Ci incarniamo per sperimentare

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Ci incarniamo per sperimentare

di Paolo Vita

La vita terrena non è un passatempo, una vacanza, né una favola
in cui tutti vivono felici e contenti, ma una palestra per
l’evoluzione; anche in palestra andiamo volontariamente per migliorare
il nostro corpo fisico, sebbene con fatica. Perciò sarebbe bene che
noi abbandonassimo l’illusione e l’aspettativa di avere sempre
un’esistenza di successo, benessere ed armonia, senza peraltro cadere
nell’estremo opposto, secondo cui la vita “è una valle di lacrime”.

La vita è anche paragonabile alla scuola e sembra orientata a
farci imparare sperimentalmente la legge dell’Amore, quello vero, che
dona senza nulla aspettarsi in cambio. La scuola della vita sembra più
precisamente una scuola-apprendistato, in cui – oltre alla
disponibilità di molti insegnamenti teorici, di cui teniamo poco conto
– c’è molto apprendistato, in cui si apprende con la pratica.

Questa scuola è a classe unica, in cui tutti gli allievi sono
mescolati e convivono nell’apprendimento, come in certe scuole
elementari di piccoli paesi; in questa enorme classe coesistono e si
influenzano a vicenda analfabeti e laureandi, tecnici ed umanisti,
praticoni ed artisti, affaristi ed idealisti, tutti in diversi stadi
evolutivi e dotati di esperienze diverse in diversi campi.

Se ci scontriamo con qualcuno, lo incontreremo nuovamente finché
impareremo ad amarlo. Se lavoreremo bene, nella prossima incarnazione
faremo esperienze superiori, altrimenti dovremo ripetere le stesse
esperienze per riparare ai nostri errori.

Secondo alcune fonti per evolvere abbiamo bisogno di rivestire
ogni ruolo e di vivere ogni esperienza nella materia, per imparare
direttamente e sperimentalmente dai vari ruoli; perciò siamo stati, o
saremo anche ladri, impostori, prostitute, traditori, gay, preti, ecc.

L’importante è che svolgiamo i nostri ruoli come un’esperienza,
senza attaccamenti e senza identificazione, come un attore che debba
interpretare tutti i personaggi possibili. Egli non deve comportarsi
come se fosse veramente quel personaggio e magari cercare di cambiarne
il copione per avere un vantaggio immediato, ma deve attenersi ad esso
ed alle indicazioni del Regista; solo recitando bene potrà imparare ed
essere applaudito e nella vita successiva potrà avere un ruolo più
importante. Tanto meno bisogna cercare di sfuggire al proprio ruolo o
destino, benché ci sembri scomodo o duro, ma viverlo pienamente,
traendone tutto l’insegnamento possibile.

Logicamente più importante è il ruolo, maggiori sono le
responsabilità dell’attore ed i rischi di insuccesso, secondo il
proverbio che recita: “Chi troppo in alto va, cade sovente
precipitevolissimevolmente”. Perciò molti che hanno una vita
“importante” possono facilmente fallire i loro compiti e dovranno
riparare ricominciando dal basso. E’ ciò che è accaduto a molti re,
papi, artisti famosi, ecc. Questo è un ammonimento a non avere fretta
di evolvere e raggiungere traguardi troppo ambiziosi, quando non si è
ancora adeguatamente ferrati. E’ come voler scalare una montagna non
percorrendo un sentiero lungo e tortuoso, ma arrampicandosi lungo la
parete più ripida, col rischio di precipitare a valle.

La constatazione delle numerose vite trascorse in vari ruoli e
con varie relazioni ed accadimenti, ci porta anche a ridimensionare la
drammaticità degli avvenimenti terreni, come un incidente, una
separazione, la malattia, la morte nostra o di una persona cara. Ci
rendiamo conto che sono solo episodi di una lunga storia, in cui
ciascuna incarnazione gioca un piccolo – seppur utile – ruolo.
L’allontanamento dei nostri cari è solo temporaneo e la durata di
ciascuna vita non è poi tanto importante.

Nulla accade per caso nella creazione. Le “disgrazie” e la
“sfortuna” non esistono. Tutto avviene secondo piani ben studiati e
scelti da noi stessi prima di reincarnarci, con l’assistenza di Guide
esperte.

Ci scegliamo anche i nostri genitori, chiedendo loro di farci
nascere; qui c’è una probabile spiegazione del comandamento “onora il
padre e la madre”: dobbiamo almeno rispettarli, visto che ci hanno
fatto il favore di metterci al mondo, su nostra richiesta, anche se
questo potrà costituire una prova difficile.

Una conseguenza di questa consapevolezza è la serenità: nulla ci
può accadere di inutile o dannoso; ogni evento è per il meglio e per
la nostra evoluzione. Non ha senso disperarsi o abbattersi per le
nostre “disgrazie” o “sfortune”: esse sono solo esperienze volute o
accettate per la nostra evoluzione. Anche senza dover ricorrere ai
risultati delle esperienze esposte, basta considerare che negli USA è
invalso il termine di “sfida” o “problema” in luogo di “guaio” o
“disgrazia”: un approccio positivo, che suggerisce di affrontare
un’emergenza per risolverla, anziché rifiutarla o disperarsi.

La cosa migliore da fare è accogliere questi eventi
positivamente per superarli. Rifiutarli o scansarli non farebbe che
protrarre il nostro cammino evolutivo.

Del resto la questione è per lo più psicologica, se ci
riflettiamo. Infatti, se ci si guasta qualcosa in casa, siamo portati
a considerare un fastidio il doverci mettere mano per ripararlo; se,
invece, ci si propone un cubo di Rubik da risolvere, lo consideriamo
un gioco stimolante; analogamente se a scuola ci danno un problema da
risolvere, spesso lo vediamo come una seccatura, poi andiamo a casa e
ci impegniamo magari a sciogliere un rebus o un anagramma offerti da
un giornale. Quei giochi a cui ci sottoponiamo spontaneamente non
servono proprio a soddisfare la nostra innata tendenza a metterci alla
prova, per superarla? Allora, perché spendere tempo e denaro per
riempire un cruciverba e rifiutarsi di compilare la nostra
dichiarazione dei redditi, affidandola ad un commercialista?

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