CERVELLO/MENTE/COSCIENZA (PRINCIPI E MODELLI) 12
tratto da “Enciclopedia olistica”
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
Krishnamurti: coscienza e consapevolezza
A cura di Emanuele De Benedetti
La consapevolezza, nel senso dei mistici illuminati (awareness), attenzione consapevole
(mindfulness), l’osservare (witnessing), è una qualità della coscienza che si è sviluppata
probabilmente nella recente evoluzione dell’uomo. Essa è il picco evolutivo, disponibile ancora solo
ai pochi abbastanza coraggiosi capaci di lasciar cadere ogni identificazione con i propri modelli e
con il proprio “io”.
Stranamente, la consapevolezza, come qualità della coscienza, dovrebbe esserne inclusa, però, per la
sua qualità di specchio riflettente, include tutto, compresa la coscienza. Coscienza e
consapevolezza si distendono così nel tempo come un nastro di Moebius si distende nello spazio. Il
fuori diventa il dentro e il dentro il fuori.
Ma tutto questo non è che un gioco di parole che può divertire solo la mente. La consapevolezza va
al di là della mente, al di là del sé e raggiunge, diventa, “quello che è”, la Verità, il Tutto,
l’Uno. Riportiamo delle citazioni da alcuni discorsi di j. Krishnamurti, un mistico illuminato del
nostro secolo, che ha illustrato con esemplare chiarezza questo strano, inquietante, inafferrabile
“modo” della coscienza.
I brani sono tratti da: “The Flame of Attention”, Krishnamurti Foundation, India 1987; “The Flight
of the Eagle”, Harper & Row, 1973.
L’osservazione non è una sfida, non ti porta all’esperienza di qualcosa. L’osservazione non è
analisi. L’osservazione, senza distorsione, è un vedere con chiarezza, non da alcun punto di vista
personale o ideologico; è osservare in modo da vedere le cose come sono, da vedere sia esternamente
che internamente quello che sta accadendo veramente all’esterno e come viviamo psicologicamente…
Non c’è nessuna divisione tra esteriore e interiore, tra il mondo che abbiamo creato esternamente e
il movimento che avviene internamente, è come una marea che va e viene, è lo stesso movimento… Per
capire questo movimento dobbiamo esaminare insieme la nostra coscienza, chi siamo, perché ci
comportiamo nel modo in cui ci comportiamo, crudeli e senza nessun rapporto gli uni con gli altri…
e vogliamo scoprire se c’è qualche probabilità di cambiamento radicale nella condizione umana e se è
possibile che il conflitto, la lotta, la sofferenza e il dispiacere della nostra vita quotidiana
abbiano una fine… Quindi, prima di tutto, dobbiamo guardare la nostra coscienza, di che cosa è
fatta, qual è il suo contenuto. Dobbiamo chiederci se quel contenuto della coscienza, con cui ci
identifichiamo come individui, sia, di fatto, coscienza individuale, o è forse la coscienza
dell’umanità. Dovunque vai l’uomo soffre, lotta, è ansioso, pieno di incertezze, agonia,
disperazione, depressione, pieno di ogni genere di superstizione religiose prive di senso… quindi
la coscienza che hai identificato con la tua coscienza “individuale” è un’illusione. E’ la coscienza
di tutto il genere umano. Sei il mondo e il mondo è te… Poi avere le tue abilità, tendenze,
idiosincrasie particolari, ma la tua coscienza è la coscienza di ogni altro essere umano. E’ il
risultato di millenni di pensiero…
La coscienza è l’attività del pensiero e il pensiero è diventato così importante nella nostra vita.
