Che cos’e’ la balbuzie e come si cura

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Che cos’e’ la balbuzie e come si cura

La balbuzie è la più diffusa alterazione complessa del flusso verbale. Nella maggioranza dei casi ha
cause genetiche e guarisce spontaneamente.

21 marzo 2024 – Focus

Che cos’è la balbuzie e come si cura

La balbuzie è caratterizzata da involontarie interruzioni nel fluire del discorso che costringono a
ripetere o allungare suoni, sillabe o parole. Fra i 2 e i 6 anni di età, cioè negli anni
dell’infanzia dedicati all’apprendimento del linguaggio, il disturbo è molto diffuso: affligge un
bimbo su 20. I maschi hanno un rischio maggiore di contrarlo e di continuare a balbettare fino
all’età adulta. La balbuzie può rendere difficile la comunicazione con gli altri, e spesso danneggia
la qualità della vita del balbuziente.

A volte, lo sforzo di parlare può provocare contrazione dei muscoli del viso, o far comparire tic
come un rapido batter di ciglia o tremori delle labbra. Ma c’è una buona notizia: fra gli adulti
questo disturbo è abbastanza raro, colpisce circa un individuo su 100 e questo significa che in
quattro casi su 5 si risolve da solo, o con l’aiuto del logopedista. È vero, non siamo in grado di
predire chi conquisterà un eloquio fluente, ma sappiamo che la balbuzie è legata alle circostanze:
parlare a una platea o al telefono può aggravarla, mentre cantare, cantilenare e leggere o parlare
in un ambiente rumoroso che impedisce di udire la propria voce sembra ridurre le difficoltà. terapie
storiche.

Nel film Il discorso del re del 2010 (sulla storia di re Giorgio VI) si attribuisce la balbuzie a
cause psicologiche, oggi molto ridimensionate. Ma nella storia della balbuzie non mancano le teorie
strampalate.

Balbuzienti famosi

Secondo l’Esodo della Bibbia, anche Mosè era balbuziente, tanto che Dio gli suggerisce di avvalersi
del primo portavoce della storia, il fratello Aronne (escamotage ancora in voga al giorno d’oggi per
molti balbuzienti).

Era balbuziente Cicerone, oratore latino che a sua volta definisce Demostene, oratore greco, balbus
(balbuziente). Di quest’ultimo, il filosofo greco Plutarco narra però la guarigione grazie agli
esercizi consigliati dall’attore Satiro. Non conosciamo faraoni balbuzienti, ma gli antichi egizi
avevano un geroglifico che descriveva la sillaba o la parola ripetuta due volte. Balbettavano il
filosofo Aristotele, il poeta Virgilio, il favolista Esopo, Giulio Cesare e l’imperatore Claudio.

Tra gli scienziati spicca Isaac Newton e tra gli scrittori Alessandro Manzoni. In Inghilterra,
all’epoca dell’ultima guerra, tartagliavano sia il primo ministro, Winston Churchill, sia il re
Giorgio VI, come narrato nel film Il discorso del re. Più di recente, Marilyn Monroe per combattere
la sua balbuzie rese la sua parlata sensuale, aspirando quelle insidiose parole. E il presidente
degli Stati Uniti, Joe Biden.

C’è poi Porky Pig, il maialino dei Looney Toones: chi ha creato il personaggio, conosce bene la
mente di un balbuziente. “Sono le sei e quarantacin, le sei e quarantacin, le sei e quarantacin… le
sette meno un quarto”, dice Porky Pig mettendo in pratica una classica manovra elusiva dei
balbuzienti.

Infine anche Cartesio era balbuziente. Strano che proprio a lui sia sfuggito che cogito ergo sum,
privato di loquor, sia un grosso problema.

VECCHIE TEORIE E NUOVE CERTEZZE. Nel II secolo, Galeno l’attribuiva alla secchezza della lingua, e
per risolverla proponeva uno straccio imbevuto di succo di lattuga attorno a essa. Per Bacone,
invece, tra XVI e XVII secolo, la causa era la rigidezza della lingua e per scioglierla consigliava…
il vino. Nel periodo vittoriano non si andava per il sottile: si ricorreva al bisturi. E nel XX
secolo si diede la colpa a negligenze genitoriali e/o a desideri insoddisfatti durante la fase in
cui i bimbi mettono tutto in bocca: in entrambe le ipotesi, la soluzione era sul lettino dello
psicanalista.

