Concepire DIO

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Concepire DIO

di Anonimo

Secondo i canoni della coscienza concepire un concetto vuole dire acquisirlo talmente bene fino a
diventare spontaneo esprimerlo come facente parte di se, qualcosa di così sentito che istintivamente
viene fuori ogni qual volta è necessario determinare un certo principio inerente al concetto stesso.

Si tratta, infatti, di esprimersi in linea con il proprio sentire, in coscienza, in piena coscienza
di sè.

Solo così si può concepire l’azione unica che si dipana fino ad esaurirsi nello scenario dell’azione
umana, proseguire in quella cosmica, senza con ciò avere mai avuto interruzione perché, infatti,
quella umana è parte integrata ed integrante della stessa, e stabilizzarsi nel suo principio
emanatore.

In questi tre passaggi apparenti c’è tutto, visto e vissuto in funzione al proprio essere e sentire.

C’è la continuità quando così si crede e, poiché così si crede, così si vive; c’è il tutto
contemporaneamente vivo quando l’azione è cosmica per cui la coscienza viene sempre più proiettata
verso il suo essere uno ed indissolubile; c’è l’emanazione, non si è più nel concepito, si è il
concepente.

L’essenza dell’essere, il vero dilemma da sciogliere per concepire Dio.

L’essere è la completezza di sè sentita e vissuta in quanto parte, in quanto insieme o in quanto
assoluto ed in questa progressione dinamica, ma sostanzialmente immobile, c’è l’essenza: che si
compone o scompone manifestando la vita che emana.

In questo continuum infinito c’è la stessa progressione di Dio, progressione che è la risultante
proporzionale all’intendere; che è la concezione concepita in base alla propria capacità, che è
essenza immanente, trascendente o viva, a seconda di cosa si pensa che Dio sia.

Per sviluppare Dio occorre la conoscenza, la conoscenza del mondo, delle cose, dell’apparente e
dell’invisibile, dell’essere nel suo divenire, del presente infinito ed eterno, del nulla che
racchiude il tutto enucleando la vita come unica e vera ragione dell’esistenza.

Vita assoluta dell’azione unica che Dio è: non relatività dunque, strumento per la comprensione, ma
realtà completa e manifesta, attributo divino perché emanazione divina che genera ciò che, per
essere compreso, deve apparire ed intendersi come realtà.

In fondo è semplice, stupendamente semplice concepire Dio, basta esserlo.

Nessuna bestemmia in questo, tutt’altro, si sta parlando del Dio vivo e non della sua immanenza da
dovere trascendere: è inutile alimentare il mistero quando l’uomo chiede di comprendere e vuole
essere se stesso.

La visione di Dio impone un credo perché se ne presuppone la distanza da se, da se stessi: creati da
Dio perché non degni di esserlo.

Essere se stessi obbliga a prendere coscienza del proprio oltre, di ogni oltre e, se in questo c’è
Dio, bene, allora obbliga ad esserlo.

Non è semplice accettare questo, è vero, perché si tratta di dovere dubitare di leggi imposte; è più
facile esserlo perché, quando così è, è letteralmente l’essenza divina che esplode dentro di sè
dimostrando di essere e non di dovere concepire. Dio stesso esplode perché se ne acquisisce
coscienza, si acquisisce la sua coscienza.

L’onnipresente visione diviene frastagliata in ogni suo sè, è parte attiva in ogni essere e l’essere
che è assunto a sè stesso si ritrova oltre il concetto, si ritrova a doverlo emanare, a doverlo
pensare, a doverlo creare.

Ma tutto è già perché sempre Dio è ed è ben in questo che la coscienza diventa divina, non più
possibilità che così possa essere, ma certezza di ciò che si è, eterno ed assoluto.

Perché nulla in sè stessi perisce e quello che sembra trasformazione è solo la costante del
benessere che traccia la linea immaginaria per chi così deve concepire perché, per far sì che così
sia, così deve essere.