Dobbiamo osservare che cosa sia questo processo del pensare che ci ha portato a una così
straordinaria confusione nel mondo… L’accumulazione dell’esperienza, immagazzinata nel cervello
come memoria, è conoscenza e la reazione a quella memoria è il pensiero. Il pensiero è un processo
materiale… Il pensiero è sempre dividente, separante frammentario, e la conoscenza non e mai
completa, su nulla. Il pensiero, sublime o banale, è sempre frammentario, sempre dividente, perché
deriva dalla memoria. Tutte le nostre azioni sono basate sul pensiero e quindi tutte le azioni sono
frammentarie, limitate, incomplete; non possono mai essere olistiche…
L’essenza del contenuto della nostra coscienza è il pensiero. Ci chiediamo se si può spazzare via
quel contenuto della coscienza in modo che ci sia un dimensione totalmente diversa. E solo in quella
dimensione ci può essere creatività, creatività non dipendente dai contenuti della coscienza…
E’ possibile vedere la vita come un tutto? La sofferenza, il piacere, il dolore, l’ansietà, la
solitudine, l’andare in ufficio, l’avere una casa, fare all’amore? Possiamo conservare tutte queste
cose non come attività separate ma come un movimento olistico, un’azione unitaria.?…
E’ possibile osservare la frammentazione e la identificazione con questi frammenti? Osservare, non
correggere, non trascendere, non scappare via o sopprimere, ma osservare. Il problema non è che cosa
fai, perché nel momento in cui cerchi di fare qualcosa agisci partendo da uno dei frammenti e quindi
crei altri frammenti e divisioni. Invece se puoi osservare olisticamente, se puoi osservare
l’intero movimento della vita come un’unità, allora non solo cessa il conflitto, ma da
quell’osservazione nasce un approccio completamente nuovo alla vita…
Chi è quest’entità che porta tutte queste varie parti insieme e le integra? Non è anch’essa un
frammento? Il pensiero stesso è frammentario. Il pensiero non può mai portare a un’osservazione
olistica della vita… Quindi si può osservare l’intero movimento della propria vita frammentaria
con i suoi motivi separati e separanti? Si può osservarlo senza l’osservatore? L’osservatore è il
passato è l’accumulo di memoria. E’ quel passato e quello è tempo. Il passato come memoria è anche
il risultato di frammentazioni precedenti. Quindi si può osservare senza tempo, senza pensiero,
senza ricordi del passato e senza parole? Perché la parola è il passato, la parola non è la cosa. Si
guarda sempre attraverso la parola; attraverso spiegazioni che sono un movimento di parole. Non
abbiamo mai una percezione diretta… L’arte del vedere, dell’ascoltare, dell’osservare, non è una
cosa che si possa coltivare, non è una questione di evoluzione graduale. A meno che la mente umana
non sia interamente, psicologicamente, totalmente libera, non è possibile vedere quello che è vero,
vedere se c’è una realtà non creata dalla paura non modellata dalla società o dalla cultura in cui
viviamo e che non sia una fuga dalla monotonia quotidiana con la sua noia, la sua solitudine, la sua
disperazione…
Non si deve essere consapevoli di sé né introspettivamente né analiticamente ma essere realmente
consapevoli di sé come si è e vedere se è possibile essere interamente liberi da tutte quelle cose
che sembrano annebbiare la mente. Per esplorare questo ci deve essere libertà fin dall’inizio, non
dalla fine… Non si può imparare nulla di sé a meno che non si sia liberi, liberi così da poter
osservare non secondo alcun modello formula o concetto, ma chiaramente non ci deve essere nessuna
immagine che intervenga tra l’osservatore e la cosa osservata…
Si può osservare una cosa così completamente che lo spazio tra l’osservatore e a cosa osservata
sparisca completamente? Quando quello spazio scompare c’è la scomparsa dell’osservatore e rimane
solo la cosa osservata. In quell’osservazione c’è percezione, c’è vedere la cosa con una vitalità
straordinaria: il suo colore, la sua forma, la sua bellezza. Quando non c’è il centro del ‘me’ che
sta osservando, sei in contatto con quello che osservi intimamente… Per guardare devi essere
silenzioso.
Carl Gustav Jung: mappe psichiche
a cura di Mirella Costa
Analizziamo qui una mappa della coscienza di Carl Gustav Jung e in parte da lui commentata: “La
coscienza è per così dire una superficie o una pellicola che si distende su un’ampia area inconscia
di cui non ci è nota l’estensione”.
