Cervello e musicoterapia; BrainFactor intervista Livio Bressan
Mercoledì 03 Febbraio 2010 12:25
da brainfactor.it
Michael Posner ha scritto su BrainFactor: “L’idea che l’educazione artistica migliori le abilità
cognitive in realtà non è così ardita, nel contesto di ciò che chiamiamo plasticità cerebrale
attività dipendente”. Facciamo il punto sulla musicoterapia… Quali sono le sue basi
neuroscientifiche? Come e quanto può essere clinicamente efficace? Qual è la sua realtà in Italia?
Lo abbiamo chiesto a Livio Bressan.
Professore a contratto di Neurologia Riabilitativa presso la Scuola di Specialità in Neurologia
dellUniversità di Milano-Bicocca, Livio Bressan è medico plurispecialista in Neuropatologia,
Nefrologia Medica, Medicina Interna. Dirigente Neurologo presso gli istituti Clinici di
Perfezionamento di Milano e consulente presso lIstituto Geriatrico Redaelli di Milano e Vimodrone,
svolge attività clinica e di ricerca nellambito della Riabilitazione delle malattie
Neurodegenerative. E’ Coordinatore del Dipartimento di Neuroscienze presso lIstituto Superiore di
Osteopatia accreditato dallUniversità del Galles. Noto per lideazione di un insieme di tecniche
finalizzate al recupero cognitivo emotivo motorio e sociale dei malati di Alzheimer e Parkinson, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
Livio Bressan è anche appassionato musicista… Diplomato al Conservatorio in Chitarra Classica e
diplomando in Flauto Traverso allAccademia Filarmonica di Bologna, è inoltre iscritto al Corso
Superiore di Composizione presso lAccademia Internazionale della Musica di Milano. Come Docente di
Chitarra Classica ha preparato allievi che, sotto la sua guida, si sono diplomati presso vari
Conservatori di Stato e, in molti casi, hanno vinto prestigiosi premi musicali Nazionali ed
Internazionali. Sue Composizioni sono state eseguite da ensemble di fama internazionale quali il
Quintetto di fiati Arnold, il Trio Reginald e la Brex Contemporain Ensemble.
Dottor Bressan, quali sono le basi neuroscientifiche della musicoterapia? In che modo la musicoterapia può agire sulle funzioni cognitive ed emotive umane?
Lattuale ricerca clinica e neurofisiologica strumentale nellambito della relazione scientifica tra
neuroscienze e musica, sta appassionando tutti coloro che come me cercano di coniugare la
sensibilità artistica alla razionalità scientifica. Secondo una definizione della Federazione
Mondiale di Musicoterapia (WFMT), “la MT è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono,
ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un cliente o un gruppo, in
un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la
motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici, al fine di
soddisfare le sue necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive”. E verosimile che la
Musicoterapia, nellambito di una concezione modulare del Sistema Nervoso Centrale, sia in grado di
agire su circuiti neuronali in grado di stimolare la plasticità neuronale. La musica con la sua
azione sullimprinting maturativo, con la sua azione di piacere facilitante e, a volte, di
regressione riparativa, è capace di promuovere pensiero e comportamento sia in condizioni di salute
che patologiche. Nellambito delle neuroscienze si sta consolidando il principio che linput
sensoriale sia in grado di facilitare, attraverso le strutture del lobo temporale, i processi di
attenzione, osservazione ed apprendimento gestiti dal lobo frontale. In altre parole, stimolazioni
musicoterapiche, fornite attraverso tecniche sempre più standardizzate e validate, si sono
dimostrate in grado di produrre piacere (sia conscio che inconscio) in grado di agire su strutture
anatomiche deputate allattenzione, allapprendimento, al pensiero e al comportamento.
Lei sostiene che la musicoterapia ha buone potenzialità soprattutto in situazioni in cui il
terapeuta non può affidarsi a parametri linguistici e culturali. Ciò può avvenire in contesti molto
diversi tra loro, come il trattamento delle demenze, dello spettro autistico nonché di disturbi più
“comuni” quali ad esempio la depressione. Qual è la sua esperienza con questi pazienti?
Il malato di Alzheimer assieme ad un graduale declino delle funzioni cognitive può presentare una
alterazione della personalità e del comportamento che condizionano la possibilità di continuare a
rivestire ruoli sociali e lavorativi che gli erano stati fino a quel momento propri. In tali
pazienti, perdendosi gradualmente la capacità di comprendere le parole ed esprimersi verbalmente, la
comunicazione non verbale diventa un canale privilegiato nella espressione delle emozioni. Nella mia
esperienza più che ventennale, ho osservato che attraverso lutilizzo di strumenti musicali ed il
movimento corporeo è possibile nel malato di Alzheimer: facilitare una comunicazione basata su un
linguaggio non verbale; contenere i comportamenti disturbanti tramite la condivisione di vissuti emotivi; stimolare le abilità prassiche e gnosiche residue.
Come e quanto la musica, linguaggio emozionale per eccellenza, può varcare i confini psichici di
persone con autismo o psicosi, considerate anaffettive e a-recettive per eccellenza? Quanto la musicoterapia può incidere davvero sulla loro realtà psichica e in che modo?