Finché pochi anni fa Luc De Nil, dell’Università di Toronto, studiando il cervello dei balbuzienti
attraverso la diagnostica per immagini, cioè con la Pet (tomografia a emissione di positroni) e la
fMRI (risonanza magnetica funzionale), documentò che nel cervello dei balbuzienti certe aree dove si
produce il linguaggio sono più attive del normale, mentre altre aree dove invece si percepiscono i
suoni lo sono meno.

Nel 2011, a una riunione dell’Associazione americana per il progresso delle scienze, De Nil affermò:
«A chi balbetta risulta difficile compiere tutti i movimenti che servono a produrre un linguaggio
fluente. Non fatica a sviluppare vocaboli o sintassi, anche se forse elabora il linguaggio in modo
diverso. Ha difficoltà però a coordinare in modo efficiente il movimento (della lingua, dell’ugola,
delle labbra ecc., vedi infografica della prossima pagina); il linguaggio richiede il controllo fine
di abilità motorie in modo estremamente veloce e sincronizzato».

Chi non ha disturbi del linguaggio la fa facile, ma parlare è faccenda assai complessa. Oltre alla
precisione dei movimenti, serve la coordinazione precisa di varie aree cerebrali; non solo quelle
del linguaggio, ma anche dell’udito, della pianificazione, delle emozioni e della respirazione.

Abbiamo chiesto alla geologa Laura Gulia, che soffre di balbuzie e per Focus ha scritto un articolo
in cui racconta la sua esperienza di balbuziente (vedi sopra), di intervistare la sua tutor, Anna
Toraldo, psicologa per il Centro Medico Vivavoce di Milano, che le ha permesso di superare questo
disturbo in età avanzata. «La balbuzie è molto di più rispetto al solo disturbo linguistico o a una
difficoltà esclusivamente di natura psico-emotiva» spiega Toraldo, «è un fenomeno cognitivo
complesso, che impatta su più sfere della persona, toccando aspetti motori, verbali, emotivi e anche
comportamentali. Sul piano verbale la balbuzie può manifestarsi non solo con il classico
tartagliare, il prolungamento del suono, il blocco nella voce, di cui ci si può accorgere
facilmente, ma anche con l’utilizzo di sinonimi, intercalari, giri di parole per esprimere un
concetto immediato, così come pause durante le quali prendere tempo e fingere di pensare a cosa
dire».

Esistono altri “sintomi” nascosti?

Oltre alle manifestazioni verbali c’è anche un aspetto che proprio non si vede della balbuzie,
ovvero le manifestazioni non verbali e, in particolare, le “non azioni” cioè il sottrarsi dal fare
qualcosa. Chi balbetta spesso decide di non andare al bar a bere il caffè perché implicherebbe
ordinarlo davanti al cameriere – rischiando di bloccarsi o rimanere in silenzio – o di non tendere
la mano ad uno sconosciuto perché implicherebbe dirgli il proprio nome che inizia magari proprio con
quella lettera ostica da pronunciare; di non iscriversi all’università perché implicherebbe
sostenere esami orali e discutere in pubblico la tesi di laurea.

La balbuzie, infatti, può arrivare a coinvolgere l’intera vita di una persona arrivando a
condizionarne le scelte, i pensieri, le emozioni e i comportamenti: spesso chi balbetta tende a
procrastinare, rinunciare o delegare in determinati contesti di vita per paura di essere giudicato
per il modo in cui parla.

Cosa accade nel cervello di un balbuziente?

Spesso si pensa, erroneamente, che la balbuzie dipenda dall’ansia, e che colpisca le persone più
introverse, ansiose ed emotive. Fattori quali ansia e stress possono sicuramente andare ad incidere
sulla balbuzie, in quanto possono aggravarne le manifestazioni, ma non possono essere considerati la
causa di questa fatica, altrimenti tutti balbetteremmo in ogni situazione di stress.

In realtà per comprendere davvero ed intervenire su questa fatica dobbiamo andare più in profondità,
a livello neurologico, in quanto la balbuzie coinvolge aspetti sensoriali e motori legati alla
programmazione e alla produzione del linguaggio ed è correlata a specifiche attivazioni
psico-fisiologiche. Recenti studi evidenziano altresì un coinvolgimento del sistema dopaminergico,
cioè della dopamina, un neurotrasmettitore che presiede anche al controllo motorio, compreso quello
necessario a pronunciare le parole. Circa l’88% dei bambini con balbuzie ha una regressione
spontanea entro il sesto anno di vita e ciò sarebbe riconducibile all’avvenuto sviluppo dei
meccanismi neurali che sottostanno il controllo motorio oppure a dei meccanismi di compenso che un
cervello in crescita mette in atto per ovviare ai deficit.