Un quinto o un terzo o forse anche la metà della nostra vita di uomini trascorre in una condizione
di incoscienza. La nostra prima infanzia è incosciente. Ogni notte sprofondiamo nell’inconscio,
usufruendo di una coscienza più o meno chiara soltanto in certe fasi che stanno fra la veglia e il
sonno.
Dobbiamo ammettere che quando diciamo “Io” non possediamo un criterio assoluto per sapere se abbiamo
o no una completa esperienza di questo “Io”. Può darsi che la nostra percezione dell’Io sia ancora
frammentaria e che nel futuro ci saranno delle persone che sapranno ciò che l’Io significa per
l’uomo in modo molto più completo di quanto facciamo noi attualmente.
La coscienza è, per così dire, una superficie o una pellicola che si distende su un’ampia area
inconscia di cui non ci è nota l’estensione.
Oltre a ciò lo psichismo cosciente è caratterizzato da una certa limitatezza. In un dato momento
esso può accogliere simultaneamente soltanto un numero ristretto di contenuti. In quell’istante
tutto il resto è inconscio e noi riceviamo l’impressione di una sorta di compatta continuità della
sfera cosciente o percepiamo e comprendiamo una generale coerenza soltanto attraverso il succedersi
e l’alternarsi di tali “istantanee” coscienti.
Non possiamo mai cogliere una immagine della totalità perché la nostra coscienza è troppo limitata;
possiamo soltanto osservare lampi di esistenza. E’ sempre come se guardassimo attraverso una fessura
in modo da vedere soltanto un particolare settore, tutto il resto è oscuro e in quel momento noi non
ci rendiamo conto di ciò. L’area dell’inconscio è immensa e non si interrompe mai, mentre l’area
della coscienza è un campo ristretto di visione momentanea e mutevole.
La coscienza è senz’altro il prodotto della percezione e dell’orientamento nel mondo esterno. Essa è
probabilmente localizzata nel cerebrum, che è di origine ectodermica e che fu probabilmente un
organo sensoriale della pelle al tempo dei nostri lontani progenitori. La coscienza, in quanto
deriva da codesta localizzazione nel cervello, conserva quindi probabilmente questo aspetto della
sensazione e dell’orientamento. Non è un caso che gli psicologi francesi e inglesi degli inizi del
XVII e del XVIII secolo abbiano cercato di far derivare la coscienza dalle sensazioni come se essa
consistesse unicamente di dati sensoriali. Ciò si trova espresso nella famosa formula Nihil est in
intellectu quod non fuerit in sensu. Si può osservare qualcosa di simile nelle moderne teorie
psicologiche. Freud per esempio non fa derivare gli elementi consci dai dati sensoriali, bensì
l’inconscio del conscio, il che rappresenta il medesimo punto di vista razionale.
Secondo me la questione va posta in modo capovolto: io direi che la cosa che viene per prima è
ovviamente l’inconscio e la coscienza sorge effettivamente da una condizione inconscia. Nella prima
infanzia agiamo inconsciamente; le funzioni più importanti di una natura istintiva sono inconsce e
la coscienza è più che altro il prodotto dell’inconscio. Questo processo richiede i più violenti
sforzi. Vivere consciamente è faticoso e può condurre allo sfinimento. Lo sviluppo della coscienza è
uno sforzo quasi innaturale. Se si osservano degli uomini primitivi, per esempio, si vedrà che alla
minima provocazione o anche senza alcuna provocazione essi diventano assenti e, per così dire,
scompaiono. Possono stare seduti per ore di seguito, e quando gli si chiede: “Cosa stai facendo? A
cosa pensi?” essi si sentono offesi, perché dicono: “Soltanto un pazzo pensa, ha pensieri nella
testa. Noi non pensiamo”. Se pensano per davvero, lo fanno più che altro con ventre o col cuore.
Alcuni appartenenti a tribù negre sono persuasi che i pensieri risiedano nel ventre: perché essi si
rendono conto soltanto di quei pensieri che recano effettivo disturbo al fegato, agli intestini o
allo stomaco. In altre parole essi sono consci unicamente dei pensieri emotivi. Affetti ed emozioni
sono sempre accompagnati da evidenti innervazioni fisiologiche.
