Come meditare?
del monaco buddhista Dhamma Sami
La cosa più semplice è cominciare con anapana, continuare con anapana, e finire con anapana. La procedura? Sedersi in modo confortevole, con il dorso diritto, in un luogo calmo ed isolato, restare immobile, chiudere gli occhi e concentrare la mente soltanto sul punto più evidente della sensazione che nasce dall’aria che entra ed esce dal naso. Si resti assorbiti in tal modo sulla continuità di tale sensazione, provocata da un respiro tranquillo, ma naturale, e ci si dimentichi del resto. E ci si concentri su di esso ogni volta che è necessario, continuamente e pazientemente. E’ tutto.
A volte ci si può fare guidare da un istruttore di meditazione, ma le risposte ai quesiti più importanti verranno da sole, come risultato della pratica.
Il discernimento
Quando la mente si è ben stabilizzata, è pronta a discernere i costituenti di ogni fenomeno, quando appare. Il discernimento, che è l’attitudine mentale che conduce alla Visione introspettiva, rappresenta un’attitudine da realizzare in sé. In tal modo, diverrà un riflesso ed opererà facilmente nei momenti-chiave.
Il discernimento è un problema di ognuno. Nessuno può donare a chicchessia il Dhamma su di un piatto. Ecco la ragione per la quale bisogna praticare da soli. Si deve regolarmente investigare, e trovare il PROPRIO cammino sulla VIA.
Il contentarsi
Rende sopportabile quanto non lo è, apprezzabile quel che non lo è, accessibile ciò che non è accessibile. Allenarsi ad essere soddisfatti di ogni situazione, tale quale si presenta a noi, per quanto non confortevole essa sia, facilita in modo considerevole ogni tipo di ostacolo noi si possa incontrare lungo la Via.
Una qualità che permette di sviluppare quasi in maniera automatica il contentarsi è la gratitudine. Da sola, essa costituisce una pratica eccellente. È la maniera più abile di concentrarsi sui buoni aspetti delle cose, pur nelle situazioni più ostili. Qualunque sia la nostra esperienza, vi è sempre modo di sviluppare la riconoscenza verso persone, grazie alle quali beneficiamo di certe cose profittevoli, oppure utili, qualunque sia l’intenzione di queste persone. Coloro che sanno ospitare nel proprio animo la gratitudine sono i più felici, anche se posseggono appena di che sopravvivere. La gratitudine è un’attitudine che finisce anche per divenire indispensabile nella Pratica. Tanto vale cominciare a produrla, senza attendere altri indugi!
Un altro fatto che aiuta l’accettazione è il ricordarsi che tutti noi abbiamo un bagaglio karmico, che può essere più o meno pesante, a seconda degli individui. La meditazione ha l’effetto, nei primi tempi, di liberarsi dei debiti karmici più grossolani. Ciò spiega i numerosi sconforti, provati da chi medita, inizialmente. Piuttosto che scoraggiarsi, bisogna, al contrario, vedere in questi casi un buon segno Come giustamente dice un proverbio francese: “Chi paga i suoi debiti si arricchisce”.
La solitudine
Durante la pratica, noi siamo sempre profondamente soli. E’ nell’isolamento che si avanza più efficacemente lungo il Sentiero. Mentre si è soli, si rimane molto più facilmente concentrati sulle proprie azioni. Affezionarsi alla meditazione in gruppo non è una buona abitudine. Come ci si troverebbe il giorno in cui la sala di meditazione è vuota? Un rinunciante autentico preferisce sempre la solitudine.
Come rimanere nell’isolamento quando siamo occupati nel mondo? Semplicemente tenendo lo sguardo rivolto in terra. Questa è una regola d’oro anche nel professare la rinuncia. Dopo un buono sviluppo della meditazione, lasciare vagare il proprio sguardo attorno a sé equivale, per un cacciatore di corvi, abbandonare la gabbia del tutto spalancata.
Se, tuttavia, dovessimo dividere la nostra quotidianità con altre persone, restiamo molto esigenti sulla qualità delle nostre frequentazioni. Esse hanno una grande influenza su di noi, qualunque cosa se ne pensi. Se i monaci seri lasciano il monastero rimanendo seri, e quelli corrotti lo lasciano corrotti, ciò non è dovuto al caso.
Ridurre tutto
Per trovarci nelle condizioni migliori, riduciamo ogni cosa al minimo. Sopprimiamo alcune nostre attività – e anche cose accessorie diverse – come anche ciò che non ci è indispensabile allo sviluppo del Dharma. Ecco perché Buddha ha stabilito delle regole così strette per i monaci.
