di Emanuele Cangini
– 29/11/2016
Che cos’è l’effetto Hall: tra fisica classica e fisica quantistica
L’espressione solo in apparenza corrucciata sottolinea ancor più uno sguardo vispo, penetrante e intelligente. Condizione certo agevolata dal bianco e nero che, per sua stessa natura, favorisce la rarefatta atmosfera retrò che si respira osservandone il ritratto. Baffo spiovente men che meno garibaldino, più prossimo a una spettinata criniera cavallina, sullo sfondo di una lieve tensione del volto verso sinistra. Questa immagine di Edwin Herbert Hall (1855-1938) mi ha da subito colpito: una stranissima staticità del ritratto si opponeva freneticamente alla dinamicità dei particolari del somatico visuale. Connubio strano, o tantomeno inusuale, capace di solleticare la fantasia del cronista di turno, nel momento in cui si trova a indugiare con lo sguardo sopra l’effigie del fisico statunitense.
L’ “effetto Hall”
Hall effettuò la sua scoperta principale ‒ l’effetto Hall ‒ solamente successivamente l’aver vagliato e studiato attentamente il concetto di Maxwell della forza ponderomotrice esercitata su un conduttore percorso da corrente. Dopo aver indagato per proprio conto su tale questione, il fisico statunitense dimostrò una relazione empirica tra il vettore densità di corrente elettrica, la forza del campo magnetico e il vettore del campo elettrico.
Sostanzialmente, l’effetto Hall, consiste nella formazione di una differenza di potenziale (chiamato potenziale di Hall, appunto) tra le opposte facce di un conduttore elettrico; tale differenza è attribuibile a un campo magnetico che si pone perpendicolarmente rispetto al flusso della corrente elettrica. Un esempio di applicazione pratica del suddetto principio, riguarda il caso delle pinze amperometriche: esse possono rilevare, quindi misurare, l’intensità di corrente che scorre in un conduttore senza la necessità di posizionare lo strumento di misurazione in serie, perciò senza interrompere o spegnere il circuito.
Altri quattro scienziati avevano riscontrato relazioni simili includendo il vettore densità di corrente di calore e il gradiente di temperatura tra la scelta delle variabili. La costanza e la tenacia di Hall lo condussero alla scoperta, dopo altri tre tentativi falliti da parte di Feilitzsch, G. Gore ed E. Mach. Addirittura G.H. Wiedeman “provò” che questo effetto non poteva esistere, e giunse a questa conclusione utilizzando attrezzature accomunabili a quelle che portarono Hall al successo. Kelvin stesso affermò che quella di Hall era «senz’altro la più grande scoperta […] per quanto riguardava le proprietà elettriche dei metalli […] dal tempo di Faraday». L’effetto Hall domina praticamente tutte le ricerche effettuate da lui. È possibile focalizzare tre fasi distinte nel suo lavoro:
1880-1888, parecchie misure dell’effetto su molti metalli e nessuna pubblicazione tra il 1888 e il 1891;
1891-1903, ricerche sulla conduttività del ferro e sulle macchine a vapore stimolate dal desiderio di scrivere libri didattici sulla fisica;
1904-1938, raccolta sistematica di dati termoelettrici culminanti in un’originale teoria basata sopra una variante del ciclo di Carnot, secondo la quale venivano prese in considerazione le forze elettrostatiche come pure l’argomento della trasmissione di calore.
Oltre la vecchia teoria dei quanti
Le ricerche a cui ci riferiamo al terzo punto furono descritte nel libro conclusivo di Hall, intitolato A dual theory of conduction in metals (1938). La dualità citata si riferiva sia al gas di elettroni liberi (che porta la maggior parte della corrente elettrica in un conduttore metallico) sia agli elettroni associati (che saltano da atomo ad atomo). Il gas coinvolgeva principalmente forze elettrostatiche a lungo raggio, mentre gli elettroni associati generavano energia cinetica supplementare nella corrente, essendo forze elettrostatiche a raggio breve.
Il modello termoelettrico di Hall forniva un’accurata valutazione dei coefficienti di Nernst e Righi-Leduc, un fatto questo che superava le possibilità della vecchia teoria dei quanti. Anticipava anche l’importanza degli ioni positivi nei fenomeni termoelettrici, un’affermazione che successivamente venne incorporata nella meccanica ondulatoria. Comunque la tendenza moderna è quella di esplicitare il modello impiegato nella meccanica statistica mentre la tecnica di Hall di utilizzare serie di potenze oscurava il modello fisico sul quale la matematica era basata. D’altra parte, il fisico americano trovò che spesso i suoi contemporanei lavoravano con documentazioni incomplete secondo i punti di vista moderni e provvide ad apportare le proprie correzioni.
Era un grande lettore di quotidiani Hall, così come di riviste e classici. Si conservò fisicamente in forma fino alla tarda età. Pensate che, addirittura alla vetusta età di quasi 80 anni, Hall giocava regolarmente a golf.
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