Chi capisce la musica è un po’ psicologo

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Chi capisce la musica è un po’ psicologo

Ciò dipende dall’abilità a percepire la cosiddetta altezza dei suoni, che trasporta informazioni
emotive del linguaggio

MILANO – Allenatevi a capire la musica e comprenderete meglio le emozioni degli altri. Lo dice uno
studio appena pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un gruppo di
ricercatori delle Università di Sydney, Singapore, Vienna e Londra. Secondo i ricercatori ciò che ci
consente di capire non solo se una musica è allegra o triste, ma anche la qualità emotiva del tono
della voce del prossimo, è l’abilità a percepire la cosiddetta altezza dei suoni (ovvero se un suono
è acuto o grave in relazione alla frequenza dell’onda sonora che l’ha generato). L’altezza dei
suoni, infatti, trasporta fondamentali informazioni emotive del linguaggio.

CERVELLO – L’area cerebrale capace di farci capire le emozioni legate alla fonetica verbale si
troverebbe nella parte centrale del cosiddetto “giro temporale superiore” (in pratica, a livello
della tempia coperta dalla parte più alta del padiglione esterno dell’orecchio). Per cui, quando
questa zona cerebrale è lesa o malfunzionante perdiamo sia la capacità di gustare la musica, sia
quella di distinguere fra chi, ad esempio, si rivolge a noi con tono arrabbiato e chi invece ha un
tono affettuoso. Questa incapacità può andare da un minimo (ad esempio, non capire il sarcasmo di
una frase) alla totale sordità per le emozioni trasmesse. Per avere la prova che la sensibilità alle
emozioni legata alla fonetica del linguaggio deriva dalla capacità di comprendere la musica, i
ricercatori hanno verificato che cosa succede in una situazione estrema: la cosiddetta amusia
congenita, condizione delle persone che nascono con l’incapacità di apprezzare la musica.

LA PATOLOGIA – Nella corteccia frontale inferiore e temporale superiore (proprio le aree che si
attivano quando si percepisce l’altezza di un suono) questi soggetti presentano, sia a destra che a
sinistra, piccole differenze e, secondo uno studio precedente effettuato con trattografia in
risonanza, le connessioni fra le due aree sono ridotte. Gli amusici hanno sintomi precisi: pur
avendo un udito e un’intelligenza del tutto normali, non riescono a cantare in maniera intonata
seguendo il ritmo della musica perché non percepiscono l’altezza delle note, né sanno riconoscere la
melodia di una canzone senza le parole (l’unico messaggio che, essendo verbale, sanno cogliere). Nei
confronti dell’altezza e del timbro dei suoni presentano un deficit della memoria a breve termine:
ricordano il testo di una canzone, ma ne dimenticano la melodia entro pochi minuti. I ricercatori
hanno confrontato 12 amusici (tramite un apposito test chiamato MBEA, Montreal Battery of Evaluation
of Amusia) e 12 persone normali, sottoponendo entrambi i gruppi all’interpretazione di una serie di
frasi il cui tono di voce veicolava di volta in volta sei emozioni: felicità, tenerezza, dispiacere,
irritazione, tristezza, oppure nessuna emozione.

TRAUMI – Risultato: negli amusici la capacità di capire lo stato d’animo di chi pronunciava le frasi
è risultata ridotta del 20% rispetto ai normali. Dato che non solo si nasce amusici, ma lo si può
anche diventare – ad esempio a seguito di traumi cranici da incidenti della strada o di un ictus –
il riscontro di una lesione a livello delle aree evidenziate dai ricercatori dello studio pubblicato
su PNAS deve far sospettare, anche quando non vi siano deficit macroscopici più gravi, il rischio di
una perdita dell’apprezzamento della musica (alcuni soggetti, intonati prima di un incidente, poi
non riescono più nemmeno a cantare nei cori di natale) e dei sentimenti altrui.

Cesare Peccarisi – corriere.it

12 dicembre 2012 | 11:06

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