Come incontrare Gesù o Buddha?

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Tratto da:

NERI POZZA EDIZIONE
TITOLO ORIGINALE

LIVING BUDDHA, LIVING CRISTO

di Thich Nhat Hanh

TRADUZIONE DI FRANCESCO BRUNELLI

Continuiamo a nascere

Quando celebriamo il Natale, o la nascita del Buddha, celebriamo la venuta
al mondo di un bimbo molto speciale. Le nascite di Gesù e del Buddha furono
eventi capitali nella storia umana. Pochi giorni dopo la nascita del Buddha,
molte persone nel suo paese di Kapilavastu vennero a rendergli omaggio, e
tra costoro un vecchio saggio di nome Asita. Dopo aver contemplato il Buddha
neonato, Asita cominciò a piangere. Il re, padre del Buddha, se ne allarmò.
“Sant’uomo, perché piangete? Qualche sventura sorprenderà mio figlio?”. Il
sant’uomo replicò: “No, vostra maestà. La nascita del principe Siddhartha è
un evento portentoso. Vostro figlio diverrà un importante maestro nel mondo.
Ma io sono troppo vecchio e non sarò presente. Questa è l’unica ragione del
mio pianto”.

Una storia analoga compare nella Bibbia. Otto giorni dopo la Sua nascita il
Bambino Gesù venne condotto al tempio per essere circonciso. Quando un uomo
di nome Simeone Lo vide, riuscì a comprendere che Gesù avrebbe determinato
un profondo mutamento nella vita dell’umanità: “

E quando furono compiuti i giorni della loro purificazione, secondo la legge
di Mosè, lo portarono a Gerusalemme per presentarlo al Signore… e per
offrire un sacrificio, secondo ciò che è detto nella legge del Signore, di
un paio di tortore o di due piccoli colombi. Or ecco, c’era a Gerusalemme un
uomo di nome Simeone, persona giusta e timorata, che attendeva la
consolazione di Israele, e lo Spirito Santo era su di lui, anzi gli era
stato divinamente rivelato dallo Spirito Santo che non avrebbe visto la
morte se prima non avesse visto il Cristo del Signore. Venne dunque al
tempio, condotto dallo Spirito, e quando i genitori introdussero il bambino
Gesù, per fare secondo l’usanza della legge, egli lo prese tra le braccia e
benedisse Iddio, dicendo

“Ora, o Signore, lascia che il tuo servo se ne vada in pace secondo la tua
parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato
davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti, e gloria del tuo
popolo, Israele!”. Il padre suo e la madre rimasero meravigliati di quanto
era stato detto di lui”.

Ogni volta che leggo le storie di Asita e Simeone, provo il desiderio che a
ognuno di noi, quando venne al mondo, potesse aver fatto visita un saggio.
La nascita di ogni bambino è importante, non meno della nascita di un
Buddha. Anche ognuno di noi è un Buddha, un Buddha a venire, e continuiamo a
nascere ogni minuto. Anche noi siamo figli e figlie di Dio e figli dei
nostri genitori. Dobbiamo prenderci cura in modo speciale di ogni nascita.

Il dolore e la via d’uscita

Da bambini, Siddhartha e Gesù si resero entrambi conto che la vita è piena
di sofferenza. In giovane età il Buddha raggiunse la consapevolezza della
pervasività della sofferenza. Gesù dovette avere lo stesso genere di
intuizione, perché entrambi compirono ogni sforzo per offrire una via
d’uscita. Anche noi dobbiamo apprendere a vivere in modi che limitino la
sofferenza universale. La sofferenza è sempre presente, intorno a noi e
dentro di noi, e dobbiamo trovare le vie che la allevino e la trasformino in
benessere e pace.

Monaci e monache in entrambe le tradizioni religiose si avvalgono delle
medesime pratiche: la preghiera, la meditazione, la deambulazione
consapevole, i pasti in silenzio e molti altri metodi per cercare di
superare la sofferenza.

È una sorta di lusso essere monaco o monaca, riuscire a sedere
tranquillamente e avere una visione profonda della natura del dolore e della
via d’uscita. Sedere e avere una visione profonda del corpo, della coscienza
e degli stati mentali è come essere una chioccia che cova le sua uova. Un
giorno l’intuizione nascerà come un pulcino. Se monaci e monache non hanno
gran cura del tempo che dedicano alla pratica, non avranno nulla da offrire
al mondo.