Esistono tecniche per superare la balbuzie?

Storicamente, quando parliamo di balbuzie la associamo a un disturbo puramente del linguaggio o a
una difficoltà di natura psico-emotiva. In questo caso, gli interventi clinici sono mirati ad
aspetti fisiologici legati alla respirazione e alla produzione del suono o ad aspetti di natura
psicologica legati alla gestione dell’ansia e alla regolazione delle emozioni. In realtà, con la
balbuzie siamo di fronte a un fenomeno molto complesso e dinamico, che non tocca solo un aspetto
della persona, ma la coinvolge nella sua totalità.

Per una riabilitazione di successo e a lungo termine della balbuzie è necessario un approccio a 360
gradi sulla persona, intervenendo sui vari livelli di questa fatica in modo mirato e personalizzato
per ognuno.

In particolare, il metodo riabilitativo Muscarà Rehabilitation Method for Stuttering (MRM-S)
adottato da Vivavoce si basa sul riprendere il controllo della propria voce con un lavoro
multidisciplinare su: motricità, propriocezione sensoriale, comportamento, cognizione ed emotività.

Il paziente infatti apprende dapprima a conoscere e controllare gli schemi motori (respiratori,
fonatori ed articolatori) sottostanti la produzione verbale attraverso il supporto del Clinico e con
la specifica tecnologia di Vivavoce, per poi essere guidato a sperimentare tale controllo in
contesti di vita quotidiana e in situazioni stressanti. L’esperienza ripetuta di successo nella
comunicazione farà sì che progressivamente anche il condizionamento della balbuzie e il suo impatto
sulla qualità di vita vada sempre più a ridursi, facendo così esperienza di libertà e sicurezza
nelle interazioni quotidiane.

Superare la balbuzie non è però solo una questione di “perfezione estetica” e di non avere più
ripetizioni o piccole incertezze nell’eloquio, ma è raggiungere la libertà, è riuscire ad eliminare
pian piano quel filtro, quel condizionamento, che la balbuzie frappone tra una persona e il mondo
esterno e che ne limita la quotidianità.

Qual è l’età media dei balbuzienti che iniziano un percorso con voi?

L’età media degli allievi è di circa 20 anni. Il più piccolo che ho seguito ha 6 anni, il più grande
83.

Nella mia esperienza con voi, anche io soffro di balbuzie e l’ho superata grazie al vostro aiuto, mi
è parso di essere sempre la più “grande”: crede che, superata una certa età, i balbuzienti, in certo
senso, si arrendano?

No, non credo si arrendano. Penso sia più una questione di organizzazione, di equilibrio.
Aumentata l’età aumentano anche i fattori contingenti che possono pesare sulla decisione di
intraprendere un percorso impegnativo come quello di riabilitazione della balbuzie. Ad esempio, un
ragazzo di venti anni deve “solo” organizzarsi con lezioni, esami, o al massimo un lavoretto
part-time; mentre un adulto deve far coincidere le esigenze della famiglia, un lavoro più
strutturato, quindi fattori più determinanti. Penso possa essere anche una questione di priorità,
per cui un adulto può dare priorità alle necessità di un figlio più che alle proprie. Poi può
subentrare anche il fattore abitudine e per esempio pensare “chissà se riuscirò anche io a non
balbettare più”. Quindi non credo sia questione di resa, forse più di percorso di vita.

C’è un caso specifico, un paziente che l’ha colpita in modo particolare?

Più che il singolo, a colpirmi è quella sensazione di appagamento, gioia ed anche emozione che mi
prende quando mi sento dire che non è più una fatica fare una telefonata, chiedere un’informazione o
ordinare un caffè al bar. Una frase che ultimamente mi è stata detta da un ragazzino di 10 anni e
che mi ha colpito molto è stata: “Ho letto in classe e sono stato molto bravo, ci sono riuscito
benissimo, ero così contento che mi veniva da piangere. È stato il giorno più bello della mia
vita!”. Un bel giorno anche per me.

da focus.it

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