Non più visione dell’assoluto da esplorare e concepire, semplicemente vita assoluta e certa,
talmente grande da essere la proiezione del tutto elevata all’ennesima potenza.

Nel senso che chi più ne ha più ne metta, nel senso di non dover presupporre meravigliosi bagliori
di essenza che stratificano paradisi di gloria, nel senso vero di essere vivi per la vita, essendo
la vita stessa, completa ed assoluta.

Come fare? Basta esserlo: essere se stessi dove il sè non c’è Più, l’anima si è sciolta e lo
spirito è assoluto, è Dio.

L’anima scompare quando Dio appare, ed essere oltre l’anima vuol dire avere acquisito la vera vita:
non da morti, perché non muore proprio niente, ma da vivi, in ogni propria cellula, spiritualizzando
ogni propria cellula senza lasciarla nell’ignoranza dell’immanenza congenita.

Nessun peccato da assolvere, solo cultura da estirpare, nessun seme divino da coltivare ma essenza
da cogliere, essenza unica ed indissolubile per tutte le cose, per l’atomo come per la cellula, per
l’uomo come per l’universo, la stessa unica essenza, sempre e solo Dio.

Dio in cielo o Dio in terra, immanente o trascendente, logico o spontaneo, concepibile o assoluto,
vivo o da contemplare.

Qualcosa da raggiungere o da essere: vita o speranza di vita, di vita eterna.

Eternità: faccia nascosta del divino amore, estatico modo di scoprire l’essenza, o momento in cui
l’essere concepisce di essere sè stesso?

Nessuna differenza in questo perché, quando cosi è, non si sta più parlando di un essere qualunque,
ma di chi ha concepito sè stesso, cosa di non poco conto se l’essenza è Dio.

Si tratta quindi di voler essere sè stessi o preferire che il sè resti scisso, da cercare in eterno,
cercare in eterno per paura che, trovandolo, ci sia l’annichilimento.

Responsabilità questa troppo grande per l’uomo, è meglio che se la assuma Dio; forse è meglio che
l’essenza non esploda e resti sempre scintilla perché c’è l’alibi per poter cercare ancora, cercare
sempre Dio.

Concepire Dio è cosa diversa, è vestirsi di panni divini per andare oltre; ma, intendiamoci, l’oltre
è la vita e quindi vestire i panni terreni per essere l’uomo nuovo che concepisce l’azione divina
come suo modo di glorificare l’essenza, esponendo la sua stessa essenza, verificando che il cammino
non è come si pensa, ricerca del sè perduto, ma attualizzazione del “qui e ora” nel momento
presente.

Se questa è la vita lo è perché Dio è la vita; ed in questo meraviglioso composto che è l’universo
tutto, visibile ed invisibile, l’uomo deve trovare il coraggio di osare essere se stesso, che è poi
la manifestazione tangibile della sua stessa essenza nella carne.

Il verbo che si incarna è la parola viva nel momento in cui è necessario che così sia, perché il
mutamento e la metamorfosi compiano un giro di boa nell’oceano di luce che è l’amore divino.

Concependo Dio si è se stessi, ma si è se stessi quando si concepisce che Dio è vivo in sè, vivo ed
agente, e si trova il coraggio di essere sè stessi fino in fondo, per così permettere la
manifestazione del verbo tramite l’azione diretta che è vita, parola, amore, potenza, gloria,
essenza, coscienza contemporaneamente vigile ed attiva in tutto ed in ogni cosa, in assoluto e
nell’essere che realizza l’assoluto.

Padre, Figlio e Spirito per la vera gloria di Dio che è l’Uno esponenziale di ogni cosa, di
qualunque cosa e non il miracolo vestito di mistero.

Concepire Dio è vivere Dio, è essere la propria essenza nel momento in cui si sa riconoscere di
poter fare esplodere la scintilla divina che si è.

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