Anche se a livello professionale e di ricerca mi interesso della applicazione delle terapie
espressive (arte, musica e danza) ai malati di Alzheimer e Parkinson, ho però seguito con
partecipazione ed ammirazione le ricerche di Paul Nordoff e Clive Robbins, pionieri nelluso della
musicoterapica nei bambini con disturbi comunicativi. Dai tempi dei primi progetti di Nordoff e
Robbins (che risalgono allinizio degli anni Sessanta del Novecento), luso della Musicoterapica
nellAutismo infantile ha conosciuto un enorme sviluppo. Tantè che da molti anni esiste anche a
Milano un Centro di Musicoterapica per bambini. In tale Centro ho avuto modo di osservare le
potenzialità della musica nel ridurre lo stress, lagitazione ed i movimenti stereotipati quali il
dondolio, il battito ripetuto ed afinalistico delle mani, etc. Ma ciò che più mi ha colpito è stata
la facilitazione attraverso lesecuzione musicale della relazione interpersonale tra persone autistiche altrimenti inaccessibili col linguaggio verbale.
La musicoterapia ha delle controindicazioni?
n alcuni casi, la musica può indurre crisi epilettiche (epilessia musicogena). Tale fenomeno si può
manifestare in persone con vari livelli di educazione musicale con o senza interesse specifico per
la musica. Lo stimolo efficace è scarsamente specifico. Ovvero, non vi sono elementi rilevanti
comuni a tutti i pazienti… L’epilessia musicogena è comunque una condizione rara. La sua
prevalenza è valutata nell’ordine di un caso su più di un milione di persone, laddove la prevalenza
dell’epilessia in generale è di 6-8 casi per 1.000 persone. Gli attacchi non sono solitamente
causati da ascolti prolungati. In alcuni casi lo stimolo acustico in grado di indurre le crisi
epilettiche è rappresentato da suoni di breve durata in combinazione armonica o melodica (cioè da
incisi o frasi musicali). In altri casi rumori improvvisi o una semplice nota musicale possono
indurre le crisi epilettiche. Comunemente le crisi compaiono con una latenza di minuti dallo
stimolo: sono di tipo focale con possibilità di secondaria generalizzazione. Nella maggior parte dei
casi ad essere coinvolto dalla scarica critica è lemisfero destro con coinvolgimento del lobo
temporale. In particolare, è stato dimostrato che la zona epilettogena interessa la circonvoluzione temporale superiore destra.
Vi sono segnali che possono mettere in “allerta” il musicoterapeuta?
Il musicoterapeuta deve effettuare una approfondita anamnesi, poichè in ogni singolo paziente che ha
presentato una crisi di epilessia musicogena, di solito le crisi sono precipiate da uno specifico tipo di musica o da uno specifico brano musicale.
Recentemente ha detto che “ogni essere vivente ha il proprio suono”, perché la musicoterapia può
incidere sugli universi emozionali affettivi personali, che sono in qualche modo “unici” . Come è
possibile trovare questo suono? In che modo lo si può utilizzare in ambito terapeutico?
Intanto, la scelta dei brani deve prescindere da considerazioni estetiche del tipo musica bella e
piacevole. La musica, piuttosto, deve avere lo scopo di stimolare aree psichiche quiescenti, e
coinvolgere livelli affettivi più complessi. Alcune musiche, più di altre, hanno questi poteri e
sono quelle che colpiscono il mondo degli affetti. Sul piano delle scelte musicali esiste una
letteratura un po confusa perché spesso si sceglie lautore ed il genere di musica senza tenere
conto del tipo di ascoltatore. Ritengo, al contrario, che al centro dei nostri interessi debba
porsi il paziente, altrimenti il rischio è quello di proporre della musica che piace a colui che la
somministra. Solo lanamnesi musicale ci consentirà di capire quale cultura musicale possieda il malato e in quale ambiente sonoro abbia vissuto.
Sono stati individuati generi musicali più adatti agli interventi terapeutici?
Cercherò di proporre alcune possibili risposte… Musica nuova o mai ascoltata? Una musica nuova ci
porta a sviluppare alcune funzioni psichiche fondamentali come lattenzione e una certa aspettativa
che, a loro volta, sono in grado di suscitare emozioni e nuove associazioni. Ascoltando musica mai
ascoltata si può essere rapiti e indotti ad esplorare un pianeta nuovo. Tuttavia, riteniamo che
anche i brani musicali già noti – di cui cioè conosciamo lo sviluppo dei temi musicali – evocando
ricordi legati a specifiche circostanze temporali e spaziali possano farci raggiungere interessanti
obiettivi. Musica classica o altri generi musicali? La maggior parte degli studiosi di terapia
musicale sembra privilegiare la musica classica, attribuendo solo ad essa poteri terapeutici. E
indubbio che vi è stata una maggiore ricerca in questo ambito musicale, verosimilmente perché oltre
a proporre un messaggio ricco ed articolato, questo è anche un genere musicale già ampiamente
collaudato nel corso del tempo e noto al grande pubblico. Percorso terapeutico. Per i nostri scopi
terapeutici abbiamo costruito diversi percorsi sonori, mirati sul singolo paziente, che vengono
modificati settimanalmente e che comprendono brani di musica classica tutti dello stesso Autore.
