COERENZA FUNZIONALE EMISFERICA 2
CAPITOLO II: EEG E SCHIZOFRENIA .
L’avvento dell’elettroencefalogramma suscito’ speranze ottimistiche fra gli psichiatri. Si sperava
che la nuova tecnica producesse patterns caratteristici per schizofrenia, psicosi maniaco-depressive
e altri disturbi psichiatrici funzionali.
Queste speranze non furono soddisfatte. Infatti l’EEG di pazienti con le classiche forme di disturbi
psichiatrici non mostrava patterns distintivi. Questo contrastava notevolmente con l’EEG di pazienti
con varie condizioni neurologiche, come i disturbi convulsivi e le neoplasie cerebrali, i quali
mostravano anormalita’ specifiche di valore diagnostico.
Per questo motivo, la principale applicazione pratica dell’EEG e’ stata neurologica, essendo lo
scopo quello di diagnosticare o escludere disturbi convulsivi e altre forme di malattie cerebrali
organiche.
Nella popolazione di pazienti psichiatrici, comunque, l’incidenza di condizioni neurologiche
associate ad anormalita’ EEG specifiche e’ generalmente piuttosto bassa. E’ importante sottolineare
che l’EEG e’ un metodo fisiologico: esso rispecchia il momentaneo stato funzionale delle strutture
cerebrali che danno origine ai segnali elettrici.
Il suo uso in campo neurologico nella diagnosi di lesioni cerebrali dipende dal fatto che esso
mostra come la lesione abbia alterato il funzionamento di un cervello relativamente non danneggiato.
Quindi lo studioso della schizofrenia che usa i metodi EEG va alla ricerca di una prova
elettroencefalografia di alterato funzionamento cerebrale. La prima epoca di ricerca EEG in
psichiatria fu diretta alla scoperta di patterns di onde qualitativamente anormali. Fu presto
riconosciuto che la maggior parte dei malati mentali non e’ caratterizzata da forme d’onda
differenti dai normali, ma alcuni ricercatori hanno riportato di avere trovato patterns insoliti
piu’ frequentemente negli schizofrenici.
Un esempio e’ il ritmo instabile di Pauline Davis consistente in un basso voltaggio disorganizzato e
frequenze molto rapide (25- 50Hz). Davis lo trovo’ nel 61% degli schizofrenici e lo considero’
indicativo di una patologia cerebrale poiche’ un simile pattern era trovato in pazienti con danno
cerebrale.
Molti ricercatori considerarono il pattern instabile come un artefatto risultante dall’attivita’
muscolare, ma Hill lo considero’ autentico.
Egli suggeri’ che, se il pattern instabile autenticamente riflette l’attivita’ corticale, questo
significherebbe la presenza di una intensa, continua e anormale attivazione da parte di meccanismi
sottocorticali.
Ma in assenza di anormalita’ distintive nella schizofrenia, i ricercatori si diressero
successivamente verso un approccio piu’ quantitativo, con la speranza che le misurazioni fornissero
informazioni riguardo alla presenza di una attivita’ anormale, non evidente ad una ispezione ad
occhio nudo del tracciato EEG.
Cosi’ vennero descritte le caratteristiche EEG di diversi gruppi psichiatrici dando maggiore rilievo
alla topografia e alla relativa dominanza di ritmi normalmente presenti, come Alfa, Beta e Theta.
In particolare, in alcuni studi, vennero effettuate misurazioni della percentuale di tempo occupata
da una frequenza stabilita, per esempio Alfa. Tuttavia senza l’aiuto di una tecnologia
computerizzata, i primi sforzi per quantificare l’EEG comportarono molto lavoro e risultati
imprecisi.
Per questo motivo, a partire dagli anni ’70, sono stati intrapresi grandi sforzi allo scopo di
pianificare la topografia EEG, incoraggiati dalla nuova tecnologia computerizzata, che facilita
l’analisi dei dati.
Innanzi tutto bisogna sottolineare che la natura della schizofrenia pone grandi difficolta’
nell’interpretazione delle notizie che riguardano le anormali scoperte EEG.