Tolleranza zero
Il modo migliore per non ritrovarsi ammaliati, “intorpiditi”, o corrotti da una sensazione, una emozione, o una idea, è di staccarsi da ogni minimo contatto con un oggetto sensoriale (visivo, uditivo, tattile, gustativo, olfattivo, o pensato). Con l’aiuto di una Vigilanza molto attiva, si lascia scorrere questo fenomeno, prendendo cura di evitare il minimo attaccamento ad esso.. Idealmente, lo si discerne tale quale è, vuoto di sostanza; si investiga la realtà. Se non riusciamo a sviluppare questo riflesso, si resterà inesorabilmente e continuamente immersi nella cecità e, di conseguenza, nelle pene infinite.
Inutile attaccarsi
Il Buddha ci ha insegnato tutto ciò che è necessario alla Liberazione, dalla purificazione degli elementi più grossolani, sino al Risveglio più completo. Non c’è alcun bisogno di aggiungere altro. Inutile, dunque, abbandonarsi a delle discipline che recano energia, benessere, equilibrio ed abilità marziale.
La meditazione ha il potere di fornire energia e di regolare naturalmente più cose di quanto si possa sospettare. Oltre alla “malattia dei kilesa” guarisce molte cose.
La via degli opposti
Le verità del Dharma vanno sovente contro corrente a delle idee consuete. Eccone qualche esempio:
• Per accedere alla Saggezza, la mente non deve essere avida di conoscenze, ma vuota di conoscenze.
• L’obiettivo non è l’Illuminazione, ma l’Eliminazione.
• Non si cerca di decollare, ma di atterrare.
• L’ideale non è quello di raggiungere uno stato, ma di essere liberi da ogni stato.
• La vera felicità non è quella di acquisire quel che si vuole, ma di non volere più nulla.
Generalmente, si crede che la meditazione sia una cosa difficile. In effetti, è molto facile, poiché consiste nel lasciare la mente nel riposo più completo. L’unico problema sta nel fatto che la mente è troppo selvaggia per giungere a (ri)posarsi semplicemente. Sono le cattive abitudini, troppo radicate, da lungo tempo, che possono rendere difficile il compito.
La semplicità
L’Insegnamento di Buddha è semplice. Ad un punto tale da rendere sconcertati. Non vale la pena, quindi, di perdere del tempo, o di ingombrare se stessi inutilmente con dei testi complicati.
Anche l’abhidhamma– del quale è utile ricordarsi che non è stato insegnato da Buddha – fa parte di queste inutili complicazioni. Se la pratica del Dhamma può sembrare difficile, ciò non riguarda il suo insegnamento. Se un testo, o delle parole paiono complicati, allora non si tratta certamente dell’Insegnamento di Buddha.
Tutto risiede nell’intenzione
E’inutile appesantirsi con dei riti, delle superstizioni, delle formule speciali, delle preghiere, delle recite, o dei mantra (chi ha mai detto che Buddha ne abbia insegnato, fosse anche uno solo?). Non appena i nostri desideri e le nostre intenzioni sono puri, allora non si devia dalla Via.
Gandhi ha detto:
E’meglio mettere il proprio cuore nella preghiera, senza trovare le parole, che trovare delle parole, senza inserirvi il cuore.
La referenza
Esistono numerosi testi sul Dhamma, dei quali molti sono in contraddizione con l’insegnamento originale (anche quelli di autori conosciuti a livello mondiale). E’, quindi, importante non accordare una fiducia cieca a quanto si legge – compreso il presente sito – e non studiare oltre.
Altrimenti (poiché questi testi propongono spesso nella propria pratica dei chiarimenti che non si trovano nell’insegnamento originale), bisogna prendere l’abitudine di verificare, per proprio conto, se essi sono in sintonia con la parola originale, studiando i Sutra, un tesoro relativamente ben conservato, al quale abbiamo la fortuna di potere ancora accedere, al giorno d’oggi.
Da leggere imperativamente:
http://it.dhammadana.org/sutta.htm
http://www.buddha-vacana.org/
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Chi ha appena letto questa pagina deve essere convinto che è ben comodo leggere delle belle frasi, ma che il passaggio alla pratica è tutt’altra storia. E’ a forza di provare che si giunge al termine. Sicuramente, tutto dipende da quanto noi vogliamo veramente. E tutti finiamo sempre a raccogliere quel che meritiamo.
Il Buddha ha detto:
Siate saggi nella misura il cui vi potete convincere di fare delle cose che non amate, ma che sapete avranno come risultato la felicità; e dal trattenervi dal compiere delle azioni che amate eseguire, ma che sapete avranno quale risultato del dolore e del male.
In breve, il sacrificio e gli sforzi sembrano grandi, ma restano insignificanti se li si paragona alla Liberazione che ci attende alla fine del cammino: il termine ultimo di ogni sofferenza.
(Tratto da http://it.dhammadana.org del monaco buddhista Dhamma Sami [sito tradotto in italiano da Guido Da Todi])
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