Con tutta l’umiltà di cui sono capace

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Con tutta l’umiltà di cui sono capace

di Srila Prabhupada

(da Movimento Iskcon di Maggio-Giugno 2003)

Signori, siamo tutti più o meno orgogliosi dell’antica civiltà indiana, ma ignoriamo in realtà qual
era il suo carattere specifico. Certamente non possono essere le norme materiali di questa cultura
che suscitano in noi tale orgoglio poiché in questo campo abbiamo fatto da allora progressi
considerevoli. Eppure stiamo attraversando un’epoca chiamata comunemente kali-yuga, o “età delle
tenebre”. A quali tenebre si allude dunque? Certamente non alla mancanza di conoscenza materiale,
poiché ora ne abbiamo più che nel passato. Se non noi i nostri vicini sono ben muniti a questo
riguardo. Ne deduciamo dunque che le tenebre che oscurano i nostri tempi sono dovute non all’assenza
di progresso materiale, bensì al fatto che abbiamo perduto la chiave del nostro progresso
spirituale: questa è la necessità primaria della vita umana, e il fattore che caratterizza una
civiltà veramente avanzata. I nostri bombardamenti aerei non sono la prova della nostra superiorità
sulle tribù non civilizzate, che dall’alto delle colline fanno cadere blocchi di pietra sui loro
nemici, e il fatto di aver perfezionato l’arte di uccidere i nostri vicini con mitragliatrici e gas
asfissianti non costituisce affatto un progresso rispetto ai primitivi che erano orgogliosi della
loro abilità di uccidere con archi e frecce. Quanto alla ricerca di una sensazione di benessere
egoistico, essa deriva in realtà da un’animalità intellettualizzata. Comunque sia, il concetto di
vera civiltà si fonda su criteri di tutt’altra natura, e la Katha Upanisad lancia a questo riguardo
un solenne appello:

uttistthata jagrata
prapya varan nibhodata
ksurasya dhara nisita duratyaya
durgam pathas tat kavayo vadanti

“Svegliatevi! Cercate di rendervi conto del privilegio che vi offre la vostra condizione umana. Il
sentiero che conduce alla realizzazione spirituale è molto difficile, stretto e tagliente come una
lama di un rasoio. Questo è il pensiero dei saggi spiritualisti.”(Katha Upanisad, 1.3.14)

Così, molto tempo fa, mentre le altre civiltà dormivano ancora nella notte dei tempi, i saggi
dell’India avevano edificato una cultura differente da quella che conosciamo oggi, e che permetteva
all’uomo di realizzare la sua vera identità. Essi avevano scoperto che l’uomo non è un essere
materiale, ma è il servitore eterno dell’Assoluto, e che possiede quindi una natura spirituale ed
eterna. Scegliendo di identificarci sotto ogni aspetto con questa esistenza materiale, abbiamo
commesso un deplorevole errore di giudizio e abbiamo moltiplicato così le nostre sofferenze in
questo mondo secondo la legge implacabile del ciclo di nascite e morti, con le malattie e le ansietà
che ne derivano. Poiché la materia e lo spirito non hanno niente in comune, nessuna felicità
materiale può veramente compensare queste sofferenze. Per esempio, un pesce fuori dall’acqua
continuerebbe a soffrire e morirebbe, anche se gli offriste condizioni di vita paradisiaca, ma
adatte agli animali terrestri. Sarebbe necessario, invece, sottrarlo all’atmosfera terrestre, che
gli è estranea. Lo spirito e la materia sono diametralmente opposti per natura. Poiché noi siamo
tutti esseri spirituali, non possiamo conoscere quaggiù la felicità perfetta a cui abbiamo diritto,
e ciò, nonostante tutti i nostri sforzi e le nostre qualità materiali. Potremo godere di questa
felicità solo quando avremo ritrovato la nostra condizione spirituale originale. Questo è il
messaggio specifico che ci ha lasciato l’antica civiltà indiana, il messaggio che è proclamato anche
nella Gita, nei Veda e nei Purana, e che è stato trasmesso da tutti gli acarya autentici nella
successione di Sri Caitanya, tra i quali l’acaryadeva attuale.

Signori, sebbene abbiamo potuto cogliere solo in modo imperfetto, e unicamente per la sua grazia, i
sublimi insegnamenti del nostro acaryadeva, Om Visnupada Paramahamsa Parivrajakacarya Sri Srimad
Bhaktisiddhanta Sarasvati Goswami Maharaja, abbiamo sicuramente realizzato che il messaggio divino
che esce dalle sue sante labbra ha il potere di salvare l’umanità sofferente. Riceviamo tutti, con
pazienza, questo messaggio; ascoltiamo queste parole trascendentali senza contestazioni inutili;
allora acaryadeva ci accorderà la sua grazia senza il minimo dubbio. Lo scopo del messaggio
dell’acarya è farci tornare alla nostra dimora originale, il regno di Dio. Perciò, ripeto, è
necessario ascoltarlo pazientemente, camminare sulle sue orme nella misura della nostra convinzione
e prosternarci ai suoi piedi di loto; solo allora perderemo il nostro atteggiamento ribelle e
ingiustificato e potremo servire l’Assoluto e tutte le anime.

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