Che cosa dice veramente sulla realtà la teoria quantistica?

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Che cosa dice veramente sulla realtà la teoria quantistica?

14 settembre 2018

A quasi un secolo dalla formulazione della teoria quantistica, fisici e filosofi non sanno ancora
dare una risposta a questa domanda. Ma si continuano a condurre esperimenti per capire qualcosa di
più sulle sue leggi spesso paradossali e sul confine tra il mondo microscopico e quello macroscopico

di Anil Ananthaswamy/Scientific American

Per essere una dimostrazione in grado di ribaltare le grandi idee di Isaac Newton sulla natura della
luce, era incredibilmente semplice. “Può essere ripetuto con grande facilità, ovunque splenda il
Sole”, disse il fisico inglese Thomas Young ai membri della Royal Society di Londra nel novembre del
1803, descrivendo l’esperimento oggi noto come esperimento della doppia fenditura.

Young non era melodrammatico. Aveva ideato un esperimento elegante e relativamente semplice per
mostrare la natura ondulatoria della luce, e così facendo aveva confutato la teoria di Newton che la
luce fosse fatta di corpuscoli, o particelle.

Ma la nascita della fisica quantistica nei primi anni del 1900 chiarì che la luce è composta da
unità minuscole, indivisibili, o quanti, di energia, che noi chiamiamo fotoni.

L’esperimento di Young, quando viene effettuato con singoli fotoni o anche singole particelle di
materia, come elettroni e neutroni, è un enigma su cui riflettere, poiché solleva domande
fondamentali sulla natura stessa della realtà. Alcuni l’hanno perfino usato per sostenere che il
mondo quantistico è influenzato dalla coscienza umana, dando alle nostre menti un ruolo e una
collocazione nell’ontologia dell’universo. Ma quel semplice esperimento fa davvero una cosa del
genere?

Nella moderna forma quantistica, l’esperimento di Young consiste nell’inviare singole particelle di
luce o materia verso due fessure o aperture praticate in una barriera per il resto opaca. Dall’altro
lato della barriera c’è uno schermo che registra l’arrivo delle particelle (per esempio, una lastra
fotografica nel caso dei fotoni).

Il buon senso porta ad aspettarci che i fotoni passino attraverso una o l’altra delle fenditure,
accumulandosi dietro ciascuna di esse.

Invece non lo fanno. Al contrario, vanno verso alcune parti dello schermo e ne evitano altre,
creando bande alternate di luce e di buio. Queste cosiddette frange di interferenza sono del tipo
che si ottiene quando due insiemi di onde si sovrappongono. Quando le creste di un’onda si allineano
con le creste di un’altra, si ottiene un’interferenza costruttiva (bande luminose), e quando si
allineano con gli avvallamenti si ottiene un’interferenza distruttiva (buio).

Ma c’è solo un fotone che attraversa l’apparecchiatura in ogni dato momento. È come se il fotone
stesse attraversando entrambe le fessure contemporaneamente, interferendo con se stesso. E questo
non ha senso nella fisica classica.

Dal punto di vista matematico, tuttavia, ciò che attraversa entrambe le fessure non è una particella
fisica o un’onda fisica, ma una cosa chiamata funzione d’onda, una funzione matematica astratta che
rappresenta lo stato del fotone (in questo caso la sua posizione).

La funzione d’onda si comporta come un’onda che investe le due fenditure; nuove onde generate da
ogni fenditura sul lato opposto si propagano e alla fine interferiscono l’una con l’altra. La
funzione d’onda combinata può essere usata per calcolare le probabilità di dove potrebbe trovarsi il
fotone.

Il fotone ha un’alta probabilità di trovarsi dove le due funzioni d’onda interferiscono
costruttivamente e una bassa probabilità di trovarsi in regioni d’interferenza distruttiva. Si dice
che la misurazione – questo caso l’interazione della funzione d’onda con la lastra fotografica – fa
“collassare” la funzione d’onda, che passa dall’essere diffusa prima della misurazione all’essere
concentrata in uno dei punti in cui il fotone si materializza dopo la misurazione.

Questo apparente collasso indotto dalla misurazione della funzione d’onda è la fonte di molte
difficoltà concettuali nella meccanica quantistica. Prima del collasso, non c’è modo di dire con
certezza dove inciderà il fotone: potrà apparire in uno qualsiasi dei punti di probabilità diversa
da zero. Non c’è modo di seguire la traiettoria del fotone dalla sorgente al rivelatore. Il fotone
non è reale nel senso in cui è reale un aereo che vola da San Francisco a New York.

Werner Heisenberg, tra gli altri, interpretò questa matematica sostenendo che la realtà non esiste
fino a che non viene osservata. “L’idea di un mondo reale oggettivo le cui parti più piccole
esistono oggettivamente nello stesso senso in cui esistono le pietre o gli alberi, indipendentemente
dal fatto che le osserviamo o meno … è impossibile”, ha scritto.

Anche John Wheeler ha usato una variante dell’esperimento della doppia fenditura per sostenere che
“nessun fenomeno quantistico elementare è un fenomeno fino a quando non si tratta di un fenomeno
registrato (“osservato”, “registrato in modo indelebile”)”.

