Come “leggere” il pensiero degli altri guardandoli in faccia

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Come “leggere” il pensiero degli altri guardandoli in faccia

(e perché è così importante)

Pupille dilatate, sopracciglia curvate, bocca aperta… Un’impercettibile smorfia in faccia può
aiutare il cervello a decifrare sentimenti ed emozioni di chi abbiamo di fronte. Ecco come funziona.

25 maggio 2023 – Raffaella Procenzano

Guardiamoci in faccia: lo diciamo ogni volta che vogliamo che qualcosa sia ben chiaro. Perché il
viso esprime – più delle parole – i nostri sentimenti e lascia trasparire le vere intenzioni. Così,
in un discorso, quando si vuole dimostrare a qualcuno la propria sincerità, lo si invita a guardarci
in viso.

A CHE COSA PENSI? Abbiamo la mimica facciale più espressiva di tutto il regno animale: smorfie,
sguardi, segni d’intesa ci compaiono in faccia continuamente, anche quando non ce ne rendiamo conto.
Inoltre, molte espressioni come il sorriso, il cipiglio, la risata, il broncio si possono facilmente
simulare per lanciare un segnale ai nostri simili. Un volto così mobile rende possibile la
comunicazione anche senza le parole. Non a caso, abituati alla mimica occidentale, i primi
viaggiatori in Giappone si chiedevano se gli abitanti di quelle isole provassero i loro stessi
sentimenti solo perché erano molto più bravi a mantenere il viso impassibile.

Del resto, guardarsi conviene: le parole non possono bastare. Tant’è vero che per le comunicazioni
brevi via messaggio sono state inventate le emoticon: “faccine” che segnalano lo stato d’animo di
chi scrive e che possono dare a una frase un significato del tutto diverso.

A ME GLI OCCHI. Ma perché sapere “che faccia fa” un’altra persona è così importante? Perché il
cervello umano è una macchina per connettersi con gli altri: è modellato per leggere in modo veloce,
efficace e automatico la mente altrui. Una capacità che hanno anche molti altri animali (soprattutto
i primati), ma che solo nella nostra specie si è sviluppata così tanto. Osservare le espressioni
facciali serve proprio a decifrare meglio il pensiero di altri individui. Cominciando dagli occhi,
che non a caso hanno la sclera bianca per far capire dove si dirige il nostro sguardo. Se sappiamo
dove un’altra persona sta guardando, capiamo che cosa sta catturando la sua attenzione e possiamo
indovinarne le intenzioni o addirittura anticipare le sue azioni. Gli scienziati hanno scoperto
infatti che se osserviamo una persona che gira lo sguardo verso qualcosa di abbastanza piccolo da
essere tenuto in mano, si attivano nel nostro cervello le stesse zone che useremmo se a prendere
l’oggetto fossimo proprio noi.

Lo stesso vale per le emozioni: se una persona ha paura, le palpebre si aprono e si vede più sclera
(più “bianco degli occhi”), nella felicità invece si stringono e il bianco diminuisce.

Alcuni esperimenti hanno dimostrato che bastano questi deboli segnali perché da una zona del
cervello, l’amigdala, parta “l’ordine” che ci induce a provare a nostra volta timore o contentezza.
Secondo il celebre neuroscienziato Antonio Damasio, quando si osserva qualcuno provare una emozione
è come se quella stessa emozione la sentissimo anche noi (nel cervello). Senza questo
meccanismo-specchio potremmo vedere le emozioni ma non “capirle”. Del resto gli psicologi hanno
spesso osservato che durante una conversazione tra due persone si tende a imitare, in modo appena
accennato, le espressioni dell’altro.

PUPILLE DILATATE. Dagli occhi il nostro cervello assorbe anche un’altra informazione: la dimensione
della pupilla, che è regolata dal sistema nervoso autonomo, lo stesso che controlla la frequenza
cardiaca o il ritmo del respiro. La pupilla si dilata e si restringe come reazione a diverse
emozioni, sia positive sia negative. Se la persona con cui stiamo parlando ha le pupille dilatate,
ci sta ascoltando con interesse, se le ha strette invece non è d’accordo o non sta facendo
attenzione alle nostre parole. Per questo, chi ci guarda con le pupille larghe ci appare più
gradito, anche se non sappiamo perché. Se poi le pupille sono molto grandi potrebbe addirittura
essere molto interessato anche in senso sentimentale. Ed è stato verificato che se si guarda una
persona con le pupille dilatate anche le pupille dell’osservatore si aprono. Insomma, ci fa piacere
che qualcuno ci guardi con piacere: è questa la base della socialità.

