CONCETTI FONDAMENTALI DELLA FILOSOFIA INDIANA

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CONCETTI FONDAMENTALI DELLA FILOSOFIA INDIANA

a cura di Parama Karuna d.

tratto dal forum Isvara.org

Induismo o sanatana dharma

La cultura indiana attuale è costituita da una sovrapposizione di numerose influenze dovute alle
vicende politiche e militari degli ultimi 5000 anni. La cultura originale indiana, basata sui Veda,
viene attualmente chiamata Induismo o Brahmanesimo, ma la definizione più precisa è piuttosto quella
di Sanatana dharma (“la religione eterna”) che consiste nel ristabilire il collegamento tra l’anima
individuale e il Tutto supremo e assoluto. I Veda costituiscono la raccolta di scritti religiosi più
vasta e antica del mondo e contengono dettagliati insegnamenti sullo yoga, sulle celebrazioni
rituali, sulla creazione e sulla geografia dell’universo, sulla filosofia e sulla teologia, ma anche
sulla medicina, sull’arte militare e così via.

Secondo la tradizione vedica, i Veda stessi sono eterni, ma circa 5000 anni fa vennero messi per
iscritto da Krishna Dvaipayana Vyasadeva, che compilò anche una serie di commenti ai Veda, tra cui
il Vedanta sutra, le Upanishad, i Purana, le Itihasa e così via.
Tra i pilastri fondamentali della filosofia del Sanatana dharma ci sono la reincarnazione, il karma
e lo yoga, che negli ultimi decenni sono diventati estremamente popolari anche in occidente.
Riteniamo indispensabile dare qui di seguito qualche essenziale spiegazione dei concetti basilari
della filosofia del Sanatana dharma, così come sono spiegati nel suo testo più importante e
universalmente riconosciuto, la Bhagavad gita.

Il sé (atma)

Dal punto di vista puramente linguistico, il termine atma (sé) indica generalmente l’anima
spirituale, ma a seconda delle circostanze e del grado di realizzazione può indicare anche la mente
e talvolta persino il corpo. Viene dunque usato in tutti questi significati, e va interpretato a
seconda del contesto. Un livello ancora superiore alla comprensione di atma come anima spirituale è
quello del param-atma, l’Anima Suprema, il Sé supremo, concetto fondamentale per comprendere la
teologia vedica ma estremamente difficile da penetrare, tanto che sul”interpretazione di questo
punto cruciale si sono formate diverse scuole teologiche. Le due principali scuole teologiche
vediche sono definite dvaita-vadi (personalista) e advaita-vadi (impersonalista).

Secondo la scuola impersonalista questo param-atma, Anima Suprema, è l’unica vera realtà, e
l’individualità dell’atma è pura illusione, non solo al livello del corpo e della mente ma anche al
livello dell’anima; gli impersonalisti tendono dunque a interpretare alcuni versi della Gita secondo
una visione che esclude l’esistenza di un Dio personale. La scuola personalista sottolinea invece
che l’individualità dell’anima è eterna e che il Brahman, lo spirito supremo impersonale, in realtà
ha origine dalla Suprema Personalità di Dio. Non si può coltivare devozione (bhakti) verso uno
spirito impersonale o verso il sé impersonale, eppure Krishna parla chiaramente, affermando in
moltissimi versi che soltanto la devozione, la meditazione, la recitazione e l’ascolto delle sue
avventure divine (divyam) possono portare l’anima alla perfezione. Per brevità, evitiamo di
dilungarci in una discussione dettagliata sulle differenze tra le due scuole e sulla loro sintesi,
che potrà essere trattata in un’altra pubblicazione.

La Gita inizia spiegando il punto fondamentale della realizzazione spirituale, cioè il fatto che il
vero sé non è il corpo ma l’anima, che è spirituale, eterna e immutabile. L’anima è eternamente
individuale e cosciente e non perde mai la propria speciale identità, ma ha la tendenza ad essere
ricoperta dall’illusione a causa della sua natura infinitesimale. Allo stato liberato, tale identità
non va persa ma è piuttosto sgravata dalle false concezioni di sé (ahankara) che confondono l’anima
facendole credere di essere materia, di essere il centro dell’universo, di essere l’autore e il
beneficiario dell’azione.