Lavorando con ampi campioni, relativamente non selezionati, per esempio i 1000 casi di Colony e
Willis, l’incidenza di EEG anormali nella popolazione schizofrenica e’ stata riportata come non
differente dai pazienti non schizofrenici. Questa bassa incidenza di tracciati patologici trovati
negli schizofrenici contrasta con altri dati di segno opposto.
Si e’ ipotizzato che le alte incidenze potrebbero essere state determinate dal fatto che ci si e’
riferiti selettivamente all’EEG di pazienti con manifestazioni cliniche suggerenti disturbi
convulsivi o danni cerebrali.
Puo’ essere messa in dubbio anche la natura dei criteri usati per diagnosticare la schizofrenia e
l’incapacita’ di distinguere fra la schizofrenia e altre categorie diagnostiche.
Le principali scoperte topografiche nella schizofrenia con riferimento ai vari ritmi sono state le
seguenti:
per quanto riguarda il ritmo Alfa, diversi studi hanno mostrato ora una predominanza dell’emisfero
sinistro, ora una predominanza dell’emisfero destro, o nessuna predominanza dell’uno o dell’altro.
Gruzelier ha cercato di spiegare questi risultati contradditori ragionando sul fatto che le
differenze funzionali fra gli emisferi, e quindi le asimmetrie interemisferiche, non sono
necessariamente un dato stabile.
Le scoperte riguardo all’asimmetria emisferica di un altro ritmo, ovvero il Beta, hanno indicato una
maggiore predominanza di questo a sinistra. Ma si e’ anche visto che il trattamento influenza la
lateralita’ della distribuzione: nei pazienti non trattati vi e’ un aumento a livello parietale
sinistro, mentre nei pazienti trattati c’e’ un aumento a livello destro e temporale.
La scoperta quantitativa che piu’ si avvicina a soddisfare un classico criterio di anormalita’ EEG
e’ un eccesso localizzato di attivita’ ad onde lente (Delta e Theta).
Questa esagerata attivita’ lenta nei pazienti schizofrenici e’ stata trovata nelle regioni frontale
e temporale sinistra e nell’area posteriore destra. Le analisi dei sintomi clinici hanno indicato
che le anormalita’, a livello della regione temporale sinistra, erano associate a disordini del
pensiero come le allucinazioni e ad appiattimento emotivo, mentre le onde lente nell’area posteriore
destra tendevano ad essere presenti negli schizofrenici iperattivi da un punto di vista motorio.
Un aumento di Delta a livello frontale fu riportato da Itil e altri, ma anche da Morstyn e altri e
da Guenther e altri. Tuttavia Karson e altri hano indicato le onde Delta a livello frontale come
possibili artefatti dovuti ai movimenti degli occhi. Essi trovarono che quando venivano rimosse le
tracce contaminate dai movimenti degli occhi, i pazienti non trattati non differivano dai controlli
nei restanti livelli di delta, ne’ differivano in altre bande. Dierks e altri non riuscirono a
trovare la prova di un’aumentata attivita’ delta a livello frontale in 30 pazienti schizofrenici,
categorizzati come paranoici, ebefrenici o residui.
Essi effettuarono una attenta procedura di eliminazione degli artefatti dovuti a movimenti oculari.
Tuttavia, una difficolta’ con questa procedura di eliminazione e’ che, poiche’ nella schizofrenia e’
stata riportata una incidenza abnormemente alta di movimenti degli occhi, ne segue che la prova di
una fluttuante anormalita’ di funzionamento puo’ essere rimossa via insieme con i cosiddetti
artefatti EEG.
In ogni caso, l’aumento di Delta a livello frontale potrebbe essere coerente con la prova di
indebolimenti delle funzioni frontali nella schizofrenia.
Puo’ anche essere che l’eccesso di delta a livello frontale si trovi nei gravi pazienti
schizofrenici cronici e in quelli con segni alla TC o con danno organico.