In ogni caso, il riconoscimento delle espressioni facciali è una faccenda complessa per il cervello:
«Non va dimenticato che il volto cambia drasticamente: quando per esempio qualcuno ride, la
conformazione di occhi e bocca è molto diversa da quella di una faccia tranquilla. Eppure
riconosciamo lo stesso quella persona. E contemporaneamente leggiamo la sua emozione: è contenta»,
racconta Maria Ida Gobbini, neuroscienziata del Dipartimento di Medicina sperimentale all’Università
di Bologna. «Per arrivare a questa conclusione il cervello richiama tutte le informazioni che ha su
quell’individuo: che posizione occupa nella nostra cerchia sociale, che tipo di approccio ha con gli
altri, che visione ha del mondo. E si attivano proprio le regioni cerebrali deputate alla “Teoria
della mente”, vale a dire quelle che ci permettono di capire che cosa passa per la testa altrui».

Comunicare le emozioni col volto è così importante che, come ha provato una recente ricerca condotta
all’Università di Baltimora, negli Usa, i pazienti con paralisi facciale, che quindi non possono
esprimersi attraverso le emozioni del viso, vengono ritenuti meno attraenti e desiderabili come
partner.

Che le espressioni siano dunque un segnale, fondamentale da leggere ma anche da esprimere, è certo.
Un segnale molto antico: il sorriso nervoso segno di ansia è comune anche tra gli scimpanzé e serve
proprio per rabbonire un possibile nemico.

FACCE NEL PANCIONE. Segnalare sul viso il proprio “stato interno”, del resto, è un istinto innato:
già dopo due e tre giorni di vita i neonati distinguono un volto contento da uno triste e verso i
2-3 mesi sono in grado di riprodurre sul proprio viso le espressioni emotive che vedono sul volto
materno. Anche i bambini nati ciechi sorridono, si accigliano, fanno il broncio quando sono
contrariati. Ma manifestano anche altre espressioni fondamentali come per esempio la sorpresa, che
fa loro alzare le sopracciglia.

In realtà, le espressioni del viso dipendono da due diverse vie nervose che provengono dal cervello:
una di queste è volontaria, l’altra no. «Per poter produrre un’espressione “apposta” è fondamentale
averla vista. Un nostro studio su persone nate cieche dimostra che se si chiede loro di produrre una
espressione, per esempio felice, o rabbiosa, il risultato non è riconoscibile. Ma naturalmente
queste persone riescono a fare queste “facce” quando l’emozione la provano davvero. Non sono cioè in
grado di mentire con il volto», fa notare Gobbini.

LE SCOPERTE DEGLI SCIENZIATI. La ricerca, infatti, ha ormai identificato i segnali mimici
corrispondenti alle varie emozioni e ai mix tra emozioni diverse. Secondo gli studi di Paul Ekman,
che negli anni Sessanta visse a lungo in una regione montagnosa della Nuova Guinea a contatto con
tribù di cacciatori e raccoglitori, le cosiddette emozioni base (sorpresa, paura, disgusto, rabbia,
felicità e tristezza) corrispondono a configurazioni specifiche nei muscoli che le esprimono e che
sono innate, spontanee (le espressioni si generano senza che ne siamo consapevoli) e universali
(sono le stesse in tutte le culture). Anche eccitazione e vergogna sembrerebbe che si possano
leggere in viso abbastanza facilmente, ma la scienza non ha ancora trovato le prove definitive.

Del resto, la mimica facciale è molto più complessa di quanto possa sembrare: la sorpresa
interrogativa, quella sbalordita o quella attonita per esempio mettono in moto i muscoli in modo
diverso. Inoltre esistono mimiche specifiche per mix di emozioni, come le espressioni
triste-arrabbiata o impaurita-sorpresa (Ekman ha descritto ben 33 di questi mix).

QUANDO C’È TENSIONE. In volto è facile leggere anche i segni di tensione: quando vengono mostrate ad
alcune persone ignare le foto di studenti durante un esame e quelle degli stessi studenti a
colloquio con il professore in un momento non stressante, le immagini del viso “da esame” vengono da
tutti giudicate più tese rispetto alle altre.

