Come i ricordi duraturi si fissano nel cervello

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Come i ricordi duraturi si fissano nel cervello

Individuato un nuovo meccanismo per la formazione di ricordi resistenti nella memoria: coinvolge
neuroni che eliminano i “rumori di fondo” nel cervello. Una scoperta utile per la cura di alcune
malattie?

18 OTTOBRE 2020 | ELISABETTA INTINI

Nel processo che trasforma un ricordo evanescente in una traccia che si conserva nel tempo entrano
in gioco almeno due circuiti cerebrali, uno con una funzione eccitatoria e un altro con funzioni
inibitorie. Il primo era noto da tempo, il secondo è una nuova scoperta di un gruppo di
neuroscienziati della McGill University (Canada), come racconta uno studio su Nature.

I neuroni eccitatori sono coinvolti nella creazione del ricordo vero e proprio, quelli inibitori si
occupano invece di bloccare il rumore di fondo nel cervello – le tracce meno pertinenti – e
permettono al ricordo di consolidarsi. Entrambe le funzioni sono fondamentali se è vero che, come
sostengono i ricercatori, manipolando selettivamente l’uno o l’altro circuito è possibile
intervenire sulla memoria episodica a lungo termine.

DUE VIE PER LO STESSO RISULTATO. Il consolidamento della memoria nel cervello richiede la sintesi di
nuove proteine da parte delle cellule cerebrali. Non era chiaro però quali fossero le popolazioni di
neuroni coinvolte in questa “produzione”. Per capirlo, i ricercatori hanno fatto ricorso a topi
transgenici in cui specifiche classi di neuroni avevano subito delle modifiche in un percorso
molecolare importante per la formazione di ricordi a lungo termine: questa via, chiamata eIF2a, è
nota per regolare la sintesi di proteine nei neuroni ed è coinvolta sia nel neurosviluppo sia in
alcune malattie neurodegenerative.

Quando gli scienziati hanno stimolato questa modalità di sintesi proteica nei neuroni eccitatori
dell’ippocampo (una struttura cerebrale cruciale per l’apprendimento e la memoria) hanno ottenuto un
potenziamento nella formazione dei ricordi e hanno assistito alla modifica delle sinapsi, gli snodi
di comunicazione tra neuroni. Ma lo stesso effetto è stato raggiunto anche quando è stata stimolata
la sintesi proteica in una classe di neuroni che possono avere comportamenti inibitori, i neuroni
della somatostatina. In questo caso, il rafforzamento del ricordo avveniva grazie alla regolazione
della plasticità neuronale, la capacità del cervello di regolare l’intensità delle connessioni tra
neuroni, di eliminare alcune poco utili e crearne di nuove.

DALLA RICERCA ALLA CURA. Per gli autori dello studio, la scoperta di questa nuova popolazione di
neuroni coinvolta è per certi versi inaspettata ma anche provvidenziale: potrebbe infatti trattarsi
di un nuovo obiettivo per terapie mirate sui ricordi duraturi in condizioni che comportano deficit
di memoria a lungo termine, autobiografica (ricordi personali) o semantica (conoscenze generali sul
mondo), come l’Alzheimer o i disturbi dello spettro autistico. Questi ultimi, infatti, possono
compromettere alcune operazioni fondamentali per il consolidamento dei ricordi.

dx.doi.org/10.1038/s41586-020-2805-8

da focus.it

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