Gli indiani Pueblo mi dissero che tutti gli americani sono pazzi, e naturalmente io rimasi piuttosto
meravigliato e chiesi loro perché. “Ebbene” risposero “essi affermano di pensare con le loro teste.
Nessun uomo normale pensa con la testa. Noi pensiamo col cuore”. Questi uomini si trovano ancora,
per così dire, nell’epoca omerica, allorché il diaframma (Diaphragma, phren = spirito, anima) era la
sede dell’attività psichica. Ciò comporta una localizzazione psichica di natura differente. Il
nostro concetto di coscienza colloca il pensiero nelle nostre teste così magnificate. Gli indiani
Pueblo fanno invece derivare la coscienza dall’intensità del sentimento. Per loro non esistono
pensieri astratti. Poiché gli indiani Pueblo sono adoratori del sole, presentai loro il noto
argomento di sant’Agostino. Spiegai loro che Dio non è il sole ma colui che ha creato il sole. Essi
non potevano accettare ciò in quanto non riescono ad andare al di là delle percezioni dei loro sensi
e dei loro sentimenti. Per questa ragione la coscienza e il pensiero sono, secondo loro, localizzati
nel cuore. Per noi, d’altro lato, le attività psichiche non hanno alcun significato. Riteniamo che
sogni e fantasie siano localizzate “giù in fondo” e perciò vi è chi parla del subsconscio, cioè di
quelle cose che stanno sotto la coscienza.
Il fatto importante riguardo alla coscienza è che nulla può essere conscio senza un lo a cui fare
riferimento’ Se qualcosa non è messo in relazione con l’Io, allora non è conscio. Si può quindi
definire la coscienza come una relazione con l’Io di fatti psichici. Che cos’è questo lo? L’lo è un
stato di tipo-complesso che è innanzitutto costituito da una coscienza generale del proprio corpo e
della propria esistenza, e secondariamente dai dati della propria memoria; si ha una certa idea di
essere stati e si possiede una lunga serie di ricordi. Questi due sono gli elementi costitutivi
fondamentali di ciò che chiamiamo l’Io. Si può quindi indicare l’Io come un complesso di fatti
psichici. Questo complesso possiede un grande potere di attrazione, come se fosse un magnete: attira
taluni contenuti dall’inconscio, cioè da quell’oscuro regno di cui nulla sappiamo; attira anche
impressioni dall’esterno, e quelle parti che entrano in connessione con l’Io diventano consce. Se
ciò non avviene, esse restano inconsce.
La mia idea dell’Io che esso sia una specie di complesso. Naturalmente il nostro Io è il complesso
che prediligiamo, quello a cui siamo più attaccati e affezionati. E’ sempre al centro della nostra
attenzione e dei nostri desideri e rappresenta il punto focale assolutamente indispensabile della
coscienza.
Mappa degli stati di coscienza secondo Fisher
di Gianni Maccarini e Marco Margnelli
Roland Fisher, uno psichiatra e farmacologo di origine svizzera che attualmente vive e lavora negli
Stati Uniti, si è particolarmente interessato agli effetti delle droghe sul sistema nervoso centrale
dell’uomo, ed al problema degli stati di coscienza ad essi connessi. Nel corso dei suoi studi è
riuscito così a gettare le basi di quella che lui stesso definisce “una cartografa dello spazio
interiore”, classificando gli stati di coscienza secondo un criterio originale che a nostro avviso
merita molta attenzione. Già nel ’69 aveva sottoposto agli occhi della comunità scientifica una
prima mappa degli stati di coscienza, il “continnum percezione – allucinazione”, che successivamente
completò aggiungendovi il continuum percezione – meditazione. Sulla classificazione è ritornato
altre volte negli anni seguenti, ma sostanzialmente l’impostazione originaria è stata rispettata.
Prima di esporre il suo pensiero è necessario premettere che esso non è collocabile nel solo ambito
specifico della sperimentazione scientifica, poiché spazia in dimensioni lontane della asetticità da
laboratorio, come quella religiosa e culturale in senso lato.