Ma la teoria quantistica non è del tutto chiara su che cosa costituisca una “misurazione”. Postula
che il dispositivo di misurazione debba essere classico, senza definire dove sia il confine tra
classico e quantistico, lasciando così la porta aperta a chi pensa che per il collasso debba essere
invocata la coscienza umana.

Lo scorso maggio, Henry Stapp e colleghi hanno sostenuto che l’esperimento della doppia fenditura e
le sue varianti moderne forniscono la prova che “un osservatore consapevole potrebbe essere
indispensabile” per dare un senso al regno quantistico e che una mente transpersonale è alla base
del mondo materiale.

Ma quegli esperimenti non costituiscono una prova empirica di tali affermazioni. Nell’esperimento
della doppia fenditura con singoli fotoni, tutto ciò che si può fare è verificare le previsioni
probabilistiche della matematica. Se le probabilità sono confermate nel corso dell’invio di decine
di migliaia di fotoni identici attraverso la doppia fenditura, la teoria afferma che la funzione
d’onda di ciascun fotone è collassata, grazie a un processo mal definito chiamato misurazione. È
tutto.

Ci sono anche altri modi d’interpretare l’esperimento della doppia fenditura.

Per esempio, la teoria di de Broglie-Bohm afferma che la realtà è sia ondulatoria sia particellare.
Un fotone si dirige verso la doppia fenditura con una posizione definita in ogni momento e
attraversa una fenditura o l’altra; quindi ogni fotone ha una traiettoria. Il fotone sta
“cavalcando” un’onda pilota, che attraversa entrambe le fenditure e produce l’interferenza: viene
quindi guidato in una posizione d’interferenza costruttiva.

Nel 1979, Chris Dewdney e colleghi del Birkbeck College di Londra simularono la previsione della
teoria per le traiettorie di particelle che attraversavano la doppia fenditura.

Nell’ultimo decennio, i fisici sperimentali hanno verificato che tali traiettorie esistono, anche se
hanno utilizzato una tecnica controversa chiamata misurazione debole. Nonostante le controversie,
gli esperimenti mostrano che la teoria di de Broglie-Bohm è ancora in corsa come spiegazione del
comportamento del mondo quantistico. Cruciale il fatto che la teoria non ha bisogno di osservatori
né di misurazioni né di una coscienza non-materiale.

E nemmeno ne hanno bisogno le cosiddette teorie del collasso, che sostengono che le funzioni d’onda
collassano in modo casuale: quanto più è elevato il numero di particelle nel sistema quantistico,
tanto più è probabile il collasso. Gli osservatori si limitano a scoprire il risultato.

Il gruppo di Markus Arndt dell’Università di Vienna, in Austria, ha testato queste teorie inviando
molecole sempre più grandi attraverso la doppia fenditura.

Le teorie del collasso prevedono che, quando hanno masse che superano una certa soglia, le
particelle di materia non possano rimanere in una sovrapposizione quantistica e così attraversare
entrambe le fenditure contemporaneamente: ciò distruggerà la figura d’interferenza. Il gruppo di
Arndt ha inviato una molecola con oltre 800 atomi attraverso la doppia fenditura e ha continuato a
vedere interferenze. La ricerca della soglia continua.

Roger Penrose ha una sua versione di una teoria del collasso, nella quale quanto più è massiccio
l’oggetto in sovrapposizione, tanto più velocemente collasserà in uno stato o nell’altro, a causa
delle instabilità gravitazionali. Ancora una volta, si tratta di una teoria indipendente
dall’osservatore. Non è necessaria alcuna consapevolezza. Dirk Bouwmeester dell’Università della
California a Santa Barbara, sta testando l’idea di Penrose con una versione dell’esperimento a
doppia fenditura.

Concettualmente, l’idea è non solo di mettere un fotone in una sovrapposizione di stati in modo che
passi attraverso due fenditure contemporaneamente, ma anche di porre una delle fenditure in una
sovrapposizione di due posizioni contemporanee.

Secondo Penrose, la fessura dislocata rimarrà in sovrapposizione o collasserà mentre il fotone è in
volo, portando a diversi tipi di schemi di interferenza. Il collasso dipenderà dalla massa delle
fenditure. Bouwmeester ha lavorato a questo esperimento per un decennio e potrebbe presto essere in
grado di verificare o confutare le affermazioni di Penrose.

Se non altro, questi esperimenti stanno dimostrando che non possiamo ancora fare affermazioni sulla
natura della realtà, anche se sono ben motivate matematicamente o filosoficamente. E dato che
neuroscienziati e filosofi della mente non sono d’accordo sulla natura della coscienza, affermare
che essa fa collassare le funzioni d’onda è prematuro, nella migliore delle ipotesi, e fuorviante e
scorretto nel peggiore dei casi.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su www.scientificamerican.com il 3 sttembre 2018.
Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)
blogs.scientificamerican.com/observations/what-does-quantum-theory-actually-tell-us-about-re
ality/

blogs.scientificamerican.com/observations/coming-to-grips-with-the-implications-of-quantum-m
echanics/

advances.sciencemag.org/content/3/8/e1602478

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