E anche se l’espressione delle emozioni base è universale, ci sono differenze culturali su quale sia
il momento giusto per esprimerle e quando sia invece il caso di sopprimerle.

In un esperimento classico è stato mostrato a un gruppo di studenti Usa e a un gruppo di studenti
giapponesi un filmato di un intervento chirurgico. Le espressioni di disgusto erano le stesse nei
due gruppi. Ma se al filmato assisteva anche un professore autorevole dell’Università, le
espressioni dei ragazzi giapponesi diventavano impassibili, mentre quelle dei ragazzi americani non
cambiavano e continuavano a esprimere disgusto anche in presenza del professore.

Il dibattito su quanto le espressioni del viso siano quindi legate alla cultura è ancora oggi
oggetto di discussione: Oliver Garrod, psicologo dell’Università di Glasgow, in Scozia, sostiene che
le espressioni del viso universali non siano sei, ma quattro (rabbia e sorpresa verrebbero quindi
escluse). Studiando con la risonanza magnetica l’attività mentale di 30 persone (15 orientali e 15
europei) intente a osservare le foto che rappresentano le 6 emozioni principali, Garrod ha inoltre
notato che il funzionamento cerebrale nei due gruppi etnici era diverso e ha concluso che nel
cervello non esiste uno schema comune di riconoscimento delle emozioni in culture diverse.

NON FARE QUELLA FACCIA. In ogni caso, dire che le espressioni facciali sono involontarie non vuol
dire che non si possano controllare. Però occorre fare uno sforzo. E lo sforzo si vede. Per questo,
sul volto si possono leggere anche i segnali di menzogna. Fin da piccoli tutti noi impariamo a
camuffare e controllare le espressioni del viso, e spesso viene insegnato che lasciare trasparire
quello che si prova è sbagliato (una mamma può dire al figlio: “non fare quella faccia”).

TRE MODI DI MENTIRE CON IL VOLTO. Ci sono almeno tre modi di mentire usando il volto: mostrare un
sentimento inesistente (simulazione), non mostrare ciò che proviamo (neutralizzazione) o mascherarlo
con una emozione fittizia (mascheramento). Di solito si usa il terzo metodo. E per riuscirci agiamo
soprattutto sulla bocca, la parte del viso che controlliamo meglio.

Il volto ha infatti tre zone capaci di movimenti indipendenti: fronte e sopracciglia, occhi palpebre
e radice del naso, guance bocca mento e gran parte del naso. La felicità, per esempio, è l’unica
emozione che non coinvolge la parte alta del viso. Quindi se le sopracciglia sono alterate o ci sono
rughe sulla fronte, il sorriso sta in realtà nascondendo un’altra emozione, che invece emerge
proprio sulla fronte.

SORRISO: SINCERO O NO? Per riconoscere un sorriso sincero bisogna guardare infatti gli occhi: di
fronte a una gioia vera si muove il muscolo orbicolare, quello che circonda il globo oculare e che
crea le pieghe orizzontali sotto le palpebre inferiori che rendono dritte queste ultime. Ma gli
occhi si “strizzano” solo nella parte più esterna, per cui le sopracciglia si abbassano appena un
po’ al centro. Inoltre, il sorriso vero non dura più di tre o quattro secondi.

I DETECTIVE DEI SENTIMENTI. Naturalmente esistono persone più brave di altre a mentire col viso:
coloro che utilizzano fronte e sopracciglia come segni di interpunzione nella conversazione, per
sottolineare certe parole. Si tratta di individui più abituati a usare anche la parte alta del viso
in modo consapevole, che possono “organizzare” tutta la loro faccia a seconda delle occasioni. Ma
esistono anche individui più abili a individuare le bugie.

Il sorriso solo accennato che contiene derisione, per esempio, è asimmetrico e per questo anche se è
molto veloce può essere notato da un osservatore attento. E del resto esiste chi non si lascia
ingannare nemmeno dalle cosiddette microespressioni, che durano da un quinto a un venticinquesimo di
secondo e compaiono per un attimo sul volto di chi sta dissimulando qualcosa. Questi detective dei
sentimenti naturalmente non vedono l’espressione vera e propria, che scompare troppo rapidamente, ma
capiscono che per un momento sul volto è passata un’espressione diversa e quindi che è in corso una
simulazione.

da focus.it

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