Fisher, ispirandosi alle teorie che si collocano all’interno del cognitivismo considera il cervello
umano come un elaboratore di informazioni. Questo funziona sui dati in ingresso (input) secondo
programmi predeterminati, con una velocità di elaborazione i cui limiti dipendono dalle
caratteristiche dei materiali di cui è fatto. Le informazioni in arrivo sono costituite da segnali
nervosi che originano dalla periferia corporea e dagli organi di senso ma non tutte giungono alla
corteccia (cioè al sistema centrale) perché la maggior parte di esse è deviata da sistemi di filtro
in sottostazioni sensoriali per produrre riflessi automatici immediati, o per monitorare la
situazione ambienta le o la posizione del corpo nello spazio, ecc. I programmi che presiedono al
funzionamento del cervello elaboratore d’informazioni sono di due tipi: quelli legati alle sue
stesse caratteristiche strutturali e quelli acquisiti all’esterno attraverso il processo culturale
ed educativo.
L’elemento determinante nel modello fisheriano è il concetto di velocità di elaborazione. Infatti
nelle condizioni di veglia ordinaria (che è lo stato di coscienza di riferimento) vi è un equilibrio
ottimale tra la quantità di informazioni che raggiunge il sistema centrale e la velocità elaborativa
di questo: tale stato è considerato come normale. Se aumenta la velocità lo stato di coscienza di
riferimento si modifica progressivamente in una sequenza di altri stati (che Fisher chiama “non
ordinari”) collocati lungo il continnum percezione – allucinazione (definito anche come livello di
attivazione ergotropica). Viceversa, se la velocità diminuisce, la gamma degli stati di coscienza si
distribuisce lungo il continuum percezione – meditazione (definito anche come livello di attivazione
trofotropica). I termini trofotropico ed ergotropico sono presi a prestito dal fisiologo svizzero
Hess che per primo li utilizzò per indicare un insieme di reazioni che caratterizzano attività e
condizioni funzionali dell’organismo mediate dalle due sezioni del sistema nervoso autonomo. La
“risposta trofotropica” viene interpretata da Hess come una risposta di rilassamento mediata dal
parasimpatico e come tale struttura portante di un sistema protettivo dall’overstress; essa viene
contrapposta alla “risposta ergotropica”, che è una reazione di emergenza dell’organismo la quale
utilizza come meccanismo fondamentale un aumento del metabolismo ossidativo e l’utilizzazione di
energia.
Fisher correla gli stati di coscienza ai livelli di attivazione del sistema parasimpatico ed
ortosimpatico.
Alla base di tale concettualizzazione stanno indubbiamente i risultati sperimentali di Moruzzi e
Magoun che già nel ’49 avevano individuato 1’attività generalizzata reticolare come responsabile
dello stato di veglia. Però bisogna riconoscere che l’operazione compiuta da Fisher è alquanto
rischiosa perché conduce a conclusioni affrettatamente forzate. Il problema del rapporto tra
attività del sistema vegetativo ed attività corticale è ancora aperto: basti pensare al fatto che le
relazioni tra ipotalamo e stati di coscienza sono ancora tutte da sondare sperimentalmente. Tuttavia
il modello di Fisher ci è sembrato, per il momento, uno tra quelli più sistematici ed interessanti
prodotti nel campo dell’indagine sugli stati di coscienza.
Per sostenere la sua tesi Fisher non esita a ricorrere anche ad argomentazioni che sfociano nella
speculazione filosofica: “Usando il termine attivazione desideriamo enfatizzare l’unità di una
persona, poiché attivazione riguarda sia l’attivazione fisiologica che psicologica e quindi si
riferisce alla stessa comune funzione”, “Non esistono corpo e mente separati da studiare, è
piuttosto il settore d’interesse e di competenza tecnica specialistica del ricercatore che determina
se l’attivazione sia da ricondurre all’aspetto somatico o all’aspetto psicologico dell’indagine”.
Indubbiamente la correlazione tra attivazione neurovegetativa ed attività corticale si dimostra
particolarmente utile sul piano semiologico perché permette di individuare e valutare gli stati di
coscienza con una certa precisione.
