
provocare amnesie, erano incapaci sia di ricordare eventi passati sia di immaginarne di futuri, ed
erano anche restii a mettere in atto comportamenti prosociali.

Per esaminare i ruoli di MTL e RTPJ gli scienziati statunitensi hanno chiesto a un campione di
volontari di leggere online 40 notizie relative a persone in difficoltà, e di rispondere poi a
domande sullo stile degli articoli (un gruppo) oppure di immaginare come avrebbero agito in quella
circostanza prestando aiuto (un altro gruppo), e se ricordavano di aver essi stessi aiutato qualcuno
in passato e in che modo. Durante l’esperimento hanno usato la risonanza magnetica funzionale (fMRI)
per identificare le aree cerebrali che si più si attivano. Entrambe le regioni in esame, è emerso,
si “accendevano” quando i volontari ricordavano un aiuto prestato o descrivevano il loro potenziale
intervento in una determinata circostanza.

Gli schemi neurali della coscienza

Per chiarire poi il ruolo effettivo delle due regioni cerebrali nella prosocialità, gli scienziati
hanno replicato l’esperimento inibendo però l’attività della RTPJ mediante stimolazione magnetica
transcranica (TMS). Il risultato è stato chiaro: con la giunzione temporoparietale fuori gioco ma
con il lobo temporale ancora in servizio, i soggetti cui si chiedeva di ricordare eventi passati e
poi di immaginare un intervento attivo in situazioni di bisogno rispondevano positivamente,
mantenendo invariata l’attitudine alla prosocialità. Dobbiamo dunque ringraziare il lobo temporale
mediale se, grazie alla capacità di riorganizzare ricordi e di immaginare scenari futuri, mettiamo
effettivamente in atto comportamenti altruisti.

da focus.it

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