Come si sviluppa una sana affettività?

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Come si sviluppa una sana affettività?

di Marco Ferrini

Una persona anaffettiva non può stabilire relazioni profonde con nessuno, tantomeno con Dio.

L’anaffettività è una grave carenza nell’essere umano. Anaffettività = aridità.

C’è speranza di guarigione per una persona anaffettiva?

Sì! Seguendo la logica pedagogica che Krishna esprime nella Bhagavad-gita, bisognerebbe dire sia qual è l’ostacolo che in che cosa consista la cura.

L’ostacolo è la compagnia di persone anaffettive.

E quale sarà la cura?

Stare con persone che hanno sviluppato un buon livello di affettività, il che non vuol dire sentimentalismo. Il sentimentalismo non è una bella fioritura dell’affettività, anzi ne è un’espressione deviata. Ciò di cui dovremmo andare in cerca è invece un’affettività sana, ben fondata, coerente, che ha le proprie radici in un sentimento autentico di matrice spirituale, che va ovviamente ben oltre l’adozione di un comportamento di mera cortesia formale.

Sapete da dove proviene etimologicamente il termine “cortese”? Dal sostantivo “corte”, i cui frequentatori dovevano sottostare ad un’etichetta di comportamento particolare, eppure in quegli ambienti – nel mezzo di una cortesia spesso solo ostentata- serpeggiavano tradimenti e inganni di tutti i tipi. Ma esistono invece una cortesia e una gentilezza autentiche, che nascono dal sentimento di benevolenza verso tutti, dal desiderio di rendersi utili, di aiutare le persone ad esprimere la migliore versione di loro stesse.

La vera affettività la si impara da chi la possiede in maniera effettiva, concreta. La Bhakti, l’amore per Dio e per ogni sua creatura, ne è l’espressione più alta, e consiste in un affetto profondo espresso ovviamente in maniera non solo formale. Va bene la formalità, ma quel che davvero conta è la sostanza.

E come si sviluppa questa sostanza?

Come si conquista la ricchezza dell’affettività autentica?

Soprattutto stando vicino, osservando e servendo chi questa ricchezza l’ha già accumulata in chissà quante vite. Ricordiamoci: diventiamo chi serviamo. Attenzione alle persone che frequentiamo, perché se le frequentiamo, e ancor più se le serviamo, diventiamo molto simili a loro. Accostandoci infatti al campo energetico altrui, in una qualche misura ne rimaniamo influenzati, se non addirittura invasi.

Ma allora tutta quella cultura religiosa che induce a servire ogni prossimo tuo come te stesso?

Il principio è giusto, ma per applicarlo efficacemente occorre operare una certa distinzione sulla base del discernimento: dovremmo servire gli altri con la consapevolezza che si debbono prendere come riferimento solo quei modelli che hanno valore. Quando non c’è tale consapevolezza e senso della missione per cui ci accostiamo ad una persona allo scopo di aiutarla, ne rimaniamo influenzati e spesso anche condizionati. Dovremmo dunque essere attenti, cauti, prudenti, perché come occorre mantenere sano il nostro sistema immunitario fisico, è fondamentale mantenere sano anche il nostro sistema immunitario affettivo e psicologico.

Se dirigiamo la nostra affettività verso il Signore supremo, sicuramente non sbaglieremo mai.

E verso gli altri come ci comportiamo?

Se coltiviamo l’amore per Dio, proveremo naturalmente amore anche per tutte le sue creature. Annaffiando le radici di un albero, ricevono infatti acqua anche le foglie, i rami, i fiori, le gemme e i frutti. Dio è l’Uno da cui si originano i molteplici. Servendo Lui, serviamo tutti. Legandoci in affettività a quell’Uno ci leghiamo in affettività a tutti. Provando amicizia verso di Lui, diventiamo amici di tutti.

Oltre al modello vivente di chi è affettivamente e spiritualmente evoluto, cos’altro può aiutarci a sviluppare una sana affettività in tempi brevi?

L’invocazione della misericordia divina è un sistema rapido per svilupparla. Hare è la declinazione al vocativo del termine “Hara”, che indica la misericordia e l’energia divina che tutto avvolge, tutto governa e tutto sostiene. Krishna è un nome di Dio che significa il “supremo fascino”. Invocando questi nomi divini, possiamo chiedere di poter ricevere la misericordia e il fascino di Dio per poter affascinare e beneficare gli altri con quella stessa energia divina. Il nome “Krishna” deriva dalla radice sanscrita “krish”, “attrarre”. La potenza di Dio è una forza che affascina. Krishna è l’attraente, l’affascinante. Dunque Hare Krishna significa rivolgersi con spirito di invocazione a questo supremo fascino.

Rama è la felicità essenziale, onnipervadente che non dipende dall’andamento delle cose esterne a noi: freddo, caldo, carenza, abbondanza, mal governo, buongoverno… Con il mantra costituito da questi nomi divini: Hare, Krishna e Rama, possiamo così invocare il fascino, la misericordia e la felicità spirituali con tutto il nostro desiderio di evolvere e di sviluppare così un’affettività sana.

Dalla sana affettività la sana emotività, e così gradualmente si sviluppano le facoltà cognitive sane, le quali possono condurci ad un successo reale, spirituale, che sovrasta l’incessante mutamento delle cose del mondo e rafforza la nostra più alta consapevolezza d’Amore.

Quest’ultima si risveglia nella misura in cui realizziamo che siamo esseri spirituali eterni, intrattenendo così la giusta relazione con il corpo quale veicolo e strumento per agire nel mondo ma senza morbosi attaccamenti. Questi ultimi sono la causa di tutte le paure, in primis la paura della morte, e di tutta la sofferenza collegata all’ineluttabile progressione della vecchiaia.

Se vogliamo prendere le distanze dalla sofferenza, dalla paura e dalla morte, dobbiamo vivere con lo spirito in festa, il che significa far fiorire e risplendere le qualità dell’anima.

Marco Ferrini

da www.marcoferrini.net/

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