A questo riguardo, Dierks e altri, che non trovarono un incremento di Delta a livello frontale,
descrissero i loro pazienti come mancanti di segni alla TC.
Si deve porre comunque prudenza prima di accettare completamente che l’attivita’ lenta sia di
origine interamente cerebrale. Qualche sicurezza e’ fornita dalla RCBF (regional cerebral blood
flow) che indica un ridotto flusso sanguineo frontale negli schizofrenici nello stato di riposo. E
con queste scoperte sarebbero coerenti anche le informazioni ottenute dagli studi di schizofrenici
con elettrodi impiantati.
Nonostante i problemi connessi agli elettrodi impiantati, primo fra tutti la mancanza di
osservazioni paragonabili con cervelli indiscutibilmente normali, questi studi dimostrarono che le
zone profonde del lobo frontale erano caratterizzate da un EEG contenente onde lente.
Queste non erano dovute ad artefatti di elettrodi poiche’ venivano soppresse dal thiopentotal.
Sem-Jacobsen e altri mostrarono costantemente la presenza di onde lente aritmiche (2-4 Hz) solo
nelle registrazioni dal lobo frontale ventro-mediale, mentre onde piu’ rapide (25 Hz)
caratterizzavano il lobo frontale laterale.
Inoltre queste costanti attivita’ EEG del lobo frontale erano spesso rimpiazzate da scoppi ritmici
parossistici di onde ad alto voltaggio di 2-5 Hz, di solito bilateralmente sincronizzate. Questi
scoppi si presentavano in circa il 50% dei pazienti e Sem- Jacobsen e altri trovarono che le
scariche focali ad alto voltaggio erano strettamente legate ad episodi di comportamento psicotico,
quali le allucinazioni.
Nell’ambito della ricerca neuropsicologica e psicofisiologica, di grande interesse e’ la
possibilita’ che la schizofrenia possa essere interpretata come un disordine delle funzioni
interemisferiche (Cutting, 1985).
A partire dalla fine degli anni ’60 una serie di evidenze sperimentali hanno cominciato ad attirare
l’attenzione dei ricercatori su un eventuale malfunzionamento dell’emisfero sinistro.
Davison e Bagley hanno effettuato, per primi, una esauriente rassegna di tutti i dati sperimentali
allora disponibili e concernenti l’associazione di sintomi tipici della schizofrenia con la presenza
di focolai patologici dell’emisfero sinistro. Essi arrivarono alla conclusione che la catatonia ed
il delirio potessero essere collegati frequentemente con lesioni del lobo temporale sinistro.
Flor-Henry ha documentato, poi, che nell’ambito di forme di epilessia riconducibili alla presenza di
foci nel lobo temporale sinistro, si potevano frequentemente palesare sindromi psicotiche molto
simili al quadro clinico della schizofrenia.
Da un punto di vista propriamente psicofisiologico, particolarmente interessanti apparvero gli studi
sull’attivita’ elettrodermica, monitorizzata bilateralmente, i quali dimostravano che i pazienti
schizofrenici mostravano prevalentemente risposte fasiche piu’ ampie nella mano destra piuttosto che
nella sinistra e che questa modalita’ di asimmetria era sovrapponibile a quella individuata in
pazienti affetti da neoplasie o che avevano subito escissioni chirurgiche nell’ambito dell’emisfero
sinistro.
Cosi’, a partire dalla fine degli anni ’60, l’ipotesi che la schizofrenia, da un punto di vista
della localizzazione e della coerenza funzionale emisferica, fosse riconducibile ad un difetto
dell’emisfero sinistro, comincio’ a divenire sempre piu’ diffusa in ambito neurofisiologico e
psicofisiologico.
Un’altra ipotesi che costituisce un corollario della precedente e’ quella che prende in
considerazione una eventuale alterazione dei meccanismi di comunicazione interemisferica dovuta a
problemi che sarebbero localizzati nel corpo calloso.