Se consideriamo il continuum nel suo asse centrale (veglia ordinaria) e nei suoi due punti estremi
(stati mistici), tutti gli altri stati di coscienza si collocano negli stadi intermedi. Dalla
registrazione quantitativa e numerica di vari parametri indicativi del supposto livello di
attivazione orto-parasimpatica relativa a svariate funzioni (attività elettrica corticale,
dilatazione pupillare, frequenza cardiaca, sudorazione, sensibilità al gusto, ecc.) si può risalire,
secondo Fisher, allo stato di coscienza sovrastante. L’elemento determinante per il passaggio di uno
stato di coscienza all’altro è la velocità di elaborazione del cervello. Partendo dalla condizione
base di riferimento, cioè l’universo della normale routine quotidiana (parafrasando Fisher), uno
stato normofrenico della mente, caratterizzato da un “Ego” di tipo freudiano concepito come coerente
organizzazione dei processi mentali che controlla la scarica dell’eccitazione verso l’esterno e
riferendosi alla parte sinistra del continuum (vedi flgura 3) si incontra, la (“sensiblità”), uno
stato di coscienza al quale il soggetto perviene se aumenta il volume dell’input informativo. Egli
si troverà in una situazione di maggiore attenzione (e quindi di maggiore sensibilità) all’ambiente
perché da questo gli giungono più dati rispetto a prima che dovrà prontamente analizzare.
Il secondo stadio che si incontra è la “creatività”: essa incrementa ancora il flusso informativo e
di conseguenza si velocizza ulteriormente il processo elaborativo. Tra questo stadio e quello
successivo si può collocare la fase REM del sonno con sogni. Nel terzo stadio:”ansietà”, ormai il
sistema lavora al massimo delle sue possibilità; si tratta di una situazione di iperattivazione
psichica e che tende a sfuggire al controllo cosciente ed è vissuta soggettivamente in termini
sgradevoli. Gli episodi schizofrenici acuti “stati iperfrenici acuti”, vengono immediatamente dopo,
come stati di coscienza in cui il flusso di informazioni è elevatissimo al punto da congestionare il
sistema centrale di analisi che risulta dunque impossibilitato ad elaborare ordinatamente. Lo stadio
successivo della “catalessi” è caratterizzato ormai dal blocco funzionale del sistema che non è più
in grado di analizzare. Secondo Fisher questi ultimi stati di iperattivazione possono svilupparsi
naturalmente ma anche essere indotti sperimentalmente. Infatti “Quantità crescenti di droghe
allucinogene, psilocibina, LSD e mescalina possono indurre un’eccitazione centrale e spingere un
soggetto attraverso gli stati ansiosi, creativi e iperfrenici”.
I “rapimenti mistici” costituiscono l’ultimo stadio sul versante sinistro; si tratta di stati nei
quali la corteccia non riceve più flussi informativi dall’esterrno (come già nel precedente stadio
catalettico) ma ora ha riacquistato l’efficienza funzionale. Però, poiché non dispone più di dati da
elaborare, il sistema centrale analizza se stesso o meglio analizza i suoi stessi programmi
(traducendo il concetto nel linguaggio filosofico si può dire che la coscienza diventa cosciente di
se stessa). Secondo Fisher il pensiero umano ha una struttura dicotomica: vi è un soggetto che pensa
ed un oggetto che è pensato; in termini neurofisiologici il soggetto è la corteccia e l’oggetto è il
prodotto dell’attività sottocorticale. Le interpretazioni delle informazioni sensoriali in ingresso
di fatto non sono che le interpretazioni che la corteccia dà del prodotto dell’attività
sottocorticale; se dall’esterno non giunge nessun dato (come nel caso dei “rapimenti mistici”), la
corteccia elabo rerà il flusso informativo in arrivo dai centri sottocorticali senza
contemporaneamente controllare la realtà esterna per verificare l’origine dell’input finendo così
per interpretare in modo allucinatorio come “reali anche stimoli che non lo sono. I rapimenti
mistici sarebbero dunque uno stato di coscienza caratterizzato da un massimo risveglio mentale che
corrisponde ad uno stato di massimo risveglio ergotropico.
