Completezza e unicità
di J. Kabat Zinn
Quando abbiamo la concezione della nostra completezza ci troviamo all’unisono con tutto. E allora ci sentiamo completi noi stessi.
Seduti o distesi in stato d’immobilità possiamo ricollegarci col nostro corpo, trascenderlo, immedesimarci col respiro, con l’universo, sentirci completi e coinvolti in entità complete sempre più grandi. Il senso dell’interrelazione apporta una profonda conoscenza dell’appartenenza, dell’essere parte integrante delle cose, di sentirci a nostro agio dovunque ci si trovi. Possiamo assaporare, quasi meravigliati, l’atemporalità che supera la nascita e la morte e, nel contempo, avere coscienza della fuggevole brevità di questa vita e del nostro passaggio, della transitorietà dei legami col nostro corpo, con questo momento e con i nostri simili. Prendendo direttamente atto della nostra completezza durante la pratica meditativa, potremmo trovarci a conciliarci con le cose cosi come stanno, approfondendo comprensione e compassione, alleviando pene e disperazione.
Quando ci convinciamo della nostra completezza intrinseca, non vi sono più luoghi dove andare nè cose da fare. Saremo quindi liberi di scegliere il nostro cammino. Che si agisca o meno regnerà la calma. La troveremo nel nostro intimo in ogni momento e mentre la toccheremo, l’assaporeremo, l’ascolteremo, il corpo non potrà che fare altrettanto e lasciar correre. Anche la mente ascolterà, sperimentando almeno un momento di pace. Aperti e ricettivi, troveremo equilibrio e armonia proprio qui; tutto lo spazio compreso in questo luogo, tutti i momenti compresi in questo momento.
Gli uomini comuni odiano la solitudine
Ma il saggio ne fa uso,
Abbracciando la propria solitudine,
Comprendendo di essere tutt’uno con l’universo.
Lao Tzu, Tao-te-Ching
La pace entra nell’animo degli uomini Quando s’identificano con l’universo.
Alce Nero
Siddharta ascoltava. Era ora tutt’orecchi, interamente immerso in ascolto, totalmente vuoto, totalmente disposto ad assorbire; sentiva che ora aveva appreso tutta l’arte dell’ascoltare. Spesso aveva ascoltato tutto ciò, queste mille voci nel fiume, ma ora tutto ciò aveva un suono nuovo. Ecco che più non riusciva a distinguere le molte voci, le allegre da quelle in pianto, le infantili da quelle virili, tutte si mescolavano insieme, lamenti di desiderio e riso del saggio, grida di collera e gemiti di morenti, tutto era una cosa sola, tutto era mescolato e intrecciato, in mille modi contesto. F, tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita. E se Siddharta ascoltava attentamente questo fiume, questo canto dalle mille voci, se non porgeva ascolto né al dolore né al riso, se non legava la propria anima a una di queste voci e se non s’impersonava in essa col proprio Io, ma tutte le udiva, percepiva il Tutto, l’Unità e allora il grande canto delle mille voci consisteva in un’unica parola.
Herman Hesse, Siddharta
Ciò che è necessario è imparare daccapo, osservare e scoprire da soli, il significato della completezza.
David Bohm, Wholertess and the Implicate Order
Io sono grande; io contengo moltitudini.
Walt Whitman,* Foglie d’erba*
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