Tuttavia, il segreto del percorso terapeutico non è tanto riposto nella scelta del tipo di brano
musicale, quanto nella collocazione in logica sequenza dei brani stessi. Ovvero, il problema è il
seguente: una volta individuato il brano di partenza, quali altri brani dobbiamo aggiungere e in
quale ordine per ottenere il risultato che desideriamo? Non esiste una regola precisa.
In quale contesto disciplinare e clinico si colloca “ufficialmente” la musicoterapia?
La musicoterapica si colloca nel contesto delle medicine complementari o non convenzionali,
dette anche impropriamente alternative. Quello delle medicine complementari è un territorio
difficile da definire, in cui si muovono medici ed altri operatori della salute dal curriculum
impeccabile, sia guaritori dalla buona fede non sempre certa, tutti accomunati dal fatto di
applicare terapie generalmente non insegnate nelle facoltà di medicina, né disponibili negli
ospedali. Senza entrare nella polemica (anche troppo appassionata) tra fautori e detrattori di
queste metodiche, le medicine complementari promuovono la cura dell’essere umano attraverso
l’esplorazione d’ogni suo aspetto: fisico, psicologico, emozionale, cognitivo, sociale e spirituale.
L’accento è messo sull’originalità dell’intervento, spesso descritto per la sua globalità con la
parola olistico, dal greco “Olos” che significa tutto, e che non tralascia mai, anzi avvalora, la
sfera delle emozioni e del vissuto soggettivo e psicologico della persona ammalata. In questa
visione, la malattia non nasce esclusivamente da una disfunzione biologica, né s’identifica in modo
riduttivo con un “danno isto-patologico di un tessuto o di un organo”, ma coinvolge tutta la
persona, anche nei suoi aspetti intimi, psicologici e sociali. Una delle più frequenti critiche dei
fautori delle medicine non convenzionali alla prassi medica contemporanea, è la disattenzione al
lato emotivo della malattia; dunque, l’eccessivo impegno nel dimostrare “l’oggettività del dato
osservato”. Secondo questa opinione, leccessiva ricerca di oggettività della medicina scientifica
finirebbe per distogliere l’atto del sanitario dai suoi propositi originari. Al contrario, la
malattia, secondo il punto di vista olistico, dovrebbe essere affrontata con un’assistenza
integrata, rivolta al miglioramento della qualità di vita, dove le procedure sanitarie, prioritarie
per gli aspetti biologici della terapia, possono essere accompagnate da altri interventi non-medici, ma sempre rivolti al raggiungimento del benessere psicofisico della persona.
Qual è lo stato dell’arte della ricerca e dell’utilizzo clinico della musicoterapia in Italia, rispetto agli altri Paesi?
Ritengo che sia più importante preoccuparsi del destino generale delle Terapie Complementari,
piuttosto che dei soli problemi della Musicoterapia, poiché è dal destino delle prime che dipende la
sopravvivenza di questultima. Recenti dati dellOrganizzazione Mondiale della Salute (OMS) indicano
che il 15% degli italiani ricorre alla Medicina Complementare almeno una volta allanno. Negli
U.S.A. e nel resto d’Europa gli interventi di tipo olistico sono maggiormente diffusi e sono
solitamente condotti in piena autonomia da un Operatore esperto in metodologie complementari,
d’intesa con medici, infermieri e altri operatori della salute. Questi interventi, secondo i modi,
le metodologie impiegate e la maggiore o minore diffusione nello stato estero in cui vengono
applicati sono di volta in volta inquadrati come assistenziali, ricreativi, di socializzazione e
anche “ecologici”, poiché tendono, in questo caso, a migliorare la qualità dell’ambiente che ospita
le persone bisognose di cure. Anche la Regione Lombardia da più di un decennio sta dimostrando
grande attenzione ed interesse al fenomeno delle Medicine Complementari. Partendo dal presupposto
che sia eticamente inaccettabile sostenere nuove pratiche terapeutiche, se la loro sicurezza ed
efficacia non è pari almeno a quella di altre terapie disponibili, la Regione Lombardia ha avviato
anche alcuni strumenti metodologici di verifica con il fine di approfondire le conoscenze relative
alle metodiche complementari nellintento di fornire criteri di sicurezza ed efficacia in grado di
tutelare tanto i cittadini quanto gli operatori stessi. In altre parole, sono stati preparati
molteplici protocolli di ricerca presso vari autorevoli istituti di diagnosi e cura con il fine di
integrare i contributi della ricerca nel settore della medicina complementare con quelli della
medicina scientifica. Il fine è quello di raccogliere il maggior numero di contributi
clinico-sperimentali che costituiranno la base su cui verranno innestate ulteriori future iniziative.
Intervista realizzata da Giuseppe de Paoli il 02/02/2010 (C) BRAINFACTOR Cervello e Neuroscienze
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