Quando si fece monaco, il Buddha aveva ventinove anni, e dunque era alquanto
giovane, e all’età di trentacinque anni raggiunse l’illuminazione. Anche
Gesù trascorse un certo periodo di tempo da solo sulla montagna e nel
deserto. Tutti noi abbiamo bisogno di riflettere e di ristorarci. Per coloro
che non sono monaci né monache, può essere difficile trovare il tempo per
meditare o pregare, ma è importante farlo. Durante un ritiro, apprendiamo
come tenere in serbo la consapevolezza di ogni cosa che facciamo, e allora
possiamo continuare la pratica nella nostra vita quotidiana.

Se agiremo così, avremo una visione profonda della natura del nostro dolore
e troveremo una via d’uscita. È quanto il Buddha disse nel suo primo sermone
al Parco del Cervo a Sarnath: “Penetra la natura del dolore per cogliere le
cause della sofferenza e la via d’uscita”. Tutti possono attuare questa
pratica, monaci e laici.

Io sono la via

La scuola Theravada del buddhismo sottolinea l’insegnamento autentico del
Buddha storico, il Buddha che visse e morì. In seguito, l’idea del Buddha
vivente venne sviluppata nell’ambito del buddhismo delle scuole
settentrionali, il buddhismo Mahayana. AI momento del trapasso del Buddha,
molti Suoi discepoli erano sconvolti dal fatto ch’egli non fosse più con
loro. Così egli li riassicurò dicendo:

“Il mio corpo fisico non sarà più qui, ma il mio corpo dottrinale,
Dharmakaya, sarà sempre con voi. Prendete rifugio nel Dharma, la dottrina,
costruendo un’isola per voi stessi”.

Le istruzioni del Buddha sono chiare. Il Dharma è l’isola del rifugio, la
torcia che illumina il nostro cammino. Se possediamo la dottrina, non
abbiamo di che preoccuparci. Un monaco che era molto malato espresse il suo
dispiacere per non essere in grado di vedere il Buddha in persona, ma il
Buddha gli inviò un messaggio:

“Il mio corpo fisico non è la cosa più importante. Hai con te il corpo del
Dharma, se hai fiducia nel Dharma, se pratichi il Dharma, io sono sempre con
te”.

Anche Gesù disse: “…dove sono due o tre riuniti in mio nome, ci sono io in
mezzo a loro”.

Sono sempre presente per voi

Dopo il trapasso del Buddha, l’amore e la devozione nei suoi confronti
crebbero a tal punto che l’idea di Dharmakaya si mutò dal corpo della legge
nel Buddha glorioso ed eterno che espone sempre il Dharma.

Secondo il buddhismo Mahayana, il Buddha è ancora vivo, continua a offrire i
suoi sermoni sul Dharma. Se siete abbastanza attenti, riuscirete a udire i
suoi insegnamenti dalla voce di un ciottolo, di una foglia o di una nube nel
cielo. Il Buddha permanente è divenuto il Buddha vivente, il Buddha della
fede. Grande è la somiglianza con il Cristo della fede, il Cristo vivente.
Il teologo protestante Paul Tillich descrive Dio come il fondamento
dell’essere. Anche il Buddha viene a volte descritto come il fondamento
dell’essere.

Vedere la via è vedere me

Si dice che incontrare un vero maestro, o maestra, valga quanto un secolo di
studio della sua dottrina, perché in una simile persona assistiamo a un
esempio vivente di illuminazione.

Come possiamo incontrare Gesù, o il Buddha?

Dipende da noi. Molti di coloro che guardano dritto negli occhi del Buddha o
di Gesù non sono capaci di vederli.

Un uomo che voleva vedere il Buddha aveva una tal fretta che finì per non
occuparsi di una donna in condizioni di bisogno incontrata lungo la via.
Quando arrivò al monastero del Buddha, fu incapace di vederlo. Che siate o
meno in grado di vedere il Buddha dipende da voi, dallo stato del vostro
essere.

Sono comprensione, sono amore

Al pari di molti grandi uomini il Buddha aveva il carisma di un santo.
Quando vediamo persone simili sentiamo in loro la pace, l’amore e la forza,
e anche in noi stessi. I cinesi dicono:

“Quando nasce un saggio, l’acqua del fiume si fa più limpida e le piante e
gli alberi dei monti diventano più verdi”.