Il meccanismo della reincarnazione è un processo continuo che si svolge anche durante questa vita,
poiché il nostro corpo è in continua trasformazione dalla nascita all’infanzia, alla giovinezza alla
maturità e infine alla vecchiaia. La differenza fondamentale della morte rispetto al passaggio da
un’età all’altra è che le condizioni del corpo e della mente non permettono più un ricambio graduale
delle cellule e dell’identificazione materiale, ed è necessario un cambiamento più radicale: bisogna
abbandonare completamente l’involucro precedente e ricominciare a raccogliere materia per il nuovo
corpo nella situazione più consona al nostro viaggio interiore.

Il dharma

Il concetto di dharma, generalmente tradotto come “religione” è in realtà molto più complesso, e può
essere definito meglio come “qualità intrinseca” e “attività collegata con la propria natura”,
proprio come diremmo che il dharma del fuoco sono la luce e il calore e il dharma dell’acqua è la
liquidità. Al livello condizionato delle divisioni sociali dell’umanità abbiamo diversi dharma
collegati con la diversa natura psicologica e attitudinale delle categorie di esseri umani, che sono
considerati doveri religiosi in quanto lo svolgimento coscienzioso del proprio dovere è accettato
dalla teologia induista come una forma legittima di adorazione del Supremo. Questo concetto si
collega anche alla celebrazione del “sacrificio” (yajna) che può essere eseguita sia con
l’esecuzione di particolari rituali religiosi sia con la giusta e accurata esecuzione del proprio
dovere naturale. Poiché il dharma eterno dell’essere vivente è quello di servire il tutto, le
diverse categorie sociali hanno il dovere religioso di servire il corpo sociale. Il dharma di una
persona di famiglia è quello di servire la famiglia, la società e così via. Chi non ha niente e
nessuno da servire finisce per servire i propri sensi, la propria mente, o anche solo un animale da
compagnia, ma è sempre e comunque impegnato nel servizio.

A livello dell’anima, però, l’eterna religione o natura (sanatana-dharma) dell’anima individuale è
la relazione armoniosa con Dio, il servizio al Supremo. La differenza tra dharma eterno (religione
spirituale) e dharma condizionato (religione materiale) è quindi fondamentale: chiunque può
spostarsi da una tradizione religiosa (cioè dottrinale, sociale e culturale) all’altra, ma non è mai
possibile modificare la propria natura fondamentale, che è quella di servire il Tutto Assoluto in
una relazione di amore.

Il karma

Il termine karma è ormai entrato a pieno diritto nei vocabolari di tutte le lingue, poiché il suo
complesso significato non ha una traduzione equivalente in nessun’altra lingua del mondo. Potremmo
tradurlo parzialmente come “azione, reazione e relazione tra azione e reazione” e di conseguenza
“destino, buona o cattiva fortuna”, “bagaglio di lezioni da imparare o già imparate” eccetera. La
scienza dell’azione viene spiegata dettagliatamente nella Gita, che la considera un punto
fondamentale nello sviluppo spirituale. Fondamentalmente, la legge del karma è una legge puramente
fisica e scientifica: ogni azione provoca una reazione uguale e contraria. Come in fisica succede
per le forze, le reazioni si possono accumulare, smaltire e controbilanciare sempre applicando
l’azione (cioè nuove forze).

La Gita distingue tra karma propriamente detto (“azione positiva compiuta per ottenere un
risultato”), vi-karma (“azione negativa compiuta per egoismo senza preoccuparsi dei risultati”) e
a-karma o nais-karma (“azione che non produce reazioni vincolanti, né buone né cattive, per il suo
autore”). E’ importante notare che il karma è sempre temporaneo e soggetto a esaurimento, quindi il
“destino” in sé viene riscritto ad ogni istante.

I guna

La parola guna significa letteralmente “corda”, “colore”, “qualità”, “attributo”, “caratteristica”.
I guna della natura materiale sono tre: sattva (bontà), rajas (passione) e tamas (ignoranza).
L’interazione tra queste tre qualità fondamentali della natura dà origine a un’immensa varietà di
sfumature di livelli di coscienza negli esseri viventi e di caratteristiche fisiche negli oggetti
inanimati. Esseri viventi e oggetti inanimati interagiscono tra loro grazie a queste “corde” che li
collegano, e in particolare gli esseri umani, equipaggiati di una mescolanza particolarmente
propizia di “colori”, possono usare saggiamente le “corde” della natura issandosi attraverso la rete
che esse formano e liberarsi così dalla trappola della materia.