L’ipotesi che una disfunzione dei meccanismi di specializzazione funzionale emisferica possa
costituire il meccanismo patogenetico della schizofrenia, e’ apparsa subito molto suggestiva se si
considera che l’aspetto cruciale della clinica e della Psicopatologia classica di questa affezione,
e’ sempre stato ricondotto ad una perdita della coordinazione dell’attivita’ del sistema nervoso
centrale e quindi ad un difetto dei meccanismi di controllo coalizionale.
Sebbene l’potesi che la schizofrenia sia riferibile ad un difetto prevalentemente dell’emisfero
sinistro sia stata formulata per prima, piu’ di recente una serie di nuove ricerche, condotte
prevalentemente da Gruzelier, hanno affrontato il problema da un punto di vista differente. L’Autore
inglese ha sottolineato la eterogeneita’ clinica della schizofrenia, e quindi la possibilita’ che
esistano differenti sindromi e diversi meccanismi patogenetici nell’ambito della eterogenea
classificazione clinica di questa malattia.
In un campione di pazienti, diagnosticati come affetti da schizofrenia, Gruzelier ha studiato il
profilo psicopatologico. In tal modo sono stati creati due sottogruppi di pazienti. Un primo
sottogruppo era costituito da individui nei quali veniva individuata una sindrome negativa,
caratterizzata da poverta’ di eloquio, inibizione motoria, marcato appiattimento affettivo e ritiro
emotivo.
Nel secondo sottogruppo fu invece individuata una sindrome positiva caratterizzata prevalentemente
dalla presenza di deliri, allucinazioni, labilita’ emotiva e incrementati livelli di arousal, oltre
che da una accelerazione delle attivita’ cognitive. I due sottogruppi di pazienti furono sottoposti
alla registrazine di parametri psicofisiologici analizzati bilateralmente, per poter ottenere
informazioni sui patterns di coerenza funzionale emisferica.
In particolare, fu registrata l’attivita’ elettrodermica bilateralmente. Gruzelier pote’ osservare
risposte fasiche piu’ ampie nella mano sinistra in pazienti afflitti da una sindrome a sintomi
positivi, e risposte maggiori invece nella mano destra dei pazienti che avevano una sindrome
prevalente a sintomi negativi.
Poiche’ il controllo emisferico cerebrale dell’attivita’ elettrodermica e’ controlaterale, si e’ in
tal modo ipotizzato che nel caso della sindrome positiva, le piu’ ampie risposte a sinistra
evidenziassero una iperattivazione dell’emisfero destro ed un deficit funzionale del sinistro,
mentre una maggiore attivita’ elettrodermica registrata sulla mano destra, si sarebbe dovuta
ricollegare ad un deficit funzionale dell’emisfero sinistro non associato ad una iperattivazione di
quello destro (sindrome negativa).
Altre ricerche sono state eseguite con l’impiego di differenti parametri psicofisiologici, quali
l’attivita’ elettroencefalo- grafica, i potenziali evocati, e le tecniche di ascolto dicotico. La
maggior parte delle ricerche, svolte con tali differenti parametri, ha fornito un quadro abbastanza
unitario riferibile ad una maggiore attivita’ dell’emisfero destro nella sindrome
positiva, ed una diminuita attivita’ dell’emisfero sinistro nella sindrome negativa.
La schizofrenia sembra una patologia caratterizzata da una alterazione della dinamica di coerenza
fra le attivita’ dell’emisfero sinistro e quello destro, e quindi riconducibile al processo di
ominazione ed allo sviluppo del linguaggio.
E’ interessante sottolineare come, in questo caso, il corpus dottrinario della clinica, della
psicopatologia, della neurofisiologia e della psicofisiologia sperimentale consentano di delineare
un quadro unitario e coerente.
Tale approccio sistemico e complesso, al quale Scrimali e Grimaldi hanno dedicato i loro sforzi
negli ultimi anni, rappresenta propriamente l’antitesi dell’ottica riduzionistica e dell’approccio
disgiuntivo dello studio della mente.