E’ da notare che il “viaggio” (per usare una terminologia cara a Fisher) lungo il continnum
percezione – allucinazione è contrassegnato, sul piano puramente semiotico, da una modificazione
quantitativa dei valori di diversi parametri presi in considerazione (aumento progressivo del tono
muscolare, diminuzione della resistenza elettrocutanea, midriasi, ipertermia, piloerezione,
iperglicemia, tachicardia, aumento della sensibilità ai minimi stimoli e sua diminuzione a quelli
forti).
L’incremento dell’attività trofotropica dà invece luogo ad una serie di stati di coscienza (alcuni
dei quali sono stati aggiunti in un secondo momento sull’originario modello) allineati sul versante
destro: il continuum percezione – meditazione; partendo dalla normale condizione di riferimento si
assiste ad una graduale successione di esperienze meditative appartenenti alla mistica estremo –
orientale contraddistinte da un sempre maggiore livello di ipoattivazione (zazen, dharna; dhyan,
savichar samadhi, nivicharsamadhi). Tra lo stadio occupato dalla meditazione zazen e lo stato di
coscienza successivo è collocabile la fase delta del sonno. La strada che lungo il continuum conduce
al samadhi utilizza tecniche di graduale spegnimento dei contatti con l’esterno e di conseguente
ripiegamento interiore col risultato di ridurre 1’ingresso sensoriale nel sistema centrale
dell’elaboratore che riduce la sua velocità di analisi fino alla sua totale abolizione.
Quando nel samadhi (stadio di massimo risveglio trofotropico) l’isolamento sensoriale completo è
ottenuto, il cervello viene a trovarsi in condizioni simili a quelle che derivano dalla mancanza di
input descritta sul versante sinistro dello schema a proposito dei “rapimenti mistici”. Così questi
ultimi ed il samadhi sono stati di coscienza che ~ possono trasformarsi l’uno nell’altro (senza
dover ripercorrere a ritroso le tappe dei due continua) dando luogo ad esperienze mentali
indistinguibili fra loro. Tali esperienze mentali sono appunto conosciute nella tradizione mistica
come contraddistinte dalla comune caratteristica della “ineffabilità” del contenuto. Gli stadi
meditativi sono accompagnati, sul piano semiotico, da un graduale decremento del tono muscolare, da
una condizione ipometabolica di consumo di ossigeno, da un aumento della resistenza elettrocutanea,
dalla riduzione della produzione di sudore e di acido lattico.
Il “Sé” collocato da Fisher nell’asse della parte inferiore del diagramma circolare è la
destinazione di entrambi i “viaggi” lungo i due versanti dei continua una destinazione che può
essere soltanto avvicinata ma non raggiunta perché “Essendo soggettivi il conoscere ed il vedere, il
‘Sé’ può non essere pienamente conosciuto e visto”‘.
Occorrono alcune precisazioni. La prima: poiché gli stati di coscienza sono allineati su un
continuum, secondo Fisher ognuno di essi contiene elementi di quello che lo precede e di quello che
lo segue e la transizione da uno stato a quello successivo deve avvenire passando attraverso gli
stati intermedi ad eccezione dei rapimenti mistici e del samadhi ai quali si può giungere
repentinamente senza mediazione. La seconda; il passaggio da uno stato di coscienza all’altro è
accompagnato dall’oblio dell’esperienza vissuta. La terza ed ultima: Fisher ha intenzionalmente
evitato di utilizzare termini presi a prestito dalla nosografia psicopatologica. La spiegazione ce
la fornisce lui stesso: “è perfettamente normale essere iperfrenico ed alla fine anche estatico in
risposta a livelli aumentati di iperrisveglio: Soltanto quando un soggetto si stabilizza in un
particolare stato (incluso quello normale) può essere considerato un malato”.
Il bisogno di una visione organismica
Un esperimento collettivo sulla visione olistica o frammentata
di Martha Crampton
a cura di Luciano Marchino
La necessità di credere che l’universo sia spiegabile secondo un processo che segue delle leggi,
sembra essere un bisogno fondamentale degli esseri umani. Senza di questo ci sentiamo persi,
disperati, e deprivati di qualche cosa di essenziale all’esperienza del valore e del significato
nelle nostre vite.