Essi descrivono l’atmosfera che circonda un uomo santo, o una donna santa.
Quando una persona saggia è in mezzo a voi e sedete accanto a lei, percepite
la pace e la luce. Se doveste sedere accanto a Gesù e guardarLo negli
occhi – anche senza vederLo – avreste una opportunità molto più grande di
essere salvati che non tramite la lettura delle Sue parole. Ma quando Egli
non è presente, i Suoi insegnamenti sono quanto c’è di meglio, soprattutto
quelli della Sua vita.

Libertà dalle nozioni

Leggendo qualsiasi scrittura, cristiana o buddhista, tengo sempre presente
che qualunque cosa abbiano detto Gesù o il Buddha era rivolta a una persona
o a un gruppo particolari in una circostanza particolare. Cerco di
comprendere a fondo il contesto in cui essi parlano al fine di intendere
veramente il significato delle loro parole. Quanto dicono può essere meno
importante di come lo dicono. Quando capiamo questo, siamo prossimi a Gesù o
al Buddha. Ma se analizziamo le loro parole per scoprirne il significato più
profondo senza comprendere le relazioni fra chi parla e chi ascolta, forse
mancheremo il bersaglio. A volte i teologi dimenticano ciò.

Quando leggiamo la Bibbia, osserviamo l’enorme coraggio di Gesù nel
tentativo di trasformare la vita della sua società. Quando leggiamo i sutra,
notiamo che anche il Buddha era una persona molto forte.

La società indiana all’epoca del Buddha era meno violenta di quella in cui
nacque Gesù, di conseguenza si può ritenere che il Buddha manifestasse
reazioni meno estreme, ma solo perché nel suo ambiente era possibile
un’altra via. La sua reazione alla corruzione fra i sacerdoti vedici, per
esempio, fu risoluta.

Il concetto di Atman, Sé, che era al centro delle credenze vediche, era in
gran parte la causa dell’ingiustizia sociale dell’epoca – il sistema delle
caste, il terribile trattamento riservato agli intoccabili e la
monopolizzazione degli insegnamenti spirituali da parte di coloro che
godevano delle migliori condizioni materiali e tuttavia non erano
praticamente per nulla religiosi.

Per reazione, il Buddha diede risalto alla dottrina del non-Atman (non-sé).
Egli affermava: “Le cose sono vuote di un sé separato e indipendente. Se
cercate il sé di un fiore, vedrete che è vuoto”. Ma quando i buddhisti
cominciarono a venerare l’idea di vuoto, egli disse: “Se vi fate prendere
dal non-sé di un fiore è peggio che credere nel sé di un fiore”.

Il Buddha non presentò una dottrina assoluta. Il suo insegnamento del non-sé
veniva impartito nel contesto della sua epoca. Era uno strumento di
meditazione. Ma, numerosi buddhisti da allora sono stati attratti dall’idea
di non-sé. Costoro confondono i mezzi e il fine, la zattera e la sponda, il
dito che indica la luna e la luna. C’è qualcosa di più importante del
non-sé. È la libertà dalle nozioni sia di sé sia di non-sé.

Per un buddhista essere attaccato a una qualche dottrina, persino a una
dottrina buddhista, è tradire il Buddha. Importanti non sono le parole o i
concetti. Importante è la nostra intuizione profonda della natura della
realtà e il nostro modo di rispondere alla realtà. Se il Buddha fosse nato
nella società in cui nacque Gesù, credo che anch’egli sarebbe stato
crocifisso.

Vedere la via, imboccare il sentiero

Quando Gesù disse: “Io sono la via”, intendeva dire che per avere
un’autentica relazione con Dio, è necessario praticare la Sua via.

Negli Atti degli Apostoli i cristiani delle origini parlavano della propria
fede chiamandola “la Via”. Secondo me, “Io sono la via” è un enunciato più
significativo di “Io conosco la via”. La via non è una strada asfaltata. Ma
dobbiamo distinguere fra l'”Io” detto da Gesù e l'”Io” cui di solito pensano
le persone.

L'”Io” nel Suo enunciato è la vita stessa, la Sua vita, che è la via. Se non
guardate veramente alla Sua vita, non riuscirete a vedere la via. Se vi
accontentate di venerare un nome, foss’anche il nome di Gesù, questo non è
praticare la vita di Gesù. La nostra pratica deve consistere nel vivere
profondamente, nell’amare e agire con carità se davvero desideriamo onorare
Gesù.