Con specifico riferimento alla coerenza dell’attivita’ elettroencefalografia, molti sono stati gli
studi effettuati su pazienti schizofrenici allo scopo di analizzare questo parametro. La coerenza
elettroencefalografia (COH) puo’ essere definita come il grado di similitudine fra due segnali EEG
registrati in posizioni diverse dello scalpo.
L’analisi della coerenza e’ una tecnica non invasiva per lo studio delle associazioni
cortico-corticali. Gli studi effettuati sui pazienti schizofrenici hanno riportato a volte una
diminuzione, a volte un incremento della coerenza.
Mentre la diminuzione, sopratutto per le bande ad alta frequenza, e’ considerata espressione di
diminuite connessioni funzionali cortico-corticali, sono necessari piu’ approfonditi studi per
interpretare gli incrementi della coerenza.
Uno studio eseguito all’Universita’ di Mainz in Germania (1977) basandosi su precedenti ricerche che
avevano mostrato un incremento della COH negli schizofrenici, ha analizzato l’ipotesi che anche i
soggetti ad elevato rischio mostrassero una piu’ alta coerenza rispetto ai controlli sani.
Per questo le coerenze EEG intra ed inter-emisferiche furono esaminate in schizofrenici non
trattati, nei loro fratelli sani ed in controlli sani.
Furono trovate differenze significative solo riguardo alla coerenza intraemisferica (cioe’ fra due
punti dello stesso emisfero). Sia negli schizofrenici che, anche se in minore misura, nei loro
fratelli, furono trovati valori di coerenza significativamente piu’ alti rispetto al gruppo di
controllo.
L’incremento di coerenza potrebbe essere assunto come un marker di vulnerabilita’ alla schizofrenia,
rispecchiando un’alterazione legata allo sviluppo neuronale. Uno studio successivo eseguito da
Tauscher e altri all’Universita’ di Vienna (1998) ha preso spunto dalla rilevazione di una
disfunzione della corteccia prefrontale nei pazienti schizofrenici.
E’ stata valutata la coerenza EEG a livello frontale in 16 pazienti schizofrenici in wash-out da
neurolettici ed in 16 controlli sani: i pazienti presentavano una bassa coerenza EEG a livello
frontale sinistro.
Questa scoperta sembra in accordo con altri studi che hanno evidenziato una alterazione dei processi
di sviluppo neuronale, soprattutto a livello della corteccia frontale, nei pazienti schizofrenici.
In condizioni normali, lo sviluppo corticale durante l’adolescenza e’ caratterizzato da una notevole
riduzione delle sinapsi. Effettuando studi post-mortem su tesuti normali ottenuti dalla corteccia
frontale, Huttenlocher ha trovato che la densita’ sinaptica raggiunge un picco durante l’infanzia,
con un successivo declino del 30-40% durante l’adolescenza, per poi stabilizzarsi nell’eta’ adulta.
Questa eliminazione sinaptica, meglio indicata come Synaptic Pruning, ovvero potatura sinaptica,
riflette una riduzione delle connessioni cortico-corticali.
La caratteristica eta’ di inizio della schizofrenia (tarda adolescenza e giovane eta’ adulta) e
l’importanza della potatura sinaptica, suggeriscono che questo disturbo possa derivare da una
patologica estensione di questo processo.
Questa ipotesi e’ stata supportata da studi post-mortem valutanti il numero delle spine dendritiche
e confrontanti la corteccia frontale in cervelli schizofrenici ed in cervelli normali.
Di conseguenza, assumendo la coerenza EEG come indice dell’accoppiamento funzionale fra le aree
cerebrali, i valori anomali della coerenza EEG a livello frontale nei pazienti schizofrenici
potrebbe riflettere proprio un indebolimento dell’elaborazione delle informazioni nella corteccia
frontale.
Bisogna comunque tenere in particolare considerazione gli aspetti tecnici della registrazione, come
sottolineato da uno studio eseguito da Leocani e Comi al’Instituto San Raffaele di Milano (1999):
infatti le condizioni in cui questa viene effettuata possono influenzare notevolmente i risultati e
di queste e’ necessario rendere conto quando si traggono le interpretazioni fisiopatologiche.
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