La scoperta di questo è avvenuta in modo drammatico in un workshop che conducevo. Avevo dato
istruzioni al gruppo di provare a visualizzare un mondo in cui l’universo venisse visto come
arbitrario, come mancanza di ordine e propositi.
Ad un certo punto chiesi loro di immaginare come sarebbe stato vivere in un mondo simile, e di
osservare gli effetti di questa visione del mondo sui loro pensieri, sentimenti e comportamento. Le
reazioni del gruppo andarono dall’apatia e depressione alla rabbia e alla ricerca di stimolazioni
piacevoli. In un sottogruppo, queste ultime presero persino forma di un deliberato pianificare
assassini e saccheggi, giusto per il brivido di farlo. La loro violenza sembrava esprimere un
profondo senso di rabbia e frustrazione per la perdita di significato della vita, il desiderio di
esprimere il dolore per questo, e l’indifferenza alla vita in un mondo senza valori umani. Ecco come
si espresse una persona: “Se non c’è ordine nell’universo, allora niente ha importanza. Così perché
non uccidere?”.
Credo che il sentiero che noi come specie sceglieremo al bivio, confrontandoci con noi stessi oggi,
sarà in gran parte deciso dalla nostra comprensione del che cosa l’ordine cosmico sia. Come
specificavano i nostri postulati, noi stiamo ipotizzando che questo sia un ordine organismico
vivente, non l’ordine “morto” di un sistema meccanico.
L’effetto Janus
Come puntualizzano i nostri postulati, ogni entità organismica è contemporaneamente un “tutto” e una
“parte”.
Al completamento dell’organismo è necessaria l’espressione di entrambi. Questa complementarietà è
stata chiamata “effetto Janus” da Arthur Koestler usando il nome del dio Romano che aveva due facce
rivolte in direzioni opposte. Quando le entità vengono considerate intere, sono come la faccia che
guarda “verso il basso” nel sistema gerarchico, cioè sono entità assertive che organizzano le
proprie parti costituenti e hanno autonomia nel proprio dominio.
Quando viste come “parti” sono come la faccia che guarda “verso l’alto” nella gerarchia – cioè a
turno diventano sottoinsiemi in un grande Tutto. Koestler ha coniato il termine “olone” per
riferirsi alle entità “dal volto di Janus” che comprendono un ordine gerarchico. Lui vede questa
gerarchia come “una caratteristica universale di vita”. Quando l’effetto Janus è applicato allo
sviluppo umano, dobbiamo considerare l’organismo umano come una gerarchia di “oloni” che usano il
loro “regnant nexus” a differenti livelli nel processo di sviluppo. L’olone con cui avremo a che
fare principalmente in questo saggio è quello della personalità integrata, che è governata da un
Centro Creativo chiamato in psicosintesi l'”Io”. La personalità stessa è costituita da tre
sotto-oloni principali: un corpo fisico, un “corpo” mentale concreto e un `’corpo” emozionale.
Questi sotto-sistemi della personalità (qualche volta nella filosofia Orientale chiamati “veicoli” o
“guaine”) hanno vari livelli di organizzazione tra di loro. Perciò il corpo fisico è costituito da
sistemi, organi, tessuti, cellule, molecole, atomi, particelle sotto-atomiche, ecc.
Attraverso gli eoni di evoluzione che divide con la specie animale, l’olone fisico ha raggiunto un
meraviglioso grado di sintesi creativa. Se non fosse per il disordine nei nostri veicoli quello
emozionale e quello mentale, il corpo fisico funzionerebbe senza intoppi. Un compito evolutivo
importante che ora ci si presenta è l’integrazione dei nostri “corpi” mentale ed emozionale e fisico
così che possano funzionare come una totalità in armonia.
Questo significa che per noi sarà necessario imparare molto di più riguardo ai sottosistemi interni
a questi corpi e riguardo ai metodi per la loro integrazione.
L”‘Io” come Centro Creativo della personalità, ha il compito di sviluppare coordinare, e armonizzare
i tre veicoli della personalità per formarne una integrata, che finalmente per diritto diventi un
olone organismico.
fine
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