Lo yoga

La parola yoga deriva dalla radice verbale yuj, “unire”, “collegare”, “disciplinare”, “asservire”,
“controllare”, proprio come i cavalli vengono “aggiogati” al carro per trainarlo. In questo senso,
la parola yoga ha lo stesso significato primario della parola “religione” (che deriva dal latino
“re-ligare”, cioè collegare l’essere umano al divino).
Il concetto di yoga però è decisamente più ampio, in quanto si applica ai diversi livelli di
identificazione relativi all’atma: corpo/volontà, sensi/mente, mente/intelligenza, intelligenza/sé
spirituale, sé inferiore/sé superiore, sé individuale/Sé supremo, dove l’uno deve essere
disciplinato, collegato, controllato e usato dall’altro in direzione ascendente. In generale, lo
yoga è la pratica disciplinata di questo controllo del superiore sull’inferiore per progredire
nell’evoluzione personale.

La Bhagavad Gita menziona vari metodi dello yoga, che non sono però incompatibili tra loro: il
buddhi-yoga (yoga dell’intelligenza, della consapevolezza), il karma-yoga (yoga dell’azione
disinteressata compiuta secondo il proprio dovere), il jnana-yoga (yoga della ricerca della
conoscenza filosofica e scientifica), il sankhya-yoga (yoga della ricerca logica e analitica della
verità), il bhakti-yoga (yoga dell’amore e della devozione al Supremo) e l’hatha-yoga, detto anche
astanga-yoga, “l’ottuplice” sentiero tradizionale della disciplina tantrica.

Una delle pratiche più importanti dell’hatha yoga è il pranayama, il “controllo della respirazione”
— unica funzione che nell’essere umano può essere allo stesso tempo consapevole e inconsapevole ed
è collegata strettamente con il flusso dei pensieri, delle emozioni e della coscienza.

Tutte le pratiche yoga hanno lo scopo di portare la consapevolezza al punto del samadhi (sama-dhi,
“intelligenza costante”) in cui non ci sono più momenti di incoscienza, ma la visione interiore è
sempre perfettamente chiara.

Vishnu e Krishna

Secondo le scritture vediche, il Signore Supremo e trascendentale, chiamato Narayana o Vishnu, crea
l’intera manifestazione cosmica, poi entra in essa per sostenerla e mantenerla, manifestandoSi
inoltre in numerosi avatara (“incarnazioni”) per proteggere il mondo e attirare a Sé le anime
condizionate con avventure affascinanti.

Vishnu viene rappresentato in una forma maestosa e potente, con quattro braccia che reggono i
simboli del fiore di loto (benedizione), conchiglia (protezione), mazza (punizione per i malfattori)
e disco (che rappresenta il tempo eterno, l’orbita del sole). La compagna eterna di Vishnu è
Lakshmi, la dea della fortuna e della bellezza.

La forma più intima e amata di Vishnu è Krishna, il pastorello trascendentale che scambia relazioni
di amore profondo con i Suoi devoti, tra cui le gloriose pastorelle di Vrindavana (gopi). Krishna
apparve su questo pianeta 5000 anni fa, poco prima dell’inizio del Kali yuga, e manifestò i Suoi
divertimenti a Mathura, Vrindavana e Dvaraka. La compagna eterna di Krishna è Radharani,
manifestazione della pura e totale devozione al Signore. La storia di Krishna e di altri avatara è
narrata soprattutto nel Bhagavata Purana. Krishna espose la famosa Bhagavad gita ad Arjuna sul campo
di battaglia di Kurukshetra, come riporta il Mahabharata.

Shiva e la Dea Madre

Una manifestazione indiretta di Vishnu, Shiva è il padre del mondo materiale, e la sua compagna
eterna è la Dea Madre, chiamata anche Parvati, Sati, Durga, Mahakali o Bhadrakali, Trayambaka,
Chamundi, Narayani e Vaishnavi. La Dea Madre (detta anche Shakti, “energia” o “potenza”) viene anche
adorata in altre forme a seconda della sua relazione con gli altri aspetti diretti e indiretti del
Signore (Radharani, Lashmidevi, Bhu, Nila, Sitadevi, Sarasvati, Brahmani, Gayatri, Savitri, Sitala
ecc.)

Così come Vishnu è talvolta adorato nella forma di pietre sacre (chiamate Shila), anche Shiva viene
adorato generalmente nella forma di una speciale pietra chiamata Lingam. Mentre l’offerta più
gradita a Vishnu o Krishna è costituita da foglie e fiori freschi di Tulasi, Shiva gradisce
particolarmente l’offerta di foglie di Bilva (bel). Entrambe queste piante sono ricche di proprietà
terapeutiche, purificanti e disintossicanti e vengono usate nella farmacopea indiana per guarire
ogni sorta di malattia.