La via è Gesù stesso e non semplicemente qualche idea di Lui. Un’autentica
dottrina non è statica, non consiste di pure parole ma della realtà della
vita. Molti che non posseggono né la via né la vita cercano di imporre agli
altri ciò ch’essi credono sia la via. Ma queste sono solo parole che non
hanno rapporto con la vita vera o una vera via. Quando comprendiamo e
pratichiamo in modo profondo la vita e gli insegnamenti del Buddha o la vita
e gli insegnamenti di Gesù, penetriamo per la porta ed entriamo nella dimora
del Buddha vivente e del Cristo vivente, e innanzi a noi si presenta la vita
eterna.

Il vostro corpo è il corpo di Cristo

Nel buddhismo anche noi personifichiamo le caratteristiche cui aspiriamo,
quali la consapevolezza (Sakyamuni Buddha), la comprensione (Manjusri
Bodhisattva) e l’amore (Maitreya Buddha), ma anche se Sakyamuni, Manjusri e
Maitreya non sono qui presenti, è ancora possibile raggiungere la
consapevolezza, la comprensione e l’amore.

Gli stessi discepoli del Buddha sono una continuazione del Buddha.
Consapevolezza, comprensione e amore si possono manifestare attraverso le
persone della nostra stessa epoca, anche attraverso noi stessi. Non dobbiamo
tanto credere alla resurrezione dei Buddha e dei bodhisattva quanto alla
generazione di consapevolezza, comprensione e amore in noi stessi.

Il Cristo vivente è il Cristo dell’Amore, momento dopo momento. Quando la
chiesa manifesta comprensione, tolleranza e amorevolezza, Gesù è presente. I
cristiani devono contribuire al manifestarsi di Gesù Cristo con la loro
condotta di vita, mostrando a coloro che stanno loro intorno che amore,
comprensione e tolleranza sono possibili. Ciò non si compirà soltanto grazie
a libri e sermoni, deve realizzarsi con il nostro modo di vivere.
Nell’ambito del buddhismo anche noi affermiamo che il Buddha vivente, colui
che insegna l’amore e la compassione, deve manifestarsi attraverso il nostro
modo di vivere.

Grazie alla pratica di innumerevoli generazioni di buddhisti e di cristiani,
l’energia del Buddha e quella di Gesù Cristo sono giunte sino a noi. Noi
possiamo entrare in contatto con il Buddha vivente e con il Cristo vivente.
Sappiamo che il nostro corpo è la continuazione del corpo del Buddha e che è
parte integrante del corpo mistico di Cristo. Abbiamo una stupenda occasione
per contribuire alla continuazione del Buddha e di Gesù Cristo: grazie ai
nostri corpi e alle nostre vite, la pratica è possibile. Se odiate il vostro
corpo e pensate che sia soltanto una fonte di tormento, che contenga
soltanto le radici dell’ira, dell’odio e del desiderio, non comprendete che
il vostro corpo è il corpo del Buddha, che il vostro corpo è parte del corpo
di Cristo.

Godete d’essere vivi

È meraviglioso respirare e sapere d’essere vivi. A cagione del fatto che
siete vivi, ogni cosa è possibile. Il Sangha, la comunità di pratica, può
continuare. La chiesa può continuare. Vedete di non sprecare un solo
momento. Ogni momento è un’occasione per infondere vita nel Buddha, nel
Dharma e nel Sangha. Ogni momento è un’occasione per manifestare il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo.

“C’è una persona la cui comparsa sulla terra è volta al benessere e alla
felicità di tutti. Chi è quella persona?”.

Questo è un interrogativo tratto dall’Anguttara Nikaya. Per i buddhisti
quella persona è il Buddha. Per i cristiani quella persona è Gesù Cristo.
Tramite la vostra vita quotidiana potete contribuire alla continuazione di
quella persona. Basta soltanto che camminiate nella consapevolezza, che
muoviate dei passi pacifici e felici sul nostro pianeta. Respirate a fondo e
godete del vostro respiro. Siate consapevoli che il cielo è azzurro e i
canti degli uccelli sono bellissimi. Godete d’esser vivi e contribuirete
alla continuazione del Cristo vivente e del Buddha vivente per molto tempo a
venire.

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