Shiva è considerato il guardiano di tutti i luoghi santi dell’India (Kshetrapala) e i suoi templi
sono disseminati ovunque. E’ inoltre molto misericordioso, e si occupa in particolare di proteggere
le persone semplici (viene chiamato anche Bolenath), la gente in generale (Lokanath), gli animali
(Pasupati), i fantasmi (Bhutanath) e coloro che cercano i poteri del tantra.

Mentre Vishnu cavalca una grande aquila (chiamata Garuda), Shiva cavalca uno speciale toro, di nome
Nandi. Mentre Vishnu ha un aspetto maestoso e ricco, ed è decorato da meravigliosi abiti e gioielli,
Shiva rappresenta la rinuncia e l’austerità, e viene raffigurato con gli abiti semplici dell’asceta,
spesso cosparso di cenere, decorato da collane di rudraksha (il seme di una pianta particolare), da
serpenti (simbolo di Sankarshana, che è la sua origine diretta, e di Kundalini, l’energia vitale
presente nel microcosmo del corpo umano). La sua testa è decorata dalla falce di luna crescente (per
questo viene chiamato Somanath) e dal fiume Gange (Gangadhara). Il famoso Hanuman, grande devoto di
Ramachandra, è considerato una manifestazione di Shiva.

Il culto dei deva

Secondo i Veda le diverse manifestazioni dell’universo sono controllate da una gerarchia di
intelligenza divina, che si manifesta nella forma dei diversi deva (“esseri divini”). Poiché le
manifestazioni universali sono moltissime, esistono anche numerosissimi deva, ma la posizione di
deva è raggiungibile però da qualsiasi essere vivente che si qualifichi in modo adeguato. Oltre ai
deva principali esistono enormi schiere di semidei e angeli (upadeva e gandharva) che risiedono sui
pianeti celesti (il paradiso).

Il più importante tra i deva è senza dubbio Brahma, il creatore o meglio il demiurgo di questo
universo, che organizza la materia primordiale manifestando tutte le forme di vita specifiche
secondo la conoscenza vedica che riceve da Vishnu. Poiché nella manifestazione materiale esistono
innumerevoli universi, ci sono anche innumerevoli Brahma, e ciascuno ha un numero di teste
corrispondente al numero di dimensioni dell’universo che controlla. Brahma viene dunque raffigurato
con quattro teste e quattro braccia, seduto sul fiore di loto mistico dal quale si sviluppano i 14
sistemi planetari. Sul pianeta Terra esiste un solo luogo sacro dove Brahma viene adorato: Pushkar.
Il re dei pianeti celesti è Indra, riconoscibile dalla grande quantità di occhi che costellano tutto
il suo corpo. Governa sulle schiere di semidei e presiede alla distribuzione delle piogge.

Ganesh, figlio di Parvati e Shiva, è riconoscibile dalla testa di elefante e dal corpo grassoccio;
si occupa di distruggere ogni ostacolo sulla via del progresso dell’universo ed è spesso adorato da
mercanti e uomini d’affari perché può accordare la prosperità. Un altro famoso figlio di Shiva e
Parvati è Kartikkeya, chiamato anche Muruga o Subhramanyam, che conta numerosi devoti nell’India
meridionale (specialmente nel Tamil Nadu). Un altro personaggio divino che ha parecchi devoti
nell’India del sud è Ayappan, considerato figlio di Shiva e suo avatara. Come Vishnu, anche Shiva
discende nel mondo sotto forma di avatara per diffondere i principi della spiritualità.
Surya è la personificazione del Sole; viaggia su un carro dorato, che è rappresentato nei suoi
templi e specialmente a Konarak, in Orissa, il luogo sacro al Sole per eccellenza. Chi adora Surya
ottiene facilmente la salute e la longevità.

Chandra è il deva della luna, al centro di numerose storie affascinanti che spiegano le
caratteristiche speciali della Luna. Anche gli altri pianeti e le stelle sono personificati da vari
deva o saggi celesti, che vi abitano con i loro compagni (Brihaspati, Sukracharya, i sette Rishi
dell’Orsa maggiore, Dhruva sulla Stella polare ecc.).

Tratto dal sito internazionale dell’Accademia Vaishnava
<< Isvara Network